domenica 21 aprile 2024

Domenico Maurizio Buccelli, scolopio pedagogo

Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione vietata



            Chierico scolopio (non volle mai essere ordinato sacerdote), insegnante, pedagogo, parendogli " crudeltà gettare di balzo i

fanciulli dall'abcd al rosa-rosae" fu l' "inventore" - nel collegio di Carcare, agli inizi dell’800- della cosiddetta "scuola intermedia" "tra la scuola del leggere e scrivere (oggi diremmo la scuola elementare) e quella di lingua latina" (le medie, ma quelle di una volta, e non tanto per il latino!), la prima scuola in cui si insegnava l'Italiano come materia di studio: la scuola di stato italiana dovrà aspettare ancora anni per vedere realizzato qualcosa del genere nel Regno di Sardegna. ”Fu questa la prima scuola nella quale la lingua nazionale costituiva materia di studio, essendo stata prima di allora sempre esclusa dai programmi di insegnamento, perché soffocata dallo studio del latino” (Casati, p. 50)

 In un'epoca di chiuso provincialismo, lui, legato d'amicizia con seguaci del giansenismo, scoprì inoltre l'importanza dei contatti con altre realtà scolastiche, con viaggi sia nel più avanzato territorio del Lombardo - Veneto sia in Svizzera e Germania

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Nato a Varazze il 22 sett. 1778, a 18 anni entrò nella Congregazione delle Scuole Pie nel collegio di Ovada. Dopo una breve permanenza nel collegio di Carcare, nel 1798 studiò teologia a Genova sotto la guida dell'Assarotti e del Molinelli, entrando quindi in contatto con gli ambienti giansenistici genovesi che saranno poi alla base della sua “religiosità antiformalistica e austera”. Come altri Scolopi, vide con favore l'instaurazione della Repubblica Democratica Ligure nel '99, anno in cui, ancora chierico, uscì dall'Ordine “pensando così di poter svolgere più liberamente quella missione di educatore cui  si sentiva chiamato” (G. SarraBuccelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, pp. 754-756). Nel 1804 “ espresse il desiderio di rientrare tra gli Scolopi, ma in parte alcune perplessità dei superiori, in parte gli stessi suoi dubbi” ( ibidem) gli fecero rinviare l’attuazione del suo proposito: comunque in anno imprecisato e fino al 1809 riprese l'insegnamento nel collegio di Carcare. Dopo la soppressione napoleonica  si trasferì in Toscana, perfezionandosi nella lingua italiana. Nel 1812, invitato dal Carosio, rettore del Collegio, “facendo forza sulla sua natura irrequieta” ritornò a Carcare restandovi per molti anni, intervallando la propria attività di pedagogo con diversi viaggi, anche all'estero, per conoscere le diverse metodologie di insegnamento: nel 1820 fu a Friburgo, presso l’Opera della Gioventù  fondata da G. Gerard, allo scopo di apprendere  quella metodologia scolastica.

 Nel 1815 rientrò ufficialmente nell'Ordine “pur evitando sempre di prendere gli ordini sacri”. Nel '27 il Buccelli sarebbe stato, probabilmente, il redattore del Prescritto, lettera circolare “che si richiamava a molte delle istanze teologico-morali del giansenismo settecentesco”, (Sarra, cit., 755) con la quale l'allora provinciale degli Scolopi in Liguria, il p. Carosio, voleva ricondurre l'ordine  alla primitiva osservanza delle costituzioni. Il Prescritto suscitò però l'opposizione di religiosi di Savona e fu ritirato.

 Nel '34 “ per desiderio di tranquillità” si ritirò dall'insegnamento trasferendosi ad Ovada dove si interessò al locale ospedale come amministratore, organizzatore ed assistente sanitario. In questa località morì il 18 marzo del 1842. E’ sepolto nel sepolcreto dei domenicani sotto l’abside di S. Maria Delle Grazie e di S. Domenico (Ovada Al.)

Una biografia quindi piuttosto articolata  ([1]).

 

Tra gli allievi del Buccelli ( e quindi dell Collegio di Carcare) ci fu  quel Giuseppe Elia Benza “che fu tanto vicino negli anni giovanili a Giuseppe Mazzini” (G. Sarra, op. cit.)

 

Frutto delle sue moderne concezioni pedagogiche sarà la sua opera più importante, quella Ragion della lingua per le prime scuole esposta da un individuo delle Scuole Pie,  qualcosa di molto di più di una grammatica italiana, che vide la luce  nel 1824. Lo spessore e la modestia del Buccelli, ben diverso da tanti "venditori di sé stessi", si vede già nel titolo in cui non compare il nome dell'autore, sostituito da un umile "individuo delle Scuole Pie".  Eppure era un'opera veramente nuova, scritta non per esibizione di sapere ma per offrire un valido strumento a insegnanti e studenti.


Già il punto di partenza (p.10) era assolutamente moderno: la lingua ( ovvero il suo possesso) non deve essere considerata  un fine, ma un mezzo: un mezzo, (o almeno, uno dei mezzi)  diremmo noi,  per una realizzazione  -anche sociale- di se stessi: quante più parole possiedi, tanto più precisa sarà la tua possibilità di comunicare  (il che oggi, nell’età degli slogan e dei messaggini a 280 caratteri max., non è detto che sia garanzia di successo…).

Nel suo libro la lingua italiana era presentata "sostituendo il ragionamento alla nuda e inintelligibile autorità". Buccelli voleva "combattere la noia degli alunni, tarlo mortale delle scuole", far sì che le regole grammaticali divenissero una scoperta e quasi  una creazione degli allievi: "io ricordar non posso senza fremito gli amari anni miei puerili sotto la  barbarie di quell' insegnamento dove l'educazione, guidata dal solo timore, consuma il corpo, affoga l'ingegno e spegne il cuore"… E più avanti "l'idea di far ragionar il fanciullo è ciò che imprendiamo nel presente metodo, l'unico mezzo di riconciliarlo della sua antica iracondia colla scuola”. Quello di far ragionare gli studenti veniva allora considerato pericoloso in molti ambienti: “Non ignoro, scrive Buccelli a p. 9  ) che ci hanno non poche persone, di cui però si fa grandissimo conto, le quali (..) stimano per avventura di troppo pericoloso il principio di far ragionare i fanciulli, siccome quello che includer possa conseguenze perniciose ed anche fatali per essi”: siamo nel Piemonte della Restaurazione, tetragono ad ogni istanza di cambiamento..

 La sua concezione della lingua come sistema precorse i tempi: "Generalmente si considera la lingua come fine e non come mezzo. Occorre invece rintracciare questo filo che lega  la lingua,  onde nasce un sistema di idee che si comprende sotto  il vocabolo di grammatica", e altrettanto moderna fu la consapevolezza (nel 1824!) che gli studenti non sono spugne da riempire, o spettatori cui esibire la propria cultura, ma persone con tempi e interessi che devono essere rispettati:" uno degli inconvenienti delle scuole è obbligare il fanciullo  a lavori generalmente  troppo lunghi: occorre un'istruzione fondata sulla varietà, 1/2 ora leggere, 1/2 dettare, 1/2 analisi etc.".  Chissà cosa penserebbe vedendo certe scuole di oggi, nelle quali gli studenti entrano alle 8 del mattino per uscirne spesso al pomeriggio!

E ancora (p.11): “ Si osservi i libri che loro pongonsi in mano e             quelli specialmente fatti per l’erudimento loro: si vedrà che sono composti quasi tutti d’idee astratte, o, che è lo stesso, fondati  sulla sintesi: tali sono le definizioni e le regole che essi contengono (..) le quali necessariamente  inchiudono una serie conglobata di giudizi che impossibile è che possa un fanciullo comprendere: quindi è necessario che ei non intenda

L'opera suscitò ovviamente un'accesa polemica, tanto da essere proibita in tutto il Regno di Sardegna) perché conteneva "massime (..) tendenti ad insinuare nei fanciulli la disobbedienza al Governo, il disprezzo dei genitori nonché l'insubordinazione e il disprezzo dei maggiori" (Casati, cit, p. 57), mentre gli Scolopi furono diffidati dal Magistrato della Riforma degli Studi G. Carlo Brignole Sale dal "continuare ad applicare nelle loro scuole i metodi del Buccelli, giudicati troppo difformi da quelli tradizionali in uso nel resto del Regno" (Diz. biogr. degli Italiani, cit. p. 755). E non c’è da stupirsi per ciò, in quanto  siamo negli anni più grigi della Restaurazione, in uno Stato che era tornato ai tempi, e alle concezioni,  precedenti la Rivoluzione francese ([2]),  reduce da poco dalle repressione dei moti del ’21.

Il Buccelli fu anche autore di una tragedia, Ester¸ che a quanto pare  provocò tra l'altro l'intervento del Vescovo di Savona e del Ministero dell'Interno per aver portato in scena una donna.

 

 

La stessa necessità di un libro di testo pensato per gli studenti si riscontra nell'altra opera


fondamentale del Buccelli,  la Gramatica ad uso del Collegio delle Scuole Pie in Carcare per servire spezialmente allo studio della lingua latina, stampata a Torino nel '23. L'affermazione con cui si apre ("sia principal cura del maestro eccitare prima e sempre esercitare nei giovani l'interesse e la curiosità di quegli studi")  era necessaria allora ma non inutile anche oggi, considerato  quanto spesso in moderne grammatiche i ragazzini quattordicenni vengono scaraventati fin dalle prime pagine in un vortice di isoglosse, sintagmi, lessemi, apofonie etc. "Due sono a nostro avviso - ricordava il Buccelli nel 1823- i difetti dai quali sembra  non vada esente niuno dei metodi comunemente usati (nell'insegnare il latino): l'uno è l'esser le grammatiche di troppa mole e farragine, l'altro che in esse non si danno le cose se non per definizioni (..). Si crede generalmente il fanciullo incapace di ragionamento; quindi gli allievi, in fatto di grammatica, si fanno esseri meramente passivi”. E quanta modernità c’è in questa frase (La ragione della lingua, p. 13), che potrebbe suggerire utili riflessioni ad autori di moderne grammatiche: “Quanto irragionevole è il linguaggio delle comuni grammatiche (di latino), i vocaboli delle quali non presentano veruna idea (cioè non significano nulla) al fanciullo (..) ma sono tali che  quasi mai nessuno di essi illumina giammai e perciò non è insegnativo. Si prendano per es. i nomi genitivo, dativo, accusativo ablativo e dicasi se in essi il vocabolo illumini e se insegni”.,

 

 

Per meglio comprendere il metodo utilizzato dal Buccelli nel suo insegnamento della lingua italiana riportiamo due “lezioni” tratte da La ragione della lingua, rispettivamente dedicate alla spiegazione della frase oggettiva e della frase causale

Spiegazione della frase oggettiva

Ecco un esempio del metodo usato dal Buccelli durante le lezioni, basato su un coinvolgimento continuo degli allievi in modo che gli stessi arrivino a formulare le definizioni. Siamo a pag. 87, lezione XII dedicata al "pensiero oggetto" o, come si direbbe oggi, alla frase oggettiva. La lezione è strutturata in domande e risposte fra il maestro (M) e gli studenti (S):

M.: attenti, voi, "I fanciulli ben costumati sanno che non si deve mai fare male a nessuno": quanti pensieri vi sono in questo discorso? (I fanciulli rispondono). Se io dicessi "i fanciulli ben costumati sanno" sarebbe compiuto il mio discorso?

S.: no, non sarebbe compiuto.

M.: perché non sarebbe compiuto?

S.: perché non si saprebbe qual cosa facciano.

M.: volete dire che mancherebbe l'oggetto dell'esprimente (= verbo, n.d.A.)  sanno

S.: si

M.: adunque quello che sanno è che non si deve far male a nessuno. E' vero?

S.: si

M.: Adunque l'oggetto dell'esprimente sanno è un intiero pensiero, non è egli vero?

S.: si

M.: qual è?

S.: che non si deve mai far male a nessuno

M.: dunque che non si deve mai fare male a nessuno lo chiameremo pensiero oggetto". Lo intendete?

S.: Sì, lo intendiamo.

Come si vede , al di là di una terminologia ovviamente datata ("esprimente" al posto di "verbo": ma siamo sicuri che fosse peggio?) la spiegazione è lucida e soprattutto coinvolgente: possiamo assicurare che alcune grammatiche moderne non sono certo altrettanto chiare.

 

Ora un altro esempio: spiegazione della frase causale (p. 71 sgg.)

La spiegazione parte da lontano,  spiegando la differenza fra pensiero semplice e composto, ovvero, diremmo oggi, fra coordinazione e subordinazione, fra frase principale e dipendente.

Ecco la sua “Lezione”.

M. Attenti fanciulli. Voi parlando potete esprimere una sola cosa,  come “non bisogna toccare le spine”  oppure due o più cose, come “ Non bisogna toccare le spine; le spine pungono”. Quante cose dico in questo discorso?

S. due cose

M. ditemele

S. Le spine pungono – le spine non si devono toccare.

M Ora questi sono due pensieri della mente: le spine pungono è un pensiero, le spine non si devono toccare è un altro pensiero. Comprendete che sono due pensieri?

S. Sì

M. Perciò d’ora innanzi invece di chiamarli due cose, li chiameremo sempre pensieri.

M. Ora attenti: io non voglio  leggere; il libro è brutto: ditemi; quanti pensieri sono in questo discorso?

S. Due

M. Vi pare che siano giusti?

S. Si che sono giusti.

M. Vi pare che siano bene uniti, ossia vi pare che manchi qualche parola la quale unir debba questi due pensieri? E sapreste voi trovarla?

S. Io non voglio leggere, perché il libro è brutto

M.  Bravissimo, ora se vi dirò quale è la causa che voi non volete leggere, che mi risponderete?

S. La causa che non voglio leggere, è che il libro è brutto.

M. Perciò chiameremo il secondo pensiero “perché il libro è brutto”, pensiero causale, perciocché dice la causa, che non voglio leggere: E quale è la parola che unisce i due pensieri sopraddetti?

S. E’ perché.

M. dunque nomineremo perché  parola unitiva”.

 

Ecco che, ancora una volta, gli scolari sono portati, guidati per mano, passo dopo passo, dal meno al più (p.171) all’acquisizione di concetti logici astratti: da “cosa” a “pensiero” da “parola che unisce” a “unitiva” ( oggi si chiama congiunzione). Il tutto semplicemente, perché la lingua è, appunto, ragione ( e la ragione –p. 8) è un “beneficio della Provvidenza”).

Non si parte dalla regola, o da definizioni che non appartengono al mondo dei fanciulli, illustrata poi da esempi, ma si parte da esempi “ quotidiani” per arrivare alla definizione della  regola.

E al riguardo mi viene spontaneo un confronto con il modo in cui la “proposizione causale” viene spiegata in grammatiche della fine del secondo millennio: “”Le proposizioni causali spiegano la causa, il motivo, la ragione reale o pensata di quanto si afferma nella proposizione reggente es sono introdotte alle congiunzioni perché, poiché etc”. Nella spiegazione si ricorre a termini che sottintendono (ma sarà vero?) una pregressa conoscenza del loro significato: proposizione, reggente, congiunzione. Nella “spiegazione” di Buccelli questi termini (o i loro corrispondenti) vengono invece “introdotti” e illustrati direttamente. Un esempio che viene poi  utilizzato per la spiegazione: “Poiché sono in noi senno, ragione e prudenza, è necessario che queste stesse qualità gli dei abbiano in grado maggiore”, sarà anche ciceroniano,  ma ci sembra più lontano dal mondo del fanciullo rispetto a quelli usati dal Buccelli.

 

 

Interessante una sezione del libro (parte terza, esercizio primo “Per formare il criterio morale del fanciullo”)  dove sono presentate una serie di domande rispetto alle quali l’alunno deve dire non solo se “è bene o è male” ma anche, cosa ancora più importante, “perché?” . Eccone alcune:

M: Mangiare e bere

S: bene

M: perché?

S: perché è necessario per vivere

M: Mangiare e bere troppo

S: male

M: perché?

S: perché è peccato e perché fa male

Ecco altre domande cui rispondere : bene/male

-        cercare il proprio bene con danno altrui

-        farsi beffe dei  difettosi

-        non pagare il proprio debito

-        non esser pronto ad ubbidire ai genitori

-        non ubbidire volentieri al proprio sovrano

-        tirar su da terra il bastone ad un vecchio

-        percuotere una bestia, la quale non ci fa alcun male

Etc. etc.

 

Un’altra  sezione del libro è dedicata a quella che potremmo definire “educazione civica”, o molto più semplicemente “norme di buona educazione”, che allora venivano insegnate.

 

Eccone, fra le oltre 20 pagine dedicate all’argomento,  uno stralcio, con i comportamenti divisi in “meritevoli di  trista menzione” e di “buona menzione”.

-La giustizia altro non è che l’amore  che noi abbiamo verso il prossimo.

E’ meritevole di triste menzione:

-         Rispondere prima di aver ascoltato

-         condannare i detti o fatti altrui senza necessità

-         biasimare alcuno prima di averlo udito

-         dir male di una persona assente

-         manifestare senza necessità i difetti altrui

-         fare un contratto di modo che il compagno dia più di quanto riceve

-         dire bugie per sembrare più di quel che si è

-         Ingannare in qualunque modo il prossimo

-         fare con precipitazione le proprie cose

-         vantare le proprie ricchezze

-         parlar troppo

-         impedire che altri parli

-         dire cosa per sé inutile

E fra i comportamenti “fisici” da evitare:

-         fare i bisogni naturali in luoghi pubblici,  massime ai muri dè luoghi sacri,

-         lasciare di soffiarsi il naso al bisogno

-         aprire il moccichino dopo soffiato il naso e guatarvi dentro

-         grattarsi la testa

-         comparire colla faccia o mani sporche

-         sputare innanzi ad altri

-         tagliarsi le unghie davanti a persone oneste

-         guastare co’ temperini i banchi e le seggiole

 

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Ovviamente il Buccelli era anche figlio del suo tempo ( e della sua condizione e del suo ambiente, in cui forse non sempre si trovava a suo agio). Per lui l’istruzione e l’educazione dovevano avere una componente non solo civile ma anche morale (nel senso di religiosa): “l’istruzione principale era quella religiosa, e per tutta la vita lottò affinché il modo di pregare e di insegnare il catechismo fossero secondo le capacità di ogni età” (Casati, 122). “E’ essenziale, per la Religione - scrive a p. 22 de La ragione della Lingua - lo incorporare, direi, l’istruzione religiosa nell’istruzione letteraria. Così veggiamo (parlando di giovani dati agli studi) che la prima ordinariamente non ha effetto, dove disgiunta vada dalla seconda, ché dove si insegni pietà da una  parte, e lettere da un’altra, mai si insegna pietà ai giovani. Questo è  pertanto il segreto della scuola cristiana: comporre l’insegnamento per modo  che tutto rientri nel religioso interesse”: del resto era un’esigenza logica per chi era pur sempre un insegnante di un ordine religioso. Che poi il tutto portasse ad una maturazione di una vera Fede, è un altro discorso.

Questo concetto viene ribadito in un’altra operetta del Buccelli, Uno Institutore di belle lettere a suoi Alunni intorno i libri più usitati di nostra favella, e del modo di usare il teatro ne' Giovani. Torino, 1829,  che così’ viene recensita nel Giornale Ligustico del 1829: ”Autore di questo lodevolissimo scritto, è un valente Religioso delle Scuole Pie, il P. Buccelli, Prof. di Rettorica nel Collegio delle Carcare (Provincia di Savona). I giovinetti scolari, che sono la  speranza della Chiesa e della civil società , vogliono essere ammaestrati per si fatto modo , che le lettere giovino a farli migliori  raddrizzandone i non retti principi , e correggendo in essi ogni prava inclinazione. Ma questo non può farsi, salvo se pigliando a guida la dottrina di Gesù Cristo , che sola ò scevra d' errore, e sola, non distruggendo, sì purificando la natura,, può dare la vera sapienza, e quella rettitudine, che mai non si apprende perfettamente dalle umane dottrine. A questo mira l'opuscolo del P. Buccelli ; né argomento più vantaggioso poteva esser trattato da un savio Institutore” ([3]).

Il profondo e imprescindibile collegamento che esisteva nel Collegio delle Scuole Pie (che era come detto un Ordine religioso) tra istruzione e Religione (la prima doveva essere assolutamente subordinata e delineata nella sua fisionomia dalla seconda) è a mio avviso evidente, per es. da un particolare, esplicitamente illustrato da un provvedimento preso nel 1821 (proprio negli anni del Buccelli) da p. Carosio, rettore del Collegio di Carcare per 38 anni, dal 1798 al 1836. In quell’anno “avendo per l’esperienza di molti anni conosciuto che i giovani dopo le ferie autunnali rientravano di mala voglia in Collegio e che per il troppo  prolungato riposo e per la soverchia indulgenza dei genitori, svogliati non potevano più adattasi al cibo (! particolare indicativo?) e alla disciplina e che ingeneravano l’orrore del Collegio a quelli che vi erano rimati, con lettera circolare spedita a tutti i genitori li avvisò che senza grave  e comprovato motivo per l’avvenire non avrebbe più permesso  ai giovani di passare le vacanze fuori collegio” (p. F. Isola, cit. p. 100). In parole povere ciò significava per i giovani, quasi bambini, diversi anni, nell’età più fragile e importante, in un ambiente che non era quello della famiglia.

Il provvedimento rimase in vigore  per una trentina d’anni, poi fu abrogato all’epoca dell’epidemia di colera dopo la guerra di Crimea: “ e così ora purtroppo anche noi, come tutti gli altri convitti, dobbiamo deplorare gli stessi inconvenienti, dei quali lamentavasi il P. Carosio”, scriveva ancora nel 1897 il p. Isola…

 E’ un brano che ben illustra quali fossero all’epoca  le idee – e i metodi- circa l’educazione dei giovani anche nel Collegio di Carcare.  Che poi ciò fosse davvero utile alla maturazione e alla formazione ( anche religiosa) dei giovani, è tutto da dimostrare…

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 Pedagogo quindi per certi aspetti precursore, il Buccelli, ma anche uomo che capì che l'insegnamento "è un esercizio di intelligenza ed amore" ([4]), “ stringere quasi un nuovo vincolo di parentela che leghi il maestro allo  scolare e questo a quello è il secondo bene che nasce dal metodo divisato”(p. 16), esercizio nel quale l'insegnante non deve dimostrare ai colleghi  quanto è bravo, ma condividere con gli allievi : amore verso i propri allievi, siamo nel 1823 e sembra di leggere D. Pennac del 2007Diario di scuola, 2007, p. 239: “ C’è un metodo (per insegnare)? Non mancano certo i metodi, anzi, ce ne sono fin troppi. Passate il tempo a rifugiarvi nei metodi, mentre dentro di voi sapete che il metodo non basta. Gli manca  qualcosa.” “Che cosa gli manca?” “Non posso dirlo.” “Perché?” “E’ una parolaccia, (..) una parola che non puoi assolutamente pronunciare in una scuola, in un liceo (..).” “E cioè?” “No, davvero non posso..” “ Su, dai!” “Non posso, ti dico! Se tiri fuori questa parola parlando di istruzione, ti linciano.” (..) L’amore.”

 

 

 

Bibliografia

P. D. Casati, Il Collegio di Carcare, Grifl, 2007, pp. 113-125

B.T. Delfino, Buccelli, in Dizionario biografico dei Liguri dalle Origini al 1990, Consulta Ligure, Genova, 1994, vol. II pp. 292-294;

G. FARRISP. Domenico Buccelli precursore della scuola elementare ed anticipatore della linguistica moderna, in "Miscellanea duemila", Com. Mont. Alta Val Bormida, Millesimo, 2000, pp. 41-45;

P. F. ISOLA, Carcare e le Scuole Pie- Memorie raccolte e ordinate da p. Ferdinando Isola delle Scole Pie, Savona, 1897;

P. L. Picanyol,  Un pedagogista insigne: P. Domenico Buccelli, Roma 1943;

G. SarraBuccelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, pp. 754-756) .

 


Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione vietata


[1]) Zio di Domenico Buccelli fu il sac. Piero Buccelli, ricordato a Carcare anche perché sulla collina ancor oggi chiamata Buccellina costruì una piccola casa “dalla quale si volle bandito assolutamente il ferro.(..) Per stuzzicare  poi la curiosità  di chi passasse per quel luogo ed eccitarne l’ingegno all’interpretazione sull’arco della porta scolpì  egli stesso queste parole: Parvo  Parvi Parva 1815” (P. Isola, Cit., p.47) (e io sadicamente non traduco…)

[2] ) “Il Piemonte, rude come le rocce delle sue montagne, si mostrava particolarmente refrattario ai principi illuminati  del sec. XVIII circa l’istruzione elementare (e non solo verso quella, verrebbe da dire). Vittorio Amedeo III non si curava che d’armi e d’armati (per altro con scarso successo..) e si gloriava di stimar maggiormente un tamburino che un letterato: le larve di scuole, che sorsero in questa regione si riducono quasi esclusivamente all’insegnamento del catechismo. il Collegio di Carcare costituì una fulgida eccezione a questo processo oscurantista (G.Farris, cit., 43)

[3] ) Giornale Ligustico –Scienze, lettere ed arti, anno III, fasc. I, Genn. Febbr. 1829, Genova,  p. 586

[4] ) P.F. Isola, cit., p. 160