In realtà qualcuno storcerà il naso al titolo obiettando che Barrili non fu valbormidese ma savonese, dove nacque nel
1836.
Savonese quindi, ma in Val Bormida, precisamente a Carcare, allora tranquilla località di villeggiatura per savonesi e genovesi bene, trascorse molte estati e –forse- i suoi mesi più sereni.
Studente a Savona presso gli Scolopi, laureato in lettere all'Università di Genova, iniziò la sua vita professionale come giornalista, prima in un giornaletto da lui fondato (L'occhialetto), poi come redattore nel quotidiano San Giorgio di Nino Bixio. Arruolatosi volontario nell'esercito piemontese nel 1859, nel '60 diviene direttore del Movimento, giornale di propaganda garibaldina. E' a fianco di Garibaldi nel '66 in Tentino e nel '67 nella sfortunata battaglia di Mentana, avvenimenti che verranno poi raccontati dal Barrili, 30 anni più tardi, in un libro di memorie (Con Garibaldi alle porte di Roma). Nel '75 a Genova fonda il quotidiano Il Caffaro, nel '76 è Deputato nelle liste delle sinistra. Lasciata ben preso la carriera politica, riprende quella giornalistica assumendo nell'84 la direzione della Domenica Letteraria. Nel 1894, grazie all'appoggio del Carducci, ottiene la cattedra di Letteratura italiana all''Università di Genova, di cui sarà Rettore nel 1903. Morì a Carcare il 14 agosto 1908.
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| Villa Maura ai primi del '900 |
Anton Giulio Barrili fu quindi romanziere, insegnante universitario, garibaldino con Garibaldi a Mentana, e Deputato del Regno, nato a Savona ma valbormidese di adozione almeno da quando, nel 1881 e fino alla sua morte (1908), venne a passare le sue estati, e non solo quelle, in Val Bormida, a Carcare, dove si era fatto costruire "non un nido, che sarebbe stato tardi, ma un piccolo rifugio", come lui stesso lo definì: la villa Maura, attuale sede della Biblioteca civica .
Tralasciando il Barrili garibaldino, professore universitario e deputato, quello che ci interessa qui è il Barrili romanziere, più precisamente il Barrili autore di romanzi ambientati in Val Bormida.
La sua fu una produzione veramente notevole, oltre 80 fra
racconti e romanzi, pubblicati dai fratelli Trevers di Milano con numerosissime edizioni: 13 edizioni per Santa Cecilia, 15 per Capitan Dodero, 19 per Val d'olivi e addirittura 24 per L'olmo e l'edera.
Di questo fiume veramente ampio ricorderemo soprattutto i romanzi del periodo “carcarese e/o quelli aventi come cornice narrativa la Valle.
Incominciamo con un breve elenco delle opere di Barrili che hanno riferimenti precisi alla Val Bormida. Possiamo partire con un’opera più antica, S. Cecilia, del 1866, collegata alla valle perché parte della trama si svolge a Dego, ove risiedeva il protagonista del romanzo, vittima di una melanconica storia d'amore.
Nel 1875 è la volta di Castel Gavone. Storia del Secolo XV. Si

tratta di un omaggio dell'autore alla moda del romanzo storico: la trama è abbastanza ovvia (un amore disperato e non corrisposto tra un valbormidese, il bardinetese Giacomo Pico, e la bella Nicolosina, figlia del Marchese Galeotto del Carretto di Finale). Siamo nel 1449 e la cornice storica è quella della guerra tra i Del Carretto e la Repubblica di Genova, conclusasi in quell'anno con la provvisoria conquista genovese del Finalese e del suo castello, appunto Castel Gavone. La vicenda storica è accuratamente ricostruita in quanto Barrili ha ben presente, e fedelmente seguito nei tratti essenziali, il Bellum Finariense dell'umanista cinquecentesco G. Maria Filelfo che a tale vicenda è dedicato. Alle vicende del Pico, divorato dalla gelosia e dalla rabbia per l'impossibilità di coronare il suo sogno d'amore con la bella marchesina, fanno da cornice gli ingredienti soliti di questo tipo di romanzi: duelli, agguati, tradimenti.. Probabilmente non è una delle opere migliori del Barrili, ma il romanzo è comunque di interessante lettura per le precise conoscenze geografiche e storiche evidenziate dallo scrittore.
Al 1884 risale Amori alla macchia, romanzo di totale ambientazione valbormidese.
Stereotipata la trama, costruita dall'autore tenendo ben presente il target, come oggi si direbbe, cui si rivolgevano le sue opere, nel quale la componente femminile era una parte non indifferente: la tipica storia d'amore tra la "moderna" marchesina Blandina Reyneri di Carpeneto (frazione di Carcare, oggi più nota come "Vispa") e il giovane povero ma brillante, il pittore Mario Lamberti.
All' ovvietà della trama fa da contraltare una prosa leggiera caratterizzata da una garbata ironia, un tono morbido e soffuso, una serena visione della vita, un'atmosfera di tranquilla e bonaria accettazione degli altri e di ciò che capita nei nostri giorni terreni quasi che il romanzo fosse davvero, da parte dell'autore, un' evasione fantastica alla realtà dell'agire quotidiano: quella realtà quotidiana fatta di continui impegni, problemi, obblighi, ben documentata dal ricco epistolario conservato nei locali della Biblioteca carcarese. E' un ottimo esempio di quello "stile limpido e scorrevole, senza stento, senza disuguaglianze e insieme curato e corretto" già lodato dal Croce. E' oggi soprattutto interessante per noi una preziosa e curata ricostruzione quasi fotografica del paese di Carcare alla fine dell'800, resa con grazia leggiera, occhio attento e -si direbbe- cuore partecipato.
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"Sulle rive della Bormida". Quadro di Rayper (1885) "Scuola dei Grigi" |
Interessante anche la ricostruzione di quella felice stagione pittorica della scuola dei "Grigi" che proprio sui prati di Carcare e lungo le limpide acque e le rive della Bormida alberate di tremuli pioppi vide aprirsi i bianchi ombrelli dei pittori genovesi (e torinesi) ai cui quadri la valle offrì ispirazione e colori.
A quello stesso anno risale anche la composizione, di una ricostruzione storica della battaglia napoleonica di Cosseria del 1796 ([1]): erano anni di revival, di rievocazione delle vicende di età napoleonica che venivano interpretate ( un po' ottimisticamente) come eventi presagenti il risorgimento: in quegli stessi anni (1891) Carducci compone la Bicocca di S. Giacomo, che è anch’essa una rievocazione dell’invasione napoleonica della Val Bormida e del Piemonte vista quasi come una premessa delle guerre di indipendenza.
Nel 1885 Barrili compone un’altra opera inserita in una cornice “napoleonica”,
Monsù Tomè, la cui trama si svolge in gran parte in Val Bormida: all’interno di una precisa, e per molti aspetti quasi tecnica, presentazione della battaglia di Cosseria del 13 aprile 1796 e degli eventi ad essa successivi si svolge una improbabile storia d’amore (ovviamente amore impossibile) fra un granatiere piemontese del battaglione Susa assediato nel castello, preso prigioniero e poi liberato e una vivandiera (ovviamente ex viscontessa) francese. E’ una tipica fiction ottocentesca, con la sua cornice di duelli e di sdegnosi rifiuti, stereotipata e tutto sommato abbastanza scontata, inserita in un quadro storico di totale fantasia e fuga dalla realtà: quel terribile bagno di sangue che fu l’invasione francese in Val Bormida viene tramutato in una cortese atmosfera quasi da salotto, con Napoleone che si alza da letto per firmare un salvacondotto al protagonista. A rendere interessante, e per certi aspetti ammaliante, il romanzo è invece la sottile vena di melanconia e di dignitosa tristezza che lo pervade, insufficiente però, a mio avviso, a far sorvolare sull’eccessiva libertà che è presa l’autore nel costruire una assurda e fantasiosa cornice “storica” per ambientarvi la sua opera. Ma dopo i successi delle varie Luise di Rivombrosa di oggi l'opera di Barrili ha almeno una dignità linguistica e letteraria.
Per trovare un’altra produzione “valbormidese” del Barrili occorre aspettare fino al 1894, quando appare una commemorazione funebre di p. Garassini, insegnante del Collegio delle Scuole Pie di Carcare cui il Barrili, sebbene massone e certo non clericale, fu legato e in cui volle che andasse a studiare il nipote..
Negli anni della permanenza in Val Bormida del Barrili cade anche (1895) la pubblicazione di “Con Garibaldi alle porte di Roma”, composta comunque una trentina di anni prima.
Al medesimo anno risale la stampa di un’altra opera ambientata in
Val Bormida:
Il prato maledetto, fosca vicenda d'amore e di morte (come si diceva una volta) ambientata in un medioevo un po' di maniera. Assieme ai precedenti Il libro Nero e Il ritratto del diavolo rappresenta quel filone "gotico" in cui, come scrisse E. Villa, "visioni demoniache svolgono lo scrittore e si addensano fantasticamente a raffigurare in concreto il comportamento degli uomini"(
[2]). Per l’originalità della trama e dei personaggi, specie quelli femminili, una volta tanto lontani dagli stereotipi ottocenteschi, per la precisione e l'incisività dei caratteri, per il contrasto tra la tranquilla atmosfera dell'inizio, la mirabile descrizione del sereno ambiente valbormidese (quale poteva vederlo e viverlo un facoltoso villeggiante) con il "
pasto omerico che fu fatto lassù, con molte libazioni agli Iddii della patria", sotto il fresco pergolato e sulla "
tavola druidica" della casina dei Revei, in quel di San Giuseppe di Cairo, e la cupa tensione del resto della vicenda, questa è forse una delle opere più interessanti del Barrili .
Diamo un'occhiata alla trama. Potremmo definirlo un romanzo eziologico, in quanto spiega l'origine dell'appellativo "prato maledetto" attribuito ancora alla fine dell'800 ad un ampio prato che si estendeva ai bordi della Bormida fra San Giuseppe e Cairo. Siamo nella Val Bormida medioevale della fine del X sec. A Cosseria vive
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La "casa degli Arimanni", pregevole edificio tardomedievale , ora demolito tra il disinteresse generale, che sorgeva sul bordo del "Prato Maledetto! |
un contadino di nome Dodone, con una figlia, Ingetruda, anima fiaccamente cristiana che amava, riamata, un altro contadino, Marbaudo di Biestro. Il Marchese Anselmo, allora felicemente regnante su quelle che saranno poi le terre dei Del Carretto, fedele al principio che la scelta della sposa per il servo appartiene al signore (feudale) si interessa alle di lei nozze.
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Altra foro della "Casa degli Arimanni": credo siano le uniche esistenti |
Organizza pertanto un'originale gara: potrà averla chi riuscirà a falciare nel minor tempo possibile una striscia di terreno di quello che diventerà poi il "prato
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Altro edificio medievale oramai sparito:: la "Casa dei cuori" a Cosseria |
maledetto". Su di lei ha però messo gli occhi non solo il bieco Rainerio, castaldo del Marchese a Cairo, ma poi in successione lo stesso marchese e infine vero principe, ma delle tenebre, il demonio Legio, apparso sotto le mentite spoglie prima di un superbo falciatore, poi del fratello dell'imperatore di Bisanzio. Ne uscirà una trama ricca di colpi di scena, imprese virtuose e operazioni diaboliche fino al finale questa volta tutt'altro che scontato e stereotipato: qualcuno muore, qualcuno impazzisce, qualcuno resta deluso. E il grande prato, situato intorno a quella che è oggi la pizzeria del "Drago" (però, vista la trama del romanzo il nome è indovinato..) una volta ricco di fieni e biade, resterà appunto maledetto, sterile e spoglio. Mille anni dopo si riempirà di gasometri, officine, ciminiere e montagne prima di carbone, poi di cemento.
A Carcare, nella sua amata villa Maura, Barrili si spegnerà il 14 agosto del 1908.
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Anton Giulio Barrili "principe dell'Accademia" nel 1851 |
) BARRILI A. G., La difesa di
Cosseria (13 e 14 aprile 1796), in VALENTINO
P., Memorie storiche del Santuario di
N.S. del Deserto e cenni su Millesimo, Savona 1904 2a, pp.
420-436.