domenica 28 gennaio 2024

FERRIERE TARDOMEDIOEVALI IN VAL BORMIDA


Leonello Oliveri



Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione Vietata


Scopo di questo post è delineare il quadro di quello che potremmo definire il “tessuto

industriale” tardo medioevale dell’alta Val Bormida, specie dei suoi settori “piemontesi” : le ferriere, la loro origine, la loro struttura.

E’ un dato scontato, non privo di fondamento, il definire l’agricoltura come il settore trainante dell’economia delle popolazioni medioevali e post - medioevali. Ciò vale per tutte le zone e in particolare per le zone montane del basso Piemonte e della Liguria ad economia meno diversificata rispetto ad altre. Per quanto riguarda alcuni settori della Val Bormida, l’agricoltura non fu però l’unica voce massicciamente presente nell’ economia.

A partire dal tardo medioevo, infatti, e fino al 1800, accanto all'agricoltura un'altra attività ricopriva un’importanza non trascurabile per la sopravvivenza di interi paesi : quella dell' “industria” delle ferriere e delle forge esistenti in gran numero in diversi comuni dell'alta valle. Alla fine del 1700, quando si respirava già aria di crisi, le ferriere attive in alta Val
Un tipico prodotto delle ferriere
Bormida erano ancora una ventina, cosi distribuite: una a Bardineto (proprietà Balbi-Del Carretto), quattro a Calizzano (una a Caragna di propr. della fam. Benzi di Spotorno, una a Riofreddo di proprietà Grimaldi, Olivieri e Bianchi e due a Frassino, di proprietà dei Franchelli e dei Bianchi), tre a Osiglia (una a S. Antonio, di prop. Grimaldi, una ai Cavallotti, di proprietà Garassini e una ai Ronchi di proprietà Arnaldi), una a Cosseria (Acquafredda, proprietà Balbi Del Carretto), una a Roccavignale, di proprietà del Governo, tre a Bormida (a Pian Soprano e a Pian Sottano, entrambe di proprietà Piantelli, e una a Fornelli di proprietà del Governo), una a Pallare, di proprietà Goluzzi e Crossetti , tre a Mallare (a Soprana e a Codevilla di prop. Piantelli e a Ollano di proprietà Piosasco) e tre a Cairo ( a Ferrania, al Martinetto e a Montenotte, tutte di proprietà del Marchese d’Aix, lo stesso che era proprietario dell’ex abbazia) (1) . Alle ferriere “valbormidesi” si aggiungevano una quindicina di altri opifici analoghi nella zona Sassello-Pontivrea-Tiglieto. Poiché ogni forgia o ferriera occupava direttamente o indirettamente 110 operai (8 addetti alla forgia, 40 carbonai, 50 portatori, 12 mulattieri) nella sola Val Bormida erano disponibili per circa otto mesi all'anno ben 2200 posti di lavoro, una cifra certo non indifferente, anche se una parte di questi (mulattieri e portatori) potevano essere persone della costa, specie della zona di Finale.

Le origini
La fondazione delle ferriere si fa comunemente risalire alla presenza dei benedettini, quindi
indi (per la Val Bormida) al XII-XIII secolo. In realtà anche su questo argomento, come su quello relativo all’origine della lavorazione del vetro ad Altare, manca finora una seria ricerca in grado di chiarirci sia l’epoca di istituzione delle più antiche ferriere valbormidesi, sia la loro origine. Tutto quello che su di esse si scrive circa la derivazione “benedettina”, è infatti basato esclusivamente, almeno per quanto ne so, su ”si dice” di origine imprecisata e continuamente ripresi, a partire dallo Chabrol, un libro di storia locale dopo l’altro. E allora sarebbe meglio scrivere che al momento ignoriamo quando e per opera di chi sia stata impiantata in Val Bormida la prima di esse. Resta il fatto che non si hanno, o quantomeno non conosco, citazioni di ferriere valbormidesi anteriori alla metà del XV sec. (2)
Erano comunque legate alla presenza in loco delle due fonti di energia prioritarie fino alla rivoluzione industriale: il “carbone bianco” (cioè l’energia fornita dall’acqua corrente (o cascante) e quello “nero”, cioè il carbone di legna fornito dal notevole patrimonio boschivo e forestale valbormidese, allora assai curato perché fonte diretta di vita: queste due energie, una motrice l’altra termica, permettevano la lavorazione della materia prima, il minerale di ferro proveniente dall'isola d'Elba, sbarcato a Finale o a Vado e trasportato a dorso di mulo fino alle ferriere.

Il lavoro cominciava nelle ferriere alla fine di ottobre e durava fino a quando la quantità di acqua dei ruscelli che venivano utilizzati come forza motrice era sufficiente, in genere fino alla fine del mese di giugno.

Le ferriere, che per essere impiantate necessitavano di un capitale abbastanza notevole, fra le 25.000 e le 50.000 lire del 1800, quando un carbonaio prendeva due o tre lire al giorno, e richiedevano una cura assidua, erano costruite secondo moduli ripetitivi, e l'organizzazione del lavoro era la stessa in ogni unità produttiva.

Esse erano costituite da tre moduli tipici: innanzi tutto una deviazione più o meno lunga, la “bialera”, un canale a pendenza costante, talvolta semplicemente scavato nella terra, altre volte in muratura o in tavole, in alcuni tratti anche sopraelevato che portava l’acqua dal torrente alla ferriera, costruita per motivi di sicurezza ad una certa distanza dal corso d’acqua. Al termine della bialera c’era spesso un bacino di raccolta per l’acqua (il “bottazzo”) in grado di fornire alla ferriera l’acqua a volume e velocità costante e anche di costituire una certa riserva per garantiva alla ferriera stessa un certo periodo, limitato, di “autosufficienza energetica”. Dal bottazzo un canale portava l’acqua alle due motrici che in genere rappresentavano i “motori “ della ferriera stessa. Una prima ruota, più grande, metteva in funzione il “maglio” con il quale si effettuava la prima lavorazione del ferro, trasformato da “vena” (minerale direttamente proveniente dalla miniera), in masselli pronti alla successiva lavorazione, mentre una seconda ruota più piccola azionava, sempre mediante il semplice ma geniale meccanismo dell’albero a camme, di origine greca ma riscoperto nel medioevo, il “martinetto” dove i grossi masselli del maglio erano trasformati in sbarre più piccole o in prodotti finiti.

In ogni ferriera lavoravano otto «forgiatori», ciascuno con nomi, responsabilità e stipendio
Le "chiavi"  da muro: altro prodotto tipico
propri, divisi tra il maglio e il martinetto. In genere erano pagati a cottimo, un tanto per ogni quintale di ferro prodotto. I carbonai, 40 per ciascuna ferriera, erano dipendenti ( o meglio, produttori-fornitori) «part-time»: da giugno a ottobre lavoravano nei boschi per la produzione di carbone, negli altri mesi si dedicavano ai lavori di campagna: essi erano in genere del posto e probabilmente erano quelli che conducevano la vita più disagiata.

Le ferriere erano autentiche divoratrici di carbone, e quindi di boschi. P. Rossi ricorda, citando il Casalis, che ”ognuna delle cinque ferriere di Sassello produceva mediamente 1000 quintali di ferro” (3). Dato che 1 quintale di ferro “bruciava” quasi 5 quintali di carbone, e che per fare 1 quintale di carbone occorrevano 5 quintali di legna, (quindi 1 quintale di ferro richiedeva oltre 24 quintali di legna) presupponendo una produzione annua di 600 q. li di legno per ogni ettaro di bosco, ogni ferriera bruciava ogni anno 40 ettari di bosco, 800 ettari all’anno per tutte le 20 ferriere alto-valbormidesi. Ecco il motivo delle attenzioni continue e costante che alla tutela dei boschi erano riservate dagli statuti post-medioevali .

Ai carbonai, la cui attività è ancor oggi testimoniata dalla miriade di piazzuole per le carbonaie ormai sommerse nei boschi, ben meno curati di una volta, dell’alta Val Bormida si aggiungevano, per ogni ferriera, fino a 50 portatori di carbone: uomini, donne, ragazzi, impiegati ora alla ferriera, ora in campagna: in una stagione di lavoro ciascuno di essi riceveva mediamente 140/150 lire. In realtà tutti questi salari raramente venivano goduti interamente dagli operai. Infatti presso ogni ferriera funzionava una sorta di «spaccio», chiamato «Buscassa», che anticipava ai dipendenti vino, olio, grano, stoffa ed altre derrate alimentari. Esse venivano poi pagate quando il dipendente della ferriera riceveva il suo stipendio e i prezzi dei prodotti ceduti dalle buscasse riflettevano con abbondanza questa dilazione dei pagamenti, essendo generalmente superiori di un quinto ai prezzi correnti. Vivevano quindi in pratica alle spalle dei dipendenti delle ferriere, a quali anticipavano merci al notevolissimo tasso annuo del 20% (4).

Procedimenti di lavorazione
Nelle ferriere per la produzione veniva usato un particolare procedimento definito «alla catalana»: in pratica il ferro non veniva fuso (il carbone di legna non permetteva il raggiungimento della temperatura sufficiente) ma portato al color bianco e poi lavorato (battuto). Per ciò esistevano due ruote mosse idraulicamente, di cui una metteva in azione il maglio per forgiare i grossi lingotti a sezione quadrangolare partendo dalla materia prima, l'altra azionava il maglietto che trasformava i lingotti nei diversi utensili prodotti dalla ferriera. Il fuoco prodotto dal carbone di legna (di faggio e castagno) era rafforzato mediante un soffio d’aria compressa alla base del fornello, soffio ottenuto prima mediante grossi mantici, anch’essi mossi dall’albero a camme, più tardi (probabilmente almeno a partire dal XVI sec) (CHABROL, p. 258) alimentato da un getto d'aria proiettato dalla caduta di acqua, deviata dal canale di alimentazione, in un grosso tubo troncoconico terminante in una botte chiusa.

La materia prima per la lavorazione era data da minerale di ferro proveniente dall'isola
d'Elba, mescolato col 3% di ferro proveniente da rottami. Si formava un carico di circa 1/1,5 quintali di questa mistura che veniva scaldata per quattro ore da 6 o 7 quintali di carbone. Il conglomerato che ne derivava, purificato dalle scorie, veniva ridotto a una sbarra di sezione quadrangolare mediante il maglio, diviso in due pezzi, nuovamente riscaldato e battuto a più riprese fino a formare il lingotto definitivo. Quest'ultimo era poi lavorato sotto il maglietto, dopo essere stato riscaldato e reso incandescente con carbone di castagno, e infine forgiato nelle forme richieste. Come residuo della lavorazione principale restava sul fondo del fornello una massa di 40-50 kg. di ferro. assai pregiato che, unito ai frammenti staccatisi dalla massa principale durante la lavorazione, veniva utilizzato per quelle produzioni che richiedevano ferro dolce, in particolare ferri per cavalli e muli e cerchioni per ruote.

La fine
L'importanza delle ferriere era enorme, e travalicava la sfera, meramente economica. La ferriera dava vita a una comunità e portava nel paese prosperità, integrando i magri redditi della campagna. «Non vi sono praticamente mendicanti», scriveva nel 1814 il prefetto napoleonico Chabrol riferendosi al paesi sede di ferriere, e vi regna una onestà notevole, particolarmente fra la gente impegnata nelle forge (... ) essi (i lavoratori delle forge) conservano una salute robusta, una forza e una gaiezza inalterabili: vivono d'amore e d'accordo tra loro e senza inquietudini per l'avvenire; formano come una famiglia d'amici dove regna costantemente il buon umore»: una descrizione forse un poco idilliaca e ingenuamente (ingenuamente ?) ottimistica, quale veniva presentata al Signor Prefetto durante le sue visite ufficiali (o tramite i resoconti dei suoi funzionari, il che è la stessa cosa), ma che pare indicare una fabbrica a misura d'uomo, in cui sembrano assenti tensioni sociali.

Ma il fatto che i dipendenti venissero pagati a cottimo (un tanto per ogni cantaro di ferro prodotto giornalmente) e il verificarsi nelle ferriere di incidenti sul lavoro anche mortali (5), ci permettono di intuire una realtà più dura rispetto al dolce quadro tracciato dallo Chabrol.

Col settecento questo tessuto industriale si lacerò.
Meglio, potremmo dire che fu ucciso, dal progresso e dagli uomini.
La morte, successiva ad un lento declino, fu provocata dall'uomo, o meglio dai politici: quando queste terre passarono sotto il controllo della Repubblica di Genova, nel 1713, essa con una politica miope e volta al soddisfacimento delle proprie egoistiche esigenze, strangolò la competitività economica delle ferriere valbormidesi con una serie di tasse e balzelli miranti a favorire l'importazione, tramite le sue navi, i suoi commercianti e il suo porto, di ferro svedese.
In questo caso la miopia di Genova precorse i tempi, in quanto impedì la sopravvivenza (o quanto meno la rese asfittica) di strutture industriali che sarebbero diventate obsolete, ma ci vorrà ancora oltre un secolo, con l’introduzione dell’altoforno in cui il carbone minerale (il coke) permetterà il raggiungimento di temperature elevate in grado di arrivare alla fusione del ferro, cosa che i “bassi fuochi” prodotti da quello vegetale rendevano impossibile.
Ma questa struttura industriale che veniva (prematuramente) uccisa, non sarebbe stata sostituita, per quasi due secoli, da nessuna altra.
E cosi un patrimonio plurisecolare che garantiva lavoro ad una terra in cui l’agricoltura era tanto avara fu distrutto a favore degli interessi della costa.

Circa il funzionamento delle ferriere presentiamo di seguito due documenti : innanzitutto una relazione che ci fornisce informazioni assai interessanti con le quali possiamo ricostruire con una certa precisione l’organizzazione del lavoro nelle stesse. Il documento, di seguito riportato, è tanto più interessante in quanto risale ai primissimi anni del 1800, “fotografando” cosi una situazione che non doveva essere molto diversa da quella tardo medioevale.
Seguono poi le pagine (nella citata traduzione di G. Assereto), che il Prefetto napoleonico Chabrol dedicò alle ferriere.

Il primo documento riguarda le ferriere di Calizzano, ma riteniamo che esso rifletta la realtà delle altre ferriere, o almeno di quelle alto-valbormidesi .

La fonte delle informazioni è data da un manoscritto redatto nel 1807 da un ufficiale al servizio dell' Armée francese (allora questi territori erano stati annessi alla Francia in seguito alle conquiste napoleoniche). Si tratta di una relazione intitolata «Memoire statistique, hístorique et militaire du Conton de Colizzano pour le champ de bataille de Cossería; fait d Calizzano le 18 iuillet 1807 por Louis Brambilla, lieutenent íngénieur géographe». Essa fa parte di quella nutrita serie di mEmorie degli ingegneri geografi francesi già citate in questo blog. Di esse probabilmente si servi anche il conte Chabrol nella redazione dei suoi due volumi di «Statistiche del Dipartimento di Montenotte».

La relazione qui riportata è scritta in un italiano alquanto sgrammaticato: per quanto possibile è stata mantenuta la forma (e gli errori) originale.

Memoire statistique de Calizzano (1807)
«Si trovano in questo Capoluogo (= Calizzano) quattro ferriere dette alla Catalana, e cinque maglietti. Due di queste ferriere sono poste lungo al Torrente Frassino: quella superiore appartiene al Signor Luigi Franchelli e l'altra in Frassino al Signor Pietro Bianchi, attualmente Giudice di Pace. Le altre due sono poste lungo alla Bormida, una è situato in Caragno ed è propria dei Sig. Benzi e l'altra denominata. "La ferriera nuova" è situata sui confini di Murialdo e appartiene al Sig. Oliveri. Se ne trova un'altra a Bardinetto lungo alla Bormida.

Queste ferriere travagliano circa sette mesi all'anno, ma quelle che sono attigue alla Bormida vanno fino a 9 mesi. Ciascheduna ferriera è servita da cinque uomini. Ciascheduno fa funzioni diverse e porta un nome diverso ed hanno una paga differente. Essi portano i seguenti nomi.

Il primo si chiamo il mastro, il secondo degentino (?), il terzo scaldatore, il quarto e il quinto pistoni ; qualche volta si aggiunge il vicario, questo è un aiutante del Mastro pagato dal medesimo. Si devono poi aggiungere due uomini per servire il mqrtinetto dove si riduce il ferro sottile, e questi uomini sono chiamati il primo il martè e I' altro il scaldatore, e parimenti hanno una paga differente. Il Scaldotore carica la forgia di carbone, circa 20 sacchi, il Pistone (carica la forgia) della vena (= minerale di ferro) dopo averla ridotta in piccole fregole, parimenti riduce il ferro agro (= introduce il ferro da mescolarsi al minerale) e poi ne pesta circa cinque cantari (= 240 Kg.) di vena e uno di ferro agro e poi poco per volta li mette sul fuoco ardente, fa fuoco ed assiste continuamente la forgia col degentino e un aiutante e sta con molta attenzione per la formazione del biasso (?) perché il metallo sia ben liquefatto e ridotto alla suo perfezione.

Ordinariamente ci vogliono quattro ore continue di fuoco ardente. Dopo ciò si prende questo gran massiccio di metallo con un tenaglione, il degentino lo porta sotto il gran maglio. Il mastro lo prende e lo regola sotto il detto maglio sin tanto che possa tirarlo e dividerlo in cinque pezzi e di quelli poi li riduce in gran barre e li manda al maglietto per polirlo e formarlo in lastre.

La vena (= minerale di ferro) costa all'isola d'Elba per cantaro data a bordo un franco. Per
Tipico prodotto delle ferriere:
martello e incudine per  le falci da fieno

il trasporto dalla detta isola fino a Finale circa un franco e per li diritti e bolle 45 centesimi e per la condota (=il prezzo dei trasporto) ai mulattieri si paga ordinariamente sino alle dette ferriere un franco e 10 centesimi. La vena rende ordinariamente il 45% ma se si trova di buono qualità rende il 50 per cento ma attualmente è molto inferiore visto che il Governo non fa più scavare nel fondo della miniera ma la fa prendere superficialmente per diminuire la spesa.

I lavoranti della ferriera e del maglietto vengono pagati un tanto per cantaro e (le tariffe) sono le seguenti, in moneta di Genova, una lira di Genova equivale a 80 centesimi:

al mastro di maglio soldi 12, il vicario, pagato dal mastro, soldi 4, al degentino soldi 8, al scaldatore soldi 6, ai pistatorí soldi 3. Tutti lavoranti durante le 24 ore producono circa 10 cantari. La paga dei lavoranti dei maglietto, anche essi pagati una tanto al cantaro, sono: al Martlè soldi 8, al scaldatore soldi 6. (1 lira, o 1 franco, era divisa in 20 soldi).

Alle ferriere si consuma il carbone di faggio, atteso che è più forte, e quello di castagna si adopera al martinetto per sua dolcezza. Il prezzo del carbone di faggio per sacco è soldi 10 di Genova, equivale al peso di circa due rubbi (16 kg.) di Genova, quello di Castagna soldi 9 e del peso minore di 2 rubbi. La ferriera e il martinetto consumano nelle 24 ore circo 200 rubbi di carbone e nel corso di 8 mesi ascende a 30 mila sacchi. Il ferro agro (= quello che veniva mescolato al minerale) si paga ordinariamente al cantaro L. 9 di Genova. Questo ferro si mescola con l'altro e se ne mette una sesta parte la quale lo rende più dolce e più facile a liquefar la vena. Il ferro di codesti contorni che si fabbrica è della miglior qualità che esiste in Europa. La sua qualità è dolce, si tira con molta facilità e si riduce quasi alla perfezione mentre è molto stimato e ricercato dai forestieri a preferenza di tante altre provincie, come infatti si vende con maggior vantaggio.

La spesa più forte per far andare la ferriera è quella per provvedere il carbone, circa 30 mila sacchi, spesa che può ascendere a 15 mila franchi. Poi c'è la provvista della vena di circa 3 mila cantara e del ferro agro. Ci vuole un capitale per pagare giornalmente li trasporti di questi generi come pure i lavoratori della ferriera e del martinetto; tutta questa spesa può ascendere a 30 mila franchi. Generalmente le ferriere buone si affittano a 3 mila franchi, il padrone è obbligato alla riparazione della medesima, che può calcolarsi annualmente alla somma di 700 franchi.

Vicino a tutte le ferriere esiste una piccola osteria volgarmente detto la "buscassa". Questa serve per dare da bere e da mangiare tanto ai mulattieri che portano la vena come a quelli che trasportano il ferro, oltre ci carbonari che conducono il carbone alla ferriera e ai lavoranti della medesima e del martinetto. Questa buscassa vende olio, fidelli, meliga, grano etc. Generalmente anticipa ai poveri carbonai questa sorte di generi per soccorerli ma costa assai mentre il padrone della Buscassa soleva mettere in conto un quinto di più di quanto vale ordinariamente, insomma questa bottega rende assai sulle spalle dei poveri miserabili.

Una ferriera buono che abbia una quantità d'acqua sufficiente per fare andare 9 mesi all'anno e che sia bene assistita, dedotte tutte le spese ed il fitto, può rendere la somma di cinque mille franchi».

Il secondo “documento” è uno stralcio delle “Statistiche” di Chabrol (6)

Chabrol de Volvic, ottimo prefetto napoleonico
del Dipartimento di Montenotte dal 1806 al 1812

Ferriere

I boschi del dipartimento si estendono su tutta la linea degli Appennini, da Bardineto fino a Ronco Scrivia, sopra Genova. Da questa catena sgorgano diverse sorgenti che danno vita alle due Bormide, all'Erro e all'Orba, nel bacino del Po, nonché a vari torrenti che si gettano nel Mediterrano. Per una parte dell'anno c'è acqua in abbondanza, e la pendenza con cui scorre favorisce la creazione di opifici. La prossimità dei mare, inoltre, facilita il trasporto delle materie prime e dei prodotti. Tutte queste condizioni favorevoli hanno indotto i proprietari a costruire un gran numero di ferriere.

Epoca dell'installazione
Furono i benedettini i primi a costruire, verso il XII secolo, un impianto del genere ad Osiglia, e poi un altro nei pressi di Cairo. Il successo ottenuto fece si che ben presto se ne creassero parecchi, fin oltre Calizzano. Da allora, queste montagne selvagge e abbandonate cominciarono a popolarsi, e vennero costruiti diversi villaggi. Nel Quattrocento tali impianti si estesero verso Sassello, e infine sino a Ronco Scrivia; oggi su tutta questa linea se ne contano 46, che sarebbero in grado di fornire 35-40.000 quintali decimali di ferro, per un valore di circa due milioni al prezzo attuale di 53,3 franchi al quintale metrico. Si è cercato di costruire delle ferriere anche lungo i torrenti che scendono verso il mare, e precisamente una presso Savona e l'altra a Calice, vicino a Finale; ma questi impianti sono da tempo in rovina, soprattutto a causa della scarsità di acqua e della distanza dei boschi. Poco tempo fa ne è stata aperta una presso Magliolo, e sembra destinata a prosperare. Fabbrica attualmente circa 300 quintali metrici di ferro, che potrebbero arrivare a 1000 o 1100.

Numero attuale delle ferriere
Delle 33 antiche ferriere esistenti nel dipartimento di Montenotte, da Bardineto sino a Martina, molte adesso sono in rovina, a causa sia della povertà dei proprietari che non possono anticipare i capitali necessari per rimetterle in funzione, sia dei regolamenti stabiliti verso il 1730 dal governo genovese, e rinnovati con maggior rigore dalla Repubblica Ligure nel 1798. Genova trovava più conveniente far arrivare il ferro dall'estero e vietare quello locale, per aumentare il proprio commercio; perciò inizialmente impose un dazio d'ingresso di 6 soldi e 4 denari su ogni quintale di ferro, e di 17 soldi e 6 denari sull'importazione del minerale di ferro dall'isola d'Elba; negli ultimi tempi, poi, mise un'imposta del 15% sul ferro prodotto.

Da quel momento, l'industria entrò in grave crisi e molte fabbriche fallirono; nel contempo si importarono e si vendettero con profitto i ferri di Svezia. E’ questa la principale ragione dei calo di produzione: infatti sembra certo, in base alle informazioni raccolte, che i boschi attuali sarebbero sufficienti ad alimentare tutte le 46 antiche ferriere della Liguria, senza compromettere la crescita degli alberi da costruzione. Se in qualche punto della linea su cui esse sono situate c'è da temere una scarsità di legna, questo avviene semmai dalle parti di Ronco Scrivia, fuori del dipartimento; qui, invece, gli alberi adatti a fare carbone talvolta vengono addirittura lasciati morire sul posto, specialmente ad Osiglia.
La posizione delle ferriere è più o meno vantaggiosa, a seconda della vicinanza dei boschi e dell'abbondanza d'acqua. Si inizia la produzione verso la fine di ottobre e la si continua sino alla fine di giugno; in questa stagione, a volte, l'acqua è ancora abbondante, ma la calura costringe ad interrompere i lavori, a meno che non ci siano ordinazioni urgenti da soddisfare.

Valore degli impianti
Per ottenere un profitto, è necessaria una grande attenzione; una ferriera non assicura al proprietario che vuole affittarla un reddito proporzionato al valore degli impianti. Si calcola che, per costruire un simile stabilimento, occorrerebbero 30.000 franchi, ma non si riuscirebbe a venderlo per più di 15.000; lo si affitta per 6-9 anni a 1.500 franchi, e restano a carico del proprietario sia la manutenzione del canale che porta l'acqua, sia le riparazioni agli edifici, i quali hanno il tetto di legno ed è quindi facile che si deteriorino, specie in caso di abbondanti nevicate. Anche dei danni causati dagli incendi deve rispondere il proprietario, a meno che il fuoco non provenga dal magazzino del carbone, perché allora sono a carico dell’affittuario. Il reddito netto si riduce quindi a soli 7-800 franchi, ragion per cui il sistema dell’affitto è motto raro. Di solito le ferriere sono condotte da un direttore, che viene pagato dal proprietario. In questo caso il reddito risulta sia dall'utile sul commercio del ferro, sia da quello sulla osteria allestita per le molte persone che lavorano giornalmente alla ferriera.

Amministrazione
Il proprietario è costretto ad effettuare un investimento considerevole. Ci sono in proposito due modi di amministrare una ferriera; secondo il primo di essi, il proprietario che voglia trarre tutto l’utile possibile dal suo impianto, all'occorrenza attendendo anche due anni prima di vendere con profitto il suo ferro, per mettere in funzione una fabbrica che produca 900-1.000 quintali metrici di ferro deve anticipare i seguenti capitali:

1) 13.000 franchi per acquistare 30.000 sacchi di carbone del peso di circa 20 kg. l'uno, e del costo di 8-10 soldi;
2) 12.000 franchi per approvvigionarsi di vino, grano ed altre derrate per l'osteria, nonché di pezze di stoffa per il vestiario delle famiglie che lavorano alla ferriera;
3) 8.500 franchi per mantenere 12 muli e i loro conducenti, impiegati in continuazione a trasportare il ferro in un magazzino situato sulla costa, e a portare il minerale dalla costa alla ferriera;
5) circa 6-7.000 franchi per pagare 50 persone che portano il carbone, tra uomini, donne e bambini;
6) infine 6.500 franchi per pagare 40 carbonai, che lavorano cinque mesi all'anno.

Una parte del loro salario questi operai lo ricevono in natura tramite l'osteria, da cui prendono tutto quel che è necessario a mantenere se stessi e le loro famiglie. Lo stesso avviene per gli otto operai che lavorano in ciascun impianto. L'abitudine che essi hanno di spendere tutto quel che guadagnano, fa si che alla fine del lavoro non si debba pagare loro più di 1.200-1.500 franchi in contanti. Sommando tutti questi importi, si vede che, nel caso di un’amministrazione in grande, è necessario un investimento di circa 50.000 franchi.

Secondo l'altro metodo di amministrazione, il proprietario può anche lavorare investendo solo 25.000 franchi; ma in questo caso è costretto a comperare i viveri a credito, e a vendere il suo ferro anche se le condizioni non sono le migliori; spesso ci rimette sulla scelta e sul prezzo del minerale; a volte gli operai lo abbandonano per cercare un'osteria più fornita, che possa anticipare qualcosa per le necessità delle loro famiglie.

Operai
La manodopera necessaria per la lavorazione si compone di un conduttore, pagato 250~400 lire escluso il mangiare, e di otto operai, dei quali sei lavorano alla fusione o al maglio a due al maglietto. Il maestro da ferro è pagato un franco e 16 centesimi per ogni quintale decimale di ferro prodotto, ed è tenuto a mantenere il suo aiutante; i due fonditori sono pagati 16-17 soldi per quintale decimale; infine gli addetti alla macinazione del minerale prendono 1 0 soldi ciascuno per ogni quintale decimale, ed hanno anche il compito di estrarre il massello dal forno. Per il maglio occorrono un maestro e un fuochista, pagati il primo 16-17 soldi per quintale decimale, il secondo 10. In certe occasioni, tutti questi operai ricevono inoltre delle gratifiche.

Ancora un prodotto delle ferriere
Allo stabilimento sono addetti 40 carbonai, che lavorano per circa cinque mesi, da giugno ad ottobre. Possono guadagnare da due lire e 10 soldi sino a tre lire al giorno; li si ingaggia pagando loro degli anticipi; in genere sono del posto, e fanno gli agricoltori quando è finita la stagione del lavoro nei boschi. I portatori di carbone, che sono 50 tra uomini, donne e bambini, lavorano alla ferriera per la maggior parte dell'anno, e specialmente quando il lavoro nei campi ha meno bisogno delle loro braccia. Si può calcolare che ogni ferriera in grado di produrre 1.000 quintali decimali di ferro occupi all'incirca 110 uomini, per lo più durante la cattiva stagione

Costumi degli operai
Ognuno di questi impianti è dunque estremamente utile per il paese in cui sorge; cosi, quasi non si vedono mendicanti e regna una grande onestà, soprattutto tra la gente che lavora alle ferriere. Se qualcosa viene a turbare l'ordine di questi villaggi, è colpa dei ladri di campagna, forestieri o fannulloni che approfittano dell'assenza degli operai per rubare loro il grano; altri reati non se ne commettono.

La categoria che sembra più fortunata è quella dei maestri da ferro; impegnati notte e giorno nel lavoro più faticoso, conservano tuttavia una buona salute, una forza e un'allegria inalterabili; vivono d'accordo tra loro, e senza timori per l'avvenire; formano come una famiglia di amici, nella quale regna sempre il buonumore, e se nasce qualche discordia preferiscono separarsi. Risparmiano poco di quel che guadagnano, e non diventano mai ricchi. Non sono mai colpiti dalle malattie che regnano nel paese, e giungono ad un'età molto avanzata. £ rarissimo vederli morire prima dei 70 anni, e parecchi sono arrivati, senza la minima infermità, sino ad 80-85 anni. Cominciano il loro apprendistato a 18 anni. In genere l'aria, in tutti questi stabilimenti, è piuttosto sana, grazie alla forte pendenza delle acque.

Metodi di fabbricazione
I procedimenti in uso sono quelli delle ferriere alla catalana; nel paese non esistono altiforni e non si produce ghisa. I macchinari consistono in due ruote, una delle quali fa muovere il maglio per squadrare le masse all'uscita del forno. Da circa 300 anni ai mantici delle comuni fucine ne sono stati sostituiti altri, formati da un tubo nel quale si fa cadere l'acqua corrente; grazie all'altezza della caduta, essi producono una fortissima ventilazione.

Il minerale si importa dall'isola d'Elba e proviene da due diverse miniere, la nuova e la vecchia; quello estratto da quest'ultima dà una resa in ferro pari alla metà del suo peso, mentre l'altro rende solo un terzo e, benché sia meno caro, non conviene utilizzarlo; tuttavia fornisce un ferro di buona qualità, forse preferibile all'altro. Il minerale che si adopera attualmente è composto di entrambi i tipi, ma questa mescolanza suscita reclami da parte dei fabbricanti; la colpa è della malafede dei mercanti che acquistano il minerale, e spesso anche dei marinai che lo trasportano. Sarebbe opportuno reprimere questo abuso con qualche regolamento e con un'attenta sorveglianza al momento dell'arrivo delle materie prime.

Una volta fatta la provvista di minerale, lo si macina, e poi lo si mescola con un trentesimo del suo peso in ferro colato e frantumato, o con uguale quantità di ferraglia; sembra che, senza questa miscela di ghisa o di ferro, il minerale renda di meno e la spesa per il carbone sia più alta. Il massello prodotto inizialmente pesa all'incirca un quintale e mezzo o due quintali. Per farlo occorrono da sei a sette quintali e mezzo di carbone di faggio, e quattro ore di fuoco. Il massello, tolto dal fornello, viene purgato dalla loppa, squadrato col maglio e rotto in due pezzi, che vengono riscaldati nel medesimo fornello, e a più riprese, per ottenere il ferraccio destinato ad essere battuto sotto il maglietto. Questo ferro viene trattato in un altro fornello con carbone di castagno, che è più dolce, e mediante il maglietto gli si dà la dimensione e la forma desiderate.

Sul fondo del fornello, dopo che si è tolto il massello principale, resta un altro massello che pesa 30-50 kg; esso fornisce un ferro migliore, che viene lavorato a parte nelle fucine dove si desidera ottenere dei bei prodotti. Inoltre si raccolgono alcuni pezzi di ferro che sfuggono da sotto il maglio e che, messi insieme e battuti, danno un metallo molto malleabile e dolcissimo. Lo si usa per ferrare i cavalli e cerchiare le carrozze, e si calcola che corrisponda ad un ventesimo del prodotto totale.

Diversi tipi di prodotti
Con il maglietto si fabbricano diversi tipi di ferro; quello che determina il prezzo è il ferro piatto, che rappresenta circa la metà della produzione. Si lavora anche il ferro in barre e in lamine per i cerchi delle botti, e in tondelli o quadrelli per i chiodi delle navi. In qualche ferriera si fabbricano pezzi da àncore, spediti poi a Savona dove vengono saldati in una manifattura molto rinomata.

Qualità dei prodotti
Il ferro del dipartimento di Montenotte può gareggiare in tenacia, dolcezza ed elasticità con tutti i ferri conosciuti; messo in opera, si piega ma non si spezza, ed è particolarmente adatto agli impieghi che richiedono grande resistenza. Spesso, però, ha il difetto di essere fragile a caldo, e allora è difficile da lavorare e produce molto scarto, oltre a far sprecare tempo e combustibile. Pare dimostrato che questo inconveniente non sia senza rimedio, e che le fabbriche potrebbero fornire un ferro eccellente a caldo e a freddo, se si avesse maggior cura nella scelta e nella selezione del minerale, talora misto a piriti, e se lo si mescolasse solo con ferraglia di buona qualità. I conduttori delle ferriere ne convengono, ma a questo perfezionamento si oppongono il prezzo basso del ferro sul mercato, e la necessità di uniformarsi sempre ai prezzi correnti per essere sicuri di vendere.

Perfezionamenti possibili
Il signor Barbé, direttore dell'artiglieria di Genova, ha fatto in proposito numerose prove pienamente soddisfacenti. Dai suoi esperimenti risulta che nelle ferriere di Montenotte è possibile fabbricare dell'ottimo ferro per le costruzioni navali. Sarebbe auspicabile che il governo vi impiantasse uno stabilimento: i perfezionamenti che esso non mancherebbe di introdurre nella fabbricazione del ferro non tarderebbero ad essere apprezzati dai più illuminati tra i proprietari di ferriere, e i buoni esempi si diffonderebbero. A Genova e a Tolone, la marina avrebbe a disposizione ferro eccellente a basso prezzo. Il consumo aumenterebbe, questo ramo di industria tanto importante conoscerebbe ben presto un nuovo sviluppo e diventerebbe ancora più utile. Si potrebbero creare con vantaggio delle fonderie, che sono ancora sconosciute in questo paese.

Il ferro qui è cosi duttile che si potrebbe anche impiantare con successo una fabbrica di latta. Due proprietari del posto, i signori Piantelli e Bianchi, hanno appunto intenzione di avviarne una nelle loro ferriere; per farlo, avrebbero solo bisogno di conoscere gli opportuni procedimenti e di avere a disposizione una persona pratica di questa lavorazione. Le ferriere allora diventerebbero ancor più importanti, e potrebbero in gran parte liberare il paese da un tributo che esso ha per molto tempo pagato alla Germania, all'Inghilterra e alla Svezia.

Mezzi per favorire questo ramo di industria
L'apertura delle nuove strade, facendo diminuire le spese di trasporto, rappresenterà un enorme vantaggio per le ferriere, ma il governo può anche incoraggiarle con utili regolamenti. Ecco quel che bisognerebbe fare in proposito.
1) Disciplinare i tagli nei boschi comunali e regi, affinché le risorse necessarie all' approvvigionamento delle ferriere vengano assicurate ogni anno, e i boschi siano sempre sufficienti ad alimentare i forni.
2) Incaricare una camera consultiva di sorvegliare ed esaminare il minerale importato, per impedire la vendita di quello che non sia di buona qualità: perché i mercanti, attualmente, cercano di procurarsi un guadagno illecito, che nuoce al commercio.
3) Creare uno stabilimento per la marina in una ferriera appartenente al governo, al fine di diffondere, come abbiamo detto, i buoni procedimenti: questo progetto è già stato sottoposto al ministro della marina.
4) Favorire la vendita, stabilendo un dazio d'entrata sul ferro estero che in passato arrivava a Genova, e specialmente su quello svedese che si importa da qualche anno.
5) Infine incoraggiare la creazione di fonderie e laminatoi, accordando un premio ai fabbricanti che ottenessero qualche successo in questo campo.

Guadagno del proprietario
Ora non rimane che stabilire quale sia il guadagno del proprietario e del dipartimento in questo ramo d'industria. Un quintale decimale di ferro costa al proprietario, in fabbrica, circa 41 franchi; bisogna poi pagare il trasporto sino al mare e le spese di magazzino. Su questa base si potrebbe valutare a circa 7-8.000 franchi l'utile di una ferriera bene amministrata che produca 900-1.000 quintali. Bisognerebbe aggiungervi circa 2.000 franchi ricavati dall'osteria, ma nel contempo detrarre gli interessi del capitale necessario per far funzionare l'impianto. Nel 1797 questa attività era più redditizia. Il ferro veniva venduto ad un prezzo medio di 40-41 franchi, e alla ferriera costava solo 29 franchi e 4 centesimi; l'utile annuo per i fabbricanti doveva essere di 9-10 franchi al quintale, mentre ora il guadagno non basta a ripagare la loro industria e il loro lavoro.
L'aumento dei costi di fabbricazione dipende dal prezzo dei carbone, che da un po' di tempo è salito in media da 9 a 11 franchi la misura, ma soprattutto da quello del minerale, che prima costava sul posto solo 4 franchi e 2 centesimi, perché ora una gran parte di questo minerale viene estratto dalla miniera nuova, che rende molto meno della vecchia.

Guadagno del Dipartimento
Per sapere quanto frutta al dipartimento questo genere d'industria bisogna detrarre dal valore totale del ferro il prezzo delle materie prime d'importazione. Secondo le informazioni assunte sembra che, data l'ubicazione dei boschi, la legna non varrebbe nulla se non esistessero le ferriere: perciò in pratica essa non va considerata nel calcolo degli utili. Attualmente ci sono 28 ferriere in attività, che insieme producono 16.800 quintali decimali di ferro, e precisamente: un quarto di ferraccio che si vende a 50 franchi; metà di ferro piatto che si vende a 53,3 franchi; un ottavo di lamine a 66,7; un ottavo di tondino a 53,3. Complessivamente dalle vendite si ricavano 909.720 franchi, dai quali bisogna detrarre il prezzo di 39.600 quintali decimali di minerale a 5 franchi il quintale, e di 1.100 quintali di ferraglia a 24 franchi; il totale di queste detrazioni ammonta a 290.400 franchi, e ne risulta per il dipartimento un utile di 619.320 franchi.

Nel 1789 la produzione era maggiore; secondo calcoli fondati su basi sicure, le ferriere fabbricavano un quarto in più rispetto ad oggi; ce n'erano 29 in attività, la domanda era forte, e il ferro svedese non era ancora apparso sul mercato. Allora si producevano 21.750 quintali decimali di ferro, che avevano un facile smercio. Adesso si chiede l'autorizzazione di riattivare alcune ferriere che appartenevano al governo e che sono andate in rovina; e si può sperare che sei di queste, in capo a pochi anni, vengano ripristinate. Quando il mercato sarà più sicuro, il prezzo dei ferro salirà, in tal modo la produzione aumenterà di oltre un quinto, vale a dire circa 5.000 quintali in più. Il prodotto medio di una ferriera, che ora è di soli 600 quintali, secondo il parere dei fabbricanti arriverà almeno a 750, e di conseguenza la produzione totale aumenterà di un altro quarto, e supererà i 27.250 quintali decimali.

Commercio del ferro
La vendita del ferro dà luogo ad un commercio piuttosto importante. Si usa trasportarlo in un magazzino vicino al mare, dove i mercanti vengono a rifornirsi; il fabbricante che ha pochi fondi effettua le vendite a settembre, mentre quello che ne ha di più aspetta anche due anni.

Se la pioggia non comincia a cadere alla fine dell'autunno, il periodo favorevole per vendere è novembre. 1 mercanti, che sono di Porto Maurizio, di Finale, di Alassio e di Savona, hanno in genere tre mesi di credito. Di solito il ferro veniva esportato in Sardegna, nelle Romagne, in Piemonte, a Napoli e a Marsiglia, e si capisce quanti ostacoli incontri oggi questo commercio: le richieste sono poche, ed è senza dubbio da tale stagnazione che dipende il basso prezzo dei prodotti; ma la pace riaprirà i mercati, e farà tornare il ferro al suo giusto valore (7).


Leonello Oliveri



Propr. Lett. riserv.
Riprod. Vietata

Il presente post è la rielaborazione di uno studio  pubblicato dall’A. in Miniere, fucine e metallurgia nel Piemonte medievale e moderno, Rocca de’ Baldi, 1999.



1) Chabrol de VOLVIC, Statistica delle provincie di Savona, di Oneglia, di Acqui e di parte della provincia di Mondovì che formavano l’antico Dipartimento di Montenotte, Parigi, 1824, trad.  it. di G. ASSERETO, Savona 1994, p.263.

2) F. CICILIOT, Val Bormida tra medioevo ed età moderna. Fonti e frammenti di storia economica, sociale e culturale, in “Atti I° Convegno storico Valbormida e Riviera”, 22/23 ottobre 1983, Millesimo, p.40., P. VALENTINO, Memorie storiche del Santuario di N.S. Del Deserto e cenni su Millesimo, Savona 1904, p. 401, cita un documento del 1546 secondo il quale prima di quell’anno nel territorio del contado di Millesimo c’erano “iam 60 fucine a clavibus et ferramentis et nunc nisi octo vel decem “ : si tratta di ferriere o di semplici fabbri ferrai ?

3) P. ROSSI, Le ferriere di Sassello, Sassello, 1989, p. 34- 35.

4 ) G. ASSERETO, nella citata traduzione delle statistiche dello Chabrol, definisce opportunamente questo un “truck system”, un sistema di baratto, per pagare in denaro ai dipendenti solo una piccola parte del loro stipendio.

5) Nell’Archivio parrocchiale di Cosseria, Registro dei morti, 1685-1790, leggiamo infatti la testimonianza di un infortunio capitato a “Iohannis Paulus Canepam loci Millesimi”, il quale in seguito ad  un  repentino accidente acceptus in ferreo edificio Aquaefrigidae” accadutogli cioè nella ferriera di Acquafredda, mori ( obit) il 5 agosto 1783..

6) op. cit., II, pp. 254-262.

7 ) Le pagine dello Chabrol sono riportate nella traduzione di G. Assereto (G. Chabrol DE VOLVIC, Statistica del Dipartimento di Montenotte, a cura di G. ASSERETO, Comune di Savona, 1994, vol. II, pp. 254-262) che qui si ringrazia per la concessione all’uso della traduzione.