domenica 21 aprile 2024

Atanasio Canata, l’insegnante di Abba nel Collegio delle Scuole Pie




Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione Vietata

Nel 1961 “si è spento un faro in Val Bormida”:  così qualcuno commentò la fine dell’attività


scolastica del Collegio delle Scuole Pie di Carcare (SV) in quell’anno:  i padri scolopi restarono ancora nell’edificio, ma solo come sacerdoti della chiesa annessa al Collegio stesso.  Aveva così termine una storia che era iniziata quasi 350 anni prima, quando, nel lontano 1621, il sacerdote spagnolo, poi santo, Giuseppe Calasanzio, utilizzando dei terreni donatigli da due carcaresi, i fratelli Castellani, fondò in uno sperduto villaggio in un possesso spagnolo quello che sarebbe veramente diventato un faro per tutta la valle, diffondendo non solo fede e religione, ma anche insegnamento (allora gratuito). Col tempo il Collegio fornì un corso di studi completo, dalle elementari (gratuite) fino al liceo classico, ospitando convittori, semiconvittori ed esterni.

La sua attività, e la sua importanza, raggiunse il suo culmine alla metà dell’800, anche grazie alla presenza e all’opera di insegnanti che lasciarono veramente un segno. Tra essi p. Domenico Maurizio Buccelli (1778- 1842) e p. Atanasio Canata (1811-1867).
E proprio alla figura di quest’uomo, sacerdote e insegnante, sono dedicate le presenti note.

Nato a Lerici il 25 marzo del 1811, sacerdote dal 1830, insegnò prima a Savona poi a Carcare dove rimase dal 1840 alla sua morte, per tifo, il 5 aprile 1867.
La sua attività di insegnante si svolse quindi negli anni infuocati del Risorgimento.

 "Ingegno sagace e bollente", come lo descrisse p. Isola, che la storia del Collegio compose alla  fine dell’800;   “uomo da  dipingere”,  per  usare le  parole di un suo famoso discepolo, l’Abba, il cairese scrittore garibaldino autore delle “Noterelle di uno dei Mille”, con “la spada in pugno (..) se fosse  stato al secolo l’Italia l’avrebbe visto morire in qualcuno dei  moti dal 31 in poi”([1]).

Il "Collegio"  delle Scuole Pie di Carcare

Grande “svegliatore  di  ingegni e  di  cuori”, per  usare sempre le parole dell’Abba ([2]), ai suoi  allievi  trasmise qualcosa di più che la retorica e il latino.

Canata esercitò  un’influenza notevole su un  gruppo di studenti di  questo istituto,  i cui nomi ricorreranno più volte anche nella storia della nazione. Ebbe soprattutto un ruolo come “formatore” di animi di fu­turi uomini che tanto poi si impegneranno nell’attività politica e  risorgimentale di quegli anni cruciali: cercare  di  suscitare negli studenti un forte amor di patria unito a sinceri sentimenti   religiosi  fu ciò cui mirò, con risultati eccezionali, almeno  per quanto riguarda il primo punto.

 Per evidenziare il successo che ottennero le sue lezioni, permeate di  ardente amore per la patria e la giustizia ([3]), è sufficiente  un dato: fra i 1000 giovani che seguirono  Garibaldi nella spedizione   in Sicilia o ad essa collaborarono, ben cinque (il cairese Giuseppe Cesare  Abba, il piemontese  Biagio Caranti, ([4]) i genovesi Stefano  Dapino,  Paride  Salvago e un quinto che Abba ricorda senza riportarne il nome)  furono ex allievi del Collegio delle Scuole Pie di Carcare ([5]). Il fatto che tra i 1000 originari  garibaldini o   fattivi collaboratori della spedizione ci fossero ben  5  ex allievi di Carcare, o se vogliamo il fatto che tra i 100  allievi  del collegio  carcarese  ben 5 seguissero Garibaldi, è una  spia indicativa del clima che si respirava fra le aule dell’istituzione  calasanziana ([6]): per par condicio si potrebbe anche osservare che, fra gli allievi del Canata dal 1841 al 1858 ben 15 diventeranno sacerdoti.

Se dalla attività di educatore passiamo a quella di letterato, il discorso diviene più complesso.

In campo letterario lasciò cin­que volumi di opere (tragedie: fra esse Severino Boezio, Il vecchio della montagna, I masnadieri delle Langhe, versi, prose) pubblicati postumi nel 1888 nei quali fu, secondo il giudizio di Capasso, “poeta non disprezzabile, anche se la nostra epoca senza memoria lo ha scordato" ([7]) .

Conosciamo due opere a stampa di Canata di interesse letterario, entrambe edite a cura di un confratello, p. Leoncini: un volume di Tragedie (Torino 1888),  uno di versi (Torino 1889).

Il primo contiene cinque opere:  Severino Boezio, Roknedino  ossia Il Vecchio della Montagna, Mosatte o I Saraceni in Liguria, Saladino  e Arrigo degli Alerami ossia I Masnadieri delle Langhe.  In tutto 400 pagine di versi fitti fitti,  ricche di punti interrogativi ed esclamativi.

Confessiamo che le abbiamo sfogliate, abbiamo anche cercato di leggere l'ultima -a quanto si intravede una cupa storia di sangue, figli perduti e ritrovati, fratelli perfidi e generosi-  attratti dai coinvolgenti versi iniziali ("Vita d'inferno è questa: ebbri di colpa io traggo i giorni: mi ricorco a sera coi più fieri rimorsi" e dal fatto che è l'azione è almeno in parte ambientata nelle nostre Langhe e nella "curtis" di Dego, di cui l'Arrigo del titolo è marchese: ma ci siamo fermati alla seconda pagina, di fronte ad un "Sigieri, ancor t'irruga il rio pensier la fronte!" Dopodiché, lo confessiamo, ci siamo limitati a leggiucchiare qua e là.

Abbiamo anche letto, o meglio, cercato di leggere, anche un suo Trattato di Estetica,

recentemente pubblicato ([8]), ma confessiamo che ci siamo quasi subito fermati di fronte ad una prosa sì classicheggiante ma, almeno per noi, irrimediabilmente datata.

Certamente più interessante la lettura dei Versi, specchio di un'anima che nella vita deve aver sofferto e provato  dolori, delusioni, sconfitte ed invidie, ma confortata da una profonda Fede.

Versi robusti, animo talora disilluso ("Per erma solitudine d'affanni/ vommi inoltrando sott'iniqua stella./ Follie nel volgo, né fratelli inganni/, scienza un deliro di ragion ribelle, i popoli divisi, i re tiranni"), echi foscoliani ("contro i raggi del sol arbore amica"), manzoniani (" son lupi che  versan le nordiche selve/ son forti leoni che l'austro nutrì./ O figli di forti, volate alla guerra/ o libera o serva sia sempre la terra"), e perfino scapigliati ("E il proclamato premio/del sapiente dov'è?/ Languisca pur

d'inedia/ il genio è premio a sé"), forte capacità di sintesi drammatica ("un lanciar d'obliqui sguardi/ un tacer di freddi visi"), e di costruire immagini potenti ("Sopra squallido corsiero/ va la morte galoppando/ l'amarissimo sentiero/ colla falce lor segnando/ai suoi piè la terra oscilla/ Dies irae dies illa); delusioni cocenti (" ti seguiva collo scherno/quella ciurma multiforme/ che sbucataci d'inferno/ che vantando patrio affetto/della patria è poi flagel"; " turba gelida di inetti ingombrava il suol natio/non più fede era nei petti/ non più patria, non più Dio"; attenzione verso i miseri e i diseredati "E il pover chiede un misero /pane ed un pane non ha/ l'orecchio poi ti assordano/ d'amor, d'umanità") e sconsolate domande sempre valide: " che sia suprema la ragion del forte/e la decida delle spade il lampo?". Versi insomma che possono ancora dire e dare qualcosa.

La lapide dedicata a p. Canata nella chiesa 
del Collegio delle Scuole Pie di Carcare

 

 Leonello Oliveri

Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione Vietata

 



[1] ) ABBA G. C.,  Ricordi e meditazioni, Biella 1911, p. 165. Abba fu studente  nel collegio carcarese dal 1849 al 1854

[2] ) Ecco come Abba ricorda il  suo prof. “Gran svegliatore di ingegni e di cuori, il Padre Atanasio Canata di Lerici, nato artista, fattosi frate, vissuto cattedra e libri  tutta la vita. Aveva allora passato di poco i 40 anni; serbava tutto il fuoco della gioventù, che doveva essere stato un vulcano; uomo da dipingere con la spada in pugno come San Paolo.

Abba in età avanzata
Rimasto al secolo l’Italia l’avrebbe visto morire in qualcuno dei moti dal ‘31 in poi, o esule si sarebbe fatto sentire come una tromba di guerra: chiuso in quel collegio era venuto su insegnando, educando, finché nel ’48 esplose da solo come legione. Chi raccogliesse ciò che egli scrisse in quell’anno, mostrerebbe alla gente d’oggi che cuore di patriota poté battere sotto la tonaca di quel frate. Il quale, venuti i dì neri, ritiratosi Pio IX, cadute le speranze della patria, incrociò le braccia, stette a vedere con la fronte corrugata; e tra sacerdote e cittadino, brancolò come un uomo improvvisamente acciecato. Ma il giorno che intese la rotta di Novara, entrò in iscuola pallido, tremante; con la voce strozzata annunciò ai giovinetti scolari suoi la grande sventura della patria. Cadde sulla sedia e pianse. Che soffio di vita sopra quella scolaresca!(..) Egli intanto si era raccolto e, sebbene un po’ tremante di aver corso troppo, nel decennio della preparazione non tralasciò mai di parlare dell’Italia; non uscì libro di versi o di prose scritto per la patria che non lo desse in iscuola a brani (..) il ’59 lo trovò in cattedra rifatto l’uomo di prima, il ’60 lo rese pensoso, gli anni di poi, tra la sua fede di cattolico e il grande ideale dell’Unità Italiana, tornò a smarrirsi, e nel ’67 moriva in una notte di primavera sul suo lettuccio di frate, nella cameretta dove centinaia di noi che fummo figli dell’anima sua lo vedemmo invecchiare tra i libri (..) Ora egli è là nella terra, in un angolo del cimitero di Carcare”(G.C. Abba, Ricordi e meditazioni, Biella, 1911, p.165 sgg.): un insegnante che ha lasciato il segno nei suoi alunni, cosa non frequente..

[3] )  Notiamo incidentalmente che il Canata proveniva da Lerici, villaggio in cui il clima risorgimentale era molto sentito e acceso: di Lerici saranno 5 componenti la sfortunata spedizione di Pisacane, e il paese verrà definito dal locale prefetto, a metà dell’800, “pieno di rivoluzionari”.

[4] ) Biagio Caranti (Sezzadio 1839-91). Fu segretario di quella Società Nazionale che  tanta importanza ebbe nel cd. “decennio di preparazione”  (1849-1859) e  che fiancheggiò  concretamente  l’operato  di Garibaldi.  Nel 1860  lo troviamo al Ministero  degli  Interni,  alla segreteria  particolare  del  ministro Rattazzi e poi di Ca­vour. Nello stesso anno Caranti scrive a Garibaldi per raccomandargli Abba quando  il  poeta  si  offre come volontario fra i Mille.  Anche  il Caranti si reca dopo pochi mesi in Sicilia per   rag­giungere  Garibaldi,  a Napoli, collabora col marchese  Pallavicini  ad “organizzare” il plebiscito che avrebbe sancito  l’an­nessione delle  province meridionali al Regno d’Italia. Diviene  quindi Reggente del Ministero degli Esteri  suscitando l’ira   del Cavour  che si  vede ritornare tra i piedi colui  che aveva silurato in precedenza. Nel  1865  troviamo Caranti come capo  divisione  del  ministero dell’agricoltura. In questa carica sostiene proposte gravide di conseguenze per la nascente industria italiana, essendo un fautore della  politica del libero scambio con l’Europa:  niente dazi per  importare materiale per lo sviluppo industriale e ferro­viario   italiano, in  cambio libera esportazione  dei  prodotti agricoli,  con vantaggi anche per il sud.    Nel 1866, quando già si profilava la III guerra di indipendenza, il Caranti

Biagio Caranti
cercò di organizzare una spedizione nei Balcani agli ordini di Stefano Turr. Si trattava niente meno che sbarcare in Dalmazia per invadere l’Austria da est. Anche questo progetto rimase sulla carta, ma diede al Caranti l’opportunità di un lungo giro diplomatico per mezza Europa e oltre: Balcani, Co­stantinopoli, Bucarest, Berlino furono visitate dall’ex allievo del Collegio di Carcare per trovare i necessari appoggi diploma­tici, che non trovò. Nel 1877 abbandona la carriera di politica o di sottogoverno per dedicarsi al mondo della finanza. Entra nel Consiglio di Amministrazione della Banca Tiberina di cui è, due anni più tardi, presidente. Sotto di lui la Banca Tiberina si trasforma nel secondo istituto bancario privato d’Italia. Il Caranti la lancia poi nel mercato degli investimenti immobiliari e la Tiberina diviene uno dei principali artefici della speculazione edilizia che si sta realizzando in quegli anni a Roma, in grande sviluppo dopo la sua investitura a capitale del Regno. Per 12 anni la banca ha un’espansione continua, con ricchi dividendi distribuiti agli investitori. Poi inizia prima il declino, infine la crisi: coinvolta nelle difficoltà dei costruttori romani nell’ultimo decennio del XIX secolo, verrà malinconicamente liquidata nel 1895: ma il Caranti era già morto da quattro anni.

[5])  ABBA G. C.,  Ricordi e meditazioni, Biella 1911, pp.3, 21. Ex allievo degli Scolopi (ma di Torino) fu anche un altro dei 1000: Luigi Maria D'Albertis, nato a Voltri il 21/11/41, morto a Sassari l'8/9/1901 (v.  DOLDI  S.,  Alle origini della Scienza in Liguria, Genova 1990, Prima Cooperativa grafica Genovese, p.146).

[6] ) C'è però da dire che non tutto l'ambiente del Collegio era allineato sulle idee "politiche" del Canata.

[7] ) CAPASSO A., Traversagni, Chiabrera, Abba. Tre scrittori del nostro passato, Ed. Liguria, Sv., 1988, p. 232.

[8] )P. Atanasio Canata, Trattato di Estetica, a cura di L. Cattanei, GRIFL, Cairo Mont., 2010

I Padrrei del Collegio di Carcare
ricordati nella loro capella funebere
nel locale Cimitero