LEONELLO OLIVERI
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Una delle più centrali ed animate piazze carcaresi è intitolata aGiuseppe Sapeto. Ma in quanti, a Carcare, sanno qualcosa su questo signore? Eppure il carcarese Giuseppe Sapeto fu un personaggio interessante e dalla vita avventurosa, una sorta di Indiana Jones dell’800, esploratore di quella che allora si chiamava l’Africa nera, selvaggia e misteriosa.
Chi sa oggi a Carcare che proprio lui, il carcarese Sapeto, acquistò un pezzo d’Africa e ne fece dono all’Italia? Chi sa che quello fu l’atto di nascita della prima colonia italiana in terra africana?
Giuseppe Sapeto, carcarensis
“Giuseppe Sapeto, figlio Bartolomeo e Anastasia Germano, nacque a Carcare il 27 aprile 1811 e chiuse oscuramente la sua lunga ed avventurosa vita a Genova il 25 agosto 1895, dopo aver reso alla patria, con zelo ed abnegazione, segnalati servigi che non furono adeguatamente apprezzati. A lui, assertore convinto della convenienza per l’Italia di possedere una colonia in Oriente, si deve la fondazione marittima italiana sul Mar Rosso”: così nel 1939 Tito .da Ottone ricordava in un suo scritto (1) l’esploratore carcarese che diede all’Italia la sua prima colonia.
Cerchiamo di conoscere meglio questo personaggio di cui nel ’95 c’è stato il centenario della morte.
Missionario in oriente Compiuti i primi studi nel locale Collegio delle Scuole Pie (1), A 18 anni, nel 1829, il nostro Giuseppe entra in seminario, nell’ordine dei missionari lazzaristi di S.Vincenzo de Paoli. Questo ordine possedeva una casa in Libano -anzi, in Siria- e proprio in quel tormentato paese Giuseppe iniziò la sua attività evangelica nel 1835.
Dal Libano passò, non ancora trentenne, all’Egitto, al Cairo, dove incontra gli esploratori francesi D'Abbadie che gli propongono di accompagnarli in alta Etiopia. Sapeto accetta e nel 1838 sbarca a Massaua, in Abissinia. Ciò fece di lui il primo missionario cattolico che penetrava, due secoli dopo la cacciata dei gesuiti portoghesi, nel “regno cristiano” (sia pur monofisita: ricordiamo che la Chiesa etiopica, essendo una diocesi della Chiesa d’Egitto, seguiva la religione copta) di Etiopia.
Nel porto eritreo di Massaua, Sapeto fonda una missione per la sua congregazione; l'anno successivo si spinge ad Adua, sempre allo scopo di estendere la zona di attività dei missionari lazzaristi (3). Attività non facile, vista l'ostilità del clero e della popolazione locale, e la "concorrenza" da alcuni missionari protestanti inglesi. Furono anni difficili, nei quali il Sapeto scampò anche ad alcuni attentati: "
I nemici mi propinarono un veleno ma Dio non volle la mia morte e la scampai per una tazza di latte che bevvi subito dopo, per estinguere il fuoco che mi bruciava lo stomaco"scrisse più tardi. Passarono alcuni anni e il Sapeto, con i suoi due confratelli (De Jacobis, Montuori) penetrano nell'interno dell'Etiopia:
"tre miseri corpi abbandonati dal mondo, nutriti di fede e spogli di ogni arma (..) tre grani da semina ventilati sopra un campo di oceanica grandezza" (4)
Nel 1842 Sapeto, gravemente malato e amareggiato per le incomprensioni incontrate nel suo ministero in Etiopia, lascia l'Etiopia diretto al Cairo. Al Cairo scoprì di essere stato trasferito in Siria (5
]). Nel '45 viene infine richiamato in Italia .
Nel 1851 Sapeto può finalmente ritornare in Africa, avendo ricevuto dall'Istituto per la Propagazione della Fede l'incarico di visitare le regioni dell'Etiopia a nord est di Adua. In questo incarico ebbe come compagno un altro sacerdote - esploratore, anch’esso carcarese, il p. Giacinto Stella (6).
Motore del viaggio, oltre alla vocazione evangelica, fu il forte richiamo che l’Abissinia esercitava sul Sapeto esploratore e naturalista: anzi, come ebbe a dire il cardinale Massaia (altro celebre missionario cattolico cappuccino dell’alta Etiopia), “si portò in Abissinia con doppio scopo, religioso e scientifico (..) ed in verità si occupò più di ricerche naturali che di ministero sacerdotale”(7).
Sapeto aveva intuito che per avvicinare l'Africa alla religione cattolica, bisognava innanzitutto "approfondire la conoscenza della storia, della letteratura, della poesia, della religione di un popolo che queste manifestazioni dello spirito umano possedeva".
Al servizio di due bandiere
Viaggiò infatti in lungo ed in largo attraverso l’Abissinia, penetrando in zone fino ad allora interdette ai viaggiatori europei. Fu nella regione etiope del Sennateit, tra le popolazioni dei Mensa, Bogos, Abad. Di tali tribù riuscì a conquistarsi la fiducia e la simpatia, grazie soprattutto alla ferma posizione che assunse nei confronti delle autorità egiziane che spesso tolleravano il saccheggio di quei territori da parte dei loro funzionari. Attentissimo osservatore del paese che percorreva, raccolse una grande quantità notizie sui territori abissini, e di testimonianze della loro cultura: manoscritti, breviari, raccolte di costituzioni civili e canoniche, legionari e salterii, laudi e traduzioni di vite di santi raccolte nei monasteri copti di Axum, Adua, Gondar, Lalibala, Tzalot. Questo materiale, oggi ancora in parte in Italia, costituirà poi la base di quel suo “Viaggio ai Mensa, ai Bogos e agli Habab” pubblicato nel 1857, che larga fama gli procurò negli ambienti geografici italiani.
Nei confronti dell’Africa, e dell’Etiopia in particolare, Sapeto si pose in modo però ben diverso rispetto a quello di tanti altri europei, interessandosi non solo all’aspetto geografico - naturalistico ma soprattutto allo studio storico - archeologico delle civiltà e dei popoli attraverso i quali passava.
In Abissinia i nostri due carcaresi tentarono anche di dar vita ad una colonia agricola, la prima italiana in territorio africano: questo tentativo, ideato con lo scopo precipuo di migliorare le condizioni di vita dei locali, si trascinò però stancamente per poi spegnersi tra l’indifferenza generale, segnando la fine di un tentativo che, se “sostenuto e soccorso in tempo, come fu fatto notare da un contemporaneo, poteva essere germe di un lieto avvenire” .
Sapeto riprese allora la sua attività, allargandola dal campo più strettamente geografico a
quello diplomatico - politico: consapevole del ruolo che l’Africa orientale avrebbe svolto nell’ambito delle comunicazioni con l’oriente dopo l’apertura del canale di Suez e attento alle implicazioni commerciali che avrebbero potuto derivarne per l’Italia, fin dal 1846 auspica così l’istituzione di un consolato italiano (ma allora si diceva sardo) a Massaua: "
se venisse aperto l'istmo di Sues -scriveva in quegli anni-
l'Abissinia non sarà più la regione iperborea che fu fino ai dì nostri: (..) il commercio italiano aprirà prontamente sulle sue sponde i vecchi empori, che i veneziani avevano sul mar Rosso, con un grande incremento di ricchezza e di industria"(8).
La sua conoscenza della zona, e la stima che si era guadagnata fra le popolazioni indigene, spiega la sua partecipazione nel 1859, in qualità di interprete, ad una missione che il ras Negussiè, ribellatosi all’imperatore etiope Teodoro II (1855-1868), inviava al papa Pio IX e a Napoleone III per chiederne l’aiuto dopo aver invano bussato alle porte della corte sabauda. L’imperatore francese ebbe modo di apprezzarlo e così, quando inviò a sua volta una legazione in Etiopia per ottenere dal ras ribelle la baia di Ceila (Zula, nei pressi di Massaua) in cambio dell’appoggio richiesto, ad essa partecipò anche Sapeto. Sennonché la ribellione di Negussiè fallì, il ras fu ucciso, l'agente consolare francese Lambert, che aveva già acquistato per il suo paese - malvolenti gli inglesi- la baia di Obok fu assassinato e l’impresa francese finì sul nascere, per riprendere però pochi anni più tardi (1862) con l’acquisizione della “Costa dei Somali”, l’attuale Gibuti.
Sapeto, che per un certo periodo fu anche prigioniero di Teodoro, abbandonò allora l’Africa (e anche la tonaca) trasferendosi a Parigi dove fu nominato Conservatore dei manoscritti orientali alla Bibliotéque Nationale. Era il 1860. In quegli anni maturò anche il suo distacco dall'Istituto della Propaganda della Fede e, più in generale, dal mondo della chiesa.
Passano due anni, e il richiamo dell’Africa si fa nuovamente sentire: questa volta il Sapeto si pone al servizio dell’Inghilterra, guidando la missione del gen. Coghlan, console inglese ad Aden, alla ricerca di giacimenti carboniferi nella valle dell’Hauash.
Il grande sogno
Nel 1862 troviamo Sapeto a Firenze, professore di arabo all’Istituto di Studi superiori, nel ‘64 a Genova, sempre come insegnante di arabo, questa volta all’Istituto Commerciale (a proposito, 150 anni fa alle Commerciali si studiava l’arabo, e oggi?). Ma la tranquilla (allora..) e parca (ancor oggi) carriera scolastica andava certo stretta a chi non era mai guarito dal mal d’Africa e l’Africa, o meglio, l’Abissinia, restava sempre nel suo cuore. L’Africa era di moda, e non era solo un sogno per avventurieri ed esploratori: con l’inizio dei lavori per l’apertura del canale di Suez (1859) l’interesse commerciale e strategico spingeva finanzieri, politici e governi a guardare con attenzione oltre Suez e l’arida costa eritrea sul Mar Rosso acquisiva un’importanza strategica notevole. Sapeto fu uno tra i primi italiani, assieme a N. Bixio (quello di Garibaldi), ad avere consapevolezza di ciò: il Mediterraneo, cacciato ai margini della storia dalla scoperta delle Americhe, avrebbe ritrovato una sua centralità commerciale e strategica per i traffici verso l’Oriente, cui l’Italia avrebbe potuto partecipare. Sapeto vede che tutte le potenze europee puntano gli occhi sulle terre che si affacciano sul Mar Rosso. Prima fra tutte l’onnipresente Inghilterra, ad Aden fino dal 1839, : "nessuno dubita, scrive Sapeto, che la Gran Bretagna, padrona di Gibiliterra, Malta, del passaggio del Mar Rosso da una parte e del Capo di Buona speranza dall'altro, debba essere arbitra del commercio orientale e della sua politica. Tuttavia dopo il progetto del canale attraverso Suez essa prende possesso anche dell'isola di Perim situata nel mezzo dello stretto di Bab el Mandeb, e ciò la rende padrona assoluta di ogni atto commerciale e politico attraverso il Mar Rosso ". Poi anche la e Francia, da poco installata a Gibuti, e perfino l’Austria, interessata ad impiantare una base sull’isola di Socotra. Capisce che anche l’Italia doveva trovarvi una base, se non voleva essere esclusa dalle nuove correnti di traffico che si sarebbero aperte col taglio di Suez.
Da esploratore a politico
E così prima informa il Ministro della Pubblica Istruzione (nel ‘63) su “tutti i complicati intrighi che si stanno svolgendo sulle coste del mar Rosso in vista del già iniziato taglio dell’istmo di Suez”(9), poi inizia un’appassionata opera di convincimento per spingere l’Italia a costituire una base commerciale sulla costa eritrea. Era il 1863, all’apertura del canale di Suez mancavano ancora sei anni! Il suo entusiasmo è notevole: elabora il primo piano coloniale per l’Italia, “il primo che sia stato sottoposto all’attenzione dei suoi governanti” (10), scrive (nel ‘65) una delle prime pubblicazioni apparse in Italia sulle conseguenze commerciali del taglio dell’istmo di Suez (11), partecipa - l’anno successivo - al Convegno indetto dalla Camera di Commercio di Genova sostenendo l’assoluta necessità per l’Italia di procurarsi un punto di appoggio per le proprie navi nel Mar Rosso. Nel ‘69 si reca infine a Firenze per esporre il proprio progetto al ministro dell'Agricoltura Minghetti e al Governo. Malgrado il deciso sostegno di Nino Bixio, anzi, del senatore Bixio, nel quale la passione per la lotta politica era stata sostituita da quella per il mare (e che già nel ‘61 aveva richiamato l’attenzione del Parlamento sulla necessità di procurare all’Italia qualche scalo nel Mar Rosso “e possibilmente Assab”), Sapeto - che nel frattempo ha anche trovato il tempo di sposarsi (12) sembra non farcela, vittima di una lenta classe politica abituata "alle oziose trafile durante le quali talvolta accade che grandi idee trovino una cartacea sepoltura"(13) : pochi mesi mancavano ormai all'apertura del canale di Suez, agire dopo sarebbe stato tardi. Decide allora di scavalcare i politici e riesce ad far pervenire una relazione sul proprio progetto direttamente al re Vittorio Emanuele II. Messo il suo progetto “sotto la protezione di Colui le cui raccomandazioni sono ordini per i suoi dipendenti” (14), come lo stesso Sapeto scrisse alludendo non al Padre Eterno ma al sovrano pro tempore, la strada gli si spiana d’incanto. Ricevuto dal Ministro degli esteri Menabrea, viene autorizzato a partire non appena possibile “per scegliere il luogo più conveniente sotto l’aspetto militare e commerciale, a stabilimento di colonia”. Era il 17 settembre 1869.
Da quel momento gli eventi si accavallano. Dieci giorni dopo, il Congresso delle Camere di Commercio italiane propongono al Governo italiano di "stabilire in un porto del mar rosso un'agenzia commerciale onde le navi nostre trovino viveri, carbone, protezione ed asilo". E così nel 1869 due italiani, il Sapeto appunto e l’ammiraglio Acton (15), raggiungono Aden. Affittata, per non dar nell’occhio, un’anonima imbarcazione locale, iniziano discretamente a perlustrare le sponde del Mar Rosso allo scopo di individuare ed acquistare (16) una zona della costa araba od africana dove l’Italia potesse stabilire una propria colonia.
Sulle località migliori, sia sulla sponda africana che su quella asiatica, avevano però già posto gli occhi le onnipresenti Francia e Regno Unito: l’Italia, ultima arrivata, deve così accontentarsi di quello che resta. Restava appunto la baia di Assab, una desolata insenatura praticamente disabitata nella regione eritrea della Dancalia, dotata però di un discreto porto naturale, poco a nord dello stretto di Bab el Mandeb, come allora si chiamava (Bad al Mandab, nella denominazione attuale) all’estremità meridionale del Mar Rosso.
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| La Baia di Assab nella cartografia dell'epoca |
Di fatto apparteneva a raiss danakil locali dai quali poteva essere acquistata, ma il prudente governo italiano, timoroso di complicazioni politico - diplomatiche con Egitto, Francia e Inghilterra, fece diventare la missione una iniziativa privata commerciale della “Compagnia di Navigazione Rubattino” di Genova, quella stessa che pochi anni prima si era fatta ...”rubare” due navi da Bixio per l’impresa di Garibaldi (17) e che proprio in quegli anni aveva chiesto ed ottenuto da un Governo non immemore la concessione in esclusiva di una neonata linea di navigazione Genova-Messina-Alessandria-Bombay. E così Sapeto arrivò in Africa in qualità di agente di questa compagnia, incaricato di acquistare per essa un lembo della costa africana dove realizzare un deposito di carbone: lui stesso ammise di ignorare “per quale processo occulto mi trasformai in agente del signor Rubattino”. Ma forse il suo stupore sarebbe stato minore se avesse saputo che già quasi da un decennio il senatore Bixio era “socio o agente di affari” (18) del medesimo Rubattino.
Per seimila talleri
Il 15 novembre 1869 (due giorni prima dell'apertura del canale di Suez) Sapeto, per conto quindi della ditta Rubattino, acquista dai sultani locali Ibrahim e Hassan il capo Assab, tozza penisola che chiude a nord l’omonima baia: un triangolo di sei chilometri di base e sei d’altezza compreso fra la baia di Lumah a nord e quella di Buia a sud. Il prezzo pattuito è di seimila talleri d'argento di Maria Teresa d’Austria, la moneta allora richiesta in tutta

l’Etiopia. Concluso il contratto (19) versata la caparra (250 talleri: malgrado gli accordi il Governo italiano non aveva ancora materialmente messo a disposizione la somma necessaria) Sapeto può ripartire verso la madrepatria, dopo essersi impegnato a saldare l’importo residuo entro 100 giorni. Furono 100 giorni terribili per l'ignavia del Governo italiano, col progetto ormai avviato che rischiava di naufragare fra le pastoie burocratiche e la vischiosità della burocrazia ministeriale. Sapeto dovette combattere contro "un metodo ispirato a pavida meschinità, una sequela di ipocrisie"(20), già sperimentate quando per la avidità del governo aveva dovuto procedere all'acquisto in nome di una compagnia privata.
Allo scadere del termine, nel febbraio del ‘70, Sapeto tornò puntuale ad Assab a bordo dell’”Africa”, nuovissimo piroscafo della compagnia genovese. Maliziosamente fa notare, nella relazione che accompagna il suo viaggio, di essere passato “dal servizio gratis al Governo a quello gratuito di gregario nella Compagnia Rubattino (21)” . Anche in questa occasione era stata utilizzata una nave civile, anziché militare, come aveva richiesto il Sapeto, ulteriore dimostrazione della determinatezza e della sicurezza -si fa per dire- con cui l'Italia si affacciava sullo scenario mondiale. Inoltre la dichiarazione di proprietà delle località acquistate avrebbe dovuto essere fatta, secondo una lettera riservatissima dell'Acton al Sapeto, "in nome del sig. Rubattino o di quelle persone che dal medesimo le verranno indicate". In caso inoltre di proteste "da parte dei principi indigeni, della Sublime Porta e forse anche da altre Potenze marittime", il Sapeto avrebbe dovuto evitare "ogni conflitto ed ogni perturbazione politica". Come dire: noi non ci siamo, arrangiati. Mai l'acquisizione di una nuova colonia da parte di uno stato sovrano fu fatta in modo più discreto, invisibile e, per così dire, in punta di piedi. Sicuramente in quella situazione Sapeto avrà sentito tutto l'orgoglio di avere alle spalle uno stato forte e determinato.
Con lui viaggiano due illustri consulenti scientifici, E. Beccari e A. Issel mentre ad Alessandria saranno raggiunti dall'esploratore -nonché famoso ornitologo- O. Antinori. L’8 marzo la nave entra nella baia assolata, l’11 non solo si perfeziona il contratto precedente, malgrado l'esiguità della cifra messa poi realmente a disposizione di Sapeto con una "
pidocchiosa irregolarità" (22) e le difficoltà frapposte dagli indigeni che mirano a far salire il prezzo, ma anzi, grazie ad un’integrazione di 2000 talleri, la missione italiana in terra d’Africa aumenta di superficie, arrivando ad estendersi per circa 100 kmq. Vengono inoltre presi in affitto anche alcuni isolotti che chiudono la baia. Il 13 marzo 1870, ricorda Sapeto,
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Si piantano i cippi di confine: Sapeto è quello col costume arabo |
piantati i cippi di confini “
salutammo il nostro caro vessillo tricolore con 21 colpi di cannone, seguiti da generale evviva all’Italia, al Re, al Rubattino. Feci quindi distribuire una rupia a ciascuno dei marinai e dare loro una cassa di vino d’Asti per fare un po’ di baldoria”(23
]). E così fra salve di cannoni e saltar di tappi di piemontesissimo spumante, la bandiera italiana sventola per la prima volta sull’infuocata sabbia eritrea. IL 25 aprile Sapeto, ormai diventato per i locali “
Jusef es Sceba, nuovo sultano di Assab, lascia la baia: arrivato a Genova avrà la sorpresa di dover pagare il dazio per quei pochi campioni di mercanzia abissina che recava in Italia, compreso le penne di struzzo, le madrepore e i gusci di testuggine giganti che il Sapeto aveva portato con sé per regalarli al Re.
Il 29 sbarcano da una nave da guerra egiziana i soldati del Khedivè d’Egitto che abbattono i pali con l’indicazione della proprietà Rubattino, distruggono la baracca fatta costruire da Sapeto e bastonano i malcapitati guardiani lasciati dallo stesso a sorvegliare la zona. Sulla prima colonia italiana cala bruscamente il sipario. Se ne riparlerà dieci anni più tardi.
Da Assab a Massaua Temendo complicazioni diplomatiche e ritorsioni da parte del Governo Egiziano, mentre il Governo italiano resta sempre defilato, la Compagnia Rubattino deve per il momento accantonare, malgrado il socio Bixio tuoni in parlamento invocando una “spedizione armata in Mar Rosso”, il progetto della costituzione della stazione carbonifera. Addirittura la rata di 100 talleri dovuta per il 1872 dalla Compagnia Rubattino (o dal governo d'Italia) al ras dancalo per l'affitto dell'isola di Darmakieh, la maggiore delle isolette che chiudevano la baia di Assab, non viene neppure pagata,. Per il Sapeto, uomo d'onore che sapeva quanto fosse importante il prestigio personale per un bianco destinato ad agire isolato fra le solitudini della Dancalia, è una disillusione tanto più atroce quanto irrisoria la cifra non onorata..
Ciò malgrado, il battagliero Sapeto non si dà pace, temendo la morte del suo progetto appena decollato. E così con conferenze, articoli su giornali, pubblicazioni, tiene vivo il problema in anni in cui tante altre preoccupazioni occupavano il campo: la breccia di Porta Pia, il trasferimento della capitale a Roma, i problemi col Vaticano e, in Europa, la guerra franco-prussiana. Nel 1879 pubblica “Assab e i suoi critici”, un’appassionata difesa della
sua scelta non solo dal punto di vista strategico ma anche da quello della convenienza economica che l’Italia avrebbe potuto avere con Assab, vista come potenziale sbocco del mercato eritreo ed etiope: da questo punto di vista la storia gli darà almeno in parte ragione, considerato che oggi ad Assab sbocca una delle due ferrovie lungo le quali passa il traffico dell’Etiopia diretto al mare. Sapeto sottolinea inoltre, e sarà un motivo che verrà poi ripreso in decenni più infausti, il ruolo diverso che l’Italia avrebbe potuto avere in quelle terre: non potenza colonizzatrice e parassitaria, ma civilizzatrice nel rispetto di una civiltà che Sapeto conosceva e voleva far conoscere.
Poi, finalmente, le cose si mettono improvvisamente in movimento. Dall'acquisto della baia sono passati 10 anni, in Italia il potere è passato dalla destra alla sinistra, il progetto finalmente riparte, ma questa volta non più come iniziativa privata: si muove il Governo.
Il 22 ottobre del '79 Sapeto è convocato a Roma al Ministero degli Esteri dove apprende che il Governo è intenzionato a procedere al riscatto della baia di Assab dalla Compagnia Rubattinoe a prenderne possesso ufficialmente. Viene preparata una flotta imponente per la spedizione: la corazzata Varese, l'avviso Garigliano, il piroscafo Ischia. Ad essi si unì il vapore Messina della Compagnia Rubattino. A metà di novembre, la piccola squadra navale lascia baldanzosamente l'Italia. Ma man mano che si allontanano dalla madrepatria, riappare la determinatezza del governo incomincia poco a poco a venir meno. La Varese e il Garigliano vengono richiamate indietro, sostituite da un naviglio più discreto,una vedetta. Su di essa si trasferisce il Sapeto ed una missione scientifica di cui facevano parte, due insigni naturalisti, O.Beccari e G.Doria. E soprattutto a bordo c’è anche un Commissario per l’Amministrazione Civile: aveva ben poco da amministrare, nella deserta baia di Assab, ma la sua presenza dimostrava ormai l’esistenza del primo possedimento italiano in terra d’Africa.
Il giorno di natale del 1879 l'esploratore gettò l'ancora nella baia di Assab.
Poco per volta, la baia si trasformò in un cantiere e furono gettate le basi di quella che sarà la prima colonia italiana.
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Assab nel 1936: all'inizio della Regia Dogana c'era (allora) Piazza Sapeto
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E ora (da Google Hearth)
Sapeto restò nella baia, raggiunta ormai con una certa frequenza da navi italiane, fino al febbraio del 1881. Quando ripartì l'abbozzo di un insediamento era ormai delineato: quattro edifici in muratura, diversi in legname, due fornaci, pozzi, un porticciolo protetto da una scogliera artificiale di 500 metri, il magazzino per il carbone. Intorno era già sorto un piccolo villaggio indigeno (24).
Realizzato il suo sogno, Sapeto tornò in Italia, a Genova.
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| Sapeto in tarda età |
Riprese l’insegnamento, visse modestamente ed oscuramente da buon dipendente statale, morì quasi in miseria il 25 agosto 1895.
Conobbe Dogali e Coatit, dove fra l’altro cadde eroicamente proprio un giovane carcarese, il tenente G. Sanguineti, ma gli furono risparmiati l’Amba Alagi e Adua.
Morì dimenticato, Giuseppe Sapeto: forse non fu “il maggior apostolo della grandezza italiana nel mondo dopo Mazzini”, come scrisse nel 1942 un suo biografo(25 ), ma certo volle rendere “alla patria con zelo ed abnegazione segnalati servigi”, secondo le parole di T.da Ottone, restando anche imperituro “nella storia del nostro sciagurato delirio africano”, come notò, forse più acutamente, nel 1897 un altro carcarese, il padre F.Isola (26)
Un documento curioso: una pagina di un libro di testo della V elementare del 1940 riportante una foto e una breve biografia di G. Sapeto
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LA REGIONE ERITREO-ETIOPICA ALL’EPOCA DI SAPETO
Concludiamo queste pagine con alcune brevi note dedicate ad illustrare, sia pur in modo estremamente sommario, la situazione “politica” delle regioni etiopico-eritree all’epoca dei viaggi di Sapeto.
L’Etiopia era, dal punto di vista formale, un regno (o impero) di tipo feudale dall’origine
assai antica. In quegli anni era però in preda ad una profonda crisi, con fortissime tendenze centrifughe nelle sue diverse regioni, con lotte interne e continui tentativi, spesso fruttuosi, dei singoli ras locali di svincolarsi dal controllo centrale o di impadronirsi di un territorio (e di un potere) più vasto. In pratica poteva essere definita una “confederazione” di molti stati feudali, abitati da popolazioni diverse per origine, lingua e religione, teuti insieme dalla forza delle armi, sotto una monarchia assoluta. Abbiamo visto che nel 1855 Sapeto è interprete in una missione inviata proprio da uno di questi ras (Negussiè) che si era ribellato all’imperatore Teodoro. Proprio quest’ultimo sovrano merita qualche approfondimento.
Intorno alla metà del sec.XIX la zona oggetto del presente studio era in una situazione di estremo disordine. I grandi feudatari divenivano di fatto indipendenti, e del tutto indipendenti si mantenevano etnie tipo quella dei Galla. Nei primi decenni del sec. XIX tutto lasciava supporre prossimo uno sgretolamento dell’Abissinia in parecchi stati indipendenti e nemici.
Nell’estremo disordine di quegli anni si fece strada, intorno al 1841, Cassà, uomo di umili origini, ex monaco divenuto guerrigliero dopo la distruzione del suo convento durante una delle solite razzie che insanguinavano la zona. Costituitosi un piccolo esercito, riuscì a riunificare sotto il suo controllo buona parte dell’Abissinia (27) nel 1855 , proclamandosi re col nome di Teudròs (=Teodoro), cioè del re che antiche leggende indicavano come il liberatore e il pacificatore dell’Etiopia.
Teodoro fu un sovrano molto attivo (28) : dopo essere riuscito a riunificare lo stato conquistando lo Scioà, cercando di controllare l’etnia Galla dell’Amara, consolidando il cristianesimo con una rigida politica antimusulmana, preparava anche riforme economiche, militari, ecclesiastiche. Ma “
troppo profonda e durata a lungo era l’anarchia del paese perché questo rispondesse”(29
]). Alle ribellioni interne si aggiungevano le preoccupazioni alle frontiere, dove diventava sempre più forte la pressione espansionistica egiziana, mentre anche l’Europa (prima Francia e Inghilterra, poi l’Italia) incominciava ad interessarsi di quelle zone : “
il ripullulare delle difficoltà, il continuo risorgere di ribellioni - tra queste quella del ras Negussiè ricordata a proposito di Sapeto -
andarono talmente inasprendo il carattere del re che gli ultimi anni di lui trascorsero come in un delirio di sangue” (30
]). A determinare il suo crollo furono gli inglesi, che inviarono una spedizione militare dopo che Teodoro aveva imprigionato missionari, console e inviati del Governo inglese. Asserragliatosi nella fortezza di Magdala, vedendo impossibile la resistenza, Teodoro si uccise ( 25 aprile 1868).
Ritiratisi gli inglesi, il paese ripiombò nell’anarchia. E’ in questo periodo, nel ’69, che Sapeto sbarca ad Assab.
Nel 1872 Cahsà, l’ultimo tra i vari raiss che si erano contesi il potere, elimina il suo rivale Taclà Ghiorghis (dopo averlo vinto lo fa accecare e relegare su un monte) e si fa proclamare negus negesti (“re dei re”) col nome di Iohannes IV (1872-1889).
Aumentano nel frattempo i tentativi di conquista da parte dell’Egitto (già abbiamo visto il comportamento degli uomini del Khedivè nei confronti della proprietà Rubattino ad Assab) e poi da parte del movimento Mahadista partendo dalle frontiere del Sudan.Aumenta anche la presenza italiana : nel 1882 Assab, con la zona limitrofa, viene diciharata Colonia Italiana. L’uccisione di due esploratori italianai (Giulietti e Bianchi spinge l’Italia ad un’occupazione militare, incitata a ciò anche dall’Inghilterra che vedeva positivamente un’espansione italiana nella zona nella speranza che essa aprisse un nuovo fronte contro l’insurrezione mahdistyica nel Sudann. Nel 1885, in seguito ad accordi con l’Inghilterra, l’Italia occupa Massaua, facendone la capitale della neonata colonia eritrea. L’espandersi degli Italiani portò ad un urto contro i raiss della zona , e principalmente il ras Alula. Si arrivò così all’episodio di Dogali (26 gennaio 1887) con l’annientamento dei 500 uomini della colonna del col. De Cristoforis. L’Italia inviò allora una spedizione militare al comando del gen. San Marzano. Il Re Iohannes non osò continuare le ostilità con l’Italia e preferì affrontare i Dervisci mahadisti, nel frattempo penetrati in Etiopia, a Metemna, dove fu ucciso (marzo 1889). Dell’anarchia che seguì alla morte del re approfittò il governo italiano con l’occupazione di Chèren e Asmara, anche grazie ad un patto di alleanza stipulato col ras Menelic, che poi si proclamò “re dei re” . Divergenze circa l’interpretazione di una articolo del trattato di Uccialli firmato dall ‘Italia con Menelic portò a nuovi scontri all’Amba Alagi (7 dic. 1895), e a Maccalè , finchè arrivò la tragedia di Adua (1 marzo 1896 : distruzione dell’intero corpo di spedizione italiano con oltre 6000 morti ).
L’Italia fu costretta a sospendere l’espansione e col trattato di Addis Abeba (26 ottobre 1896) riconobbe la piena indipendenza dell’Abissinia.
L’Africa
Orientale Italiana alla vigilia della II Guerra Mondiale
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Riteniamo interessante riportare le
note biografiche relative a G. Sapeto
pubblicate dall' illustre scienziato-esploratore A. Issel su un
quotidiano ligure del 1915. Da esse si
potrà capire in quale considerazione fosse tenuto il Sapeto negli ambienti scientifici dell'epoca.
Dalla Gazzetta di Genova a.
LXXXIII, n.9 30 settembre 1915
ALB0
LIGUSTICO
GIUSEPPE
SAPETO
"Giuseppe Sapeto, figlio
di Bartolomeo e di Anastasia Germana, venne alla luce a Carcare il 27 aprile
1811, e chiuse oscuramente la sua lunga e avventurosa vita a Genova il 25
agosto 1895, dopo aver reso alla patria, con zelo ed abnegazione segnalati
servigi, che non furono adeguatamente apprezzati. A lui, assertore convinto della convenienza _per il nostro paese
di possedere una colonia in Oriente,
si deve la fondazione della prima stazione marittima italiana sul mar Rosso.
Poco sappiamo dei suoi primi
anni. Certo è che giovane ancora vestì
l'abito del missionario, e adempì con fervore all'opera cui si era dedicato,
nella regione etiopica, mentre il paese
era agitato da fiere discordie e lotte intestine.
Durante il lungo soggiorno da
lui fatto in Abissinia, condotto nelle competizioni locali, alle quali non
seppe sottrarsi, fu fatto prigioniero dal negus Teodoro, e rimase parecchi anni
in catene. Colà, se alcuni sparlavano
di lui, contava eziandio caldi amici ed ammiratori fervidissimi.
E' assai notevole per le sue
sagaci osservazioni l'opera del Sapeto intitolata « Viaggio e Missione
cattolica nel Bogos ,Mensa e Ilabab », pubblicata nel 1857: ma lo stile contorto , antiquato e fiorito ne
rende faticosa la lettura. Nel 1859
egli fungeva da guida e da interprete ad una missione politica e coloniale
inviata dal governo francese in Etiopia, della quale si può leggere una
relazione attraente in un libro pubblicato assai più tardi «Ambasciata
mandata nel 1859 dal governo francese a Negussiè, degiazmate del Tigrè e del
Samien in Abissinia. Firenze -
Roma, R. Tipografia, 1871.»
Nel 1863, deposta la tonaca
di missionario, egli era incaricato dell'insegnamento della lingua e della
letteratura araba presso il R. Istituto di Studi superiori In
Firenze. Questo Incarico gli era poi
tramutato, dopo due anni, nella cattedra di lingua araba, presso il R. Istituto
Tecnico Vittorio Emanuele Il di Genova, che conservò per molti anni, cioè fino
a quando sollecitò ed ottenne il collocamento a riposo.
'Nel 1870 egli riusciva a
persuadere il governo Italiano della convenienza di occupare un tratto del
litorale dei Danakil allo scopo di
provvedere ad un punto di approdo e di rifornimento per le navi italiane, e la
Società Rubattino per conto del R. Governo stipulava l'acquisto di un piccolo
territorio situato sulle rive della Baia d'Assab. Successivamente, per opera sua, e dopo laboriose trattative, da
lui condotte a termine con rara sagacia, altri possedimenti si aggiungevano a
questo. Per tale importante missione e
per altre compiute per incarico del Ministero degli esteri non ebbe compenso
alcuno, tranne una onorificenza cavalleresca.
Alla fine del 1890, assalito
da gravi infermità, egli non poteva
più trasferirsi dalla sua abitazione all'Istituto, senza ricorrere alla
carrozza, ed era alla fine obbligato a, farsi trasportare a braccia nell'aula
delle sue lezioni. Allorché risultò
impossibile l'adempimento dei suoi obblighi di docente, chiese di essere
collocato a riposo con adeguata pensione, ed ottenne, non senza vive
Istanze, che questo legittimo desiderio fosse soddisfatto con decreto del l°
ottobre 1891.
Abbandonato l'insegnamento,
Sapeto visse nell'oscurità, assistito da una vecchia governante, fino al 25
agosto 1895. Pochi amici avvertirono la scomparsa di un uomo che si era
adoperato con straordinario disinteresse ed abnegazione a pro' del paese,
compiendo numerosi e malagevoli viaggi in regioni inospitali, e facendo
efficace propaganda e favore delle Imprese coloniali Italiane.
Fu, come dissi, missionario
durante parecchi anni; ed abbandonò l'ordine e la tonaca a causa di profonda
scissura Intervenuta fra I suoi superiori e lui. Si afferma che avesse sofferto gravi torti; certo è che, per rispetto
all'ordine cui era stato ascritto, egli si asteneva da ogni rampogna e
manteneva in proposito un assoluto silenzio.
Per l'indipendenza e l'energia del suo carattere, per la tendenza al
libero esame e alla critici, si poteva intuire come fosse poco atto alla
obbedienza ceca e alla umiltà che la « Propaganda Fide » esige dai suoi
subordinati.
Caratteri più spiccati della
sua persona erano: capo piuttosto grosso, con fronte alta e prominente; orbite
incavate; occhi piccoli, grigi. vivacissimi, assai mobili; naso breve,
aquilino, deturpato in una delle pinne da antica ferita; bocca ampia,
irregolare con labbro inferiore sporgente; mento stretto, saliente; collo
breve. Quando lo conobbi aveva ancora
abbondanti capelli perfettamente canuti e portava baffi bianchi spioventi,
senza barba. Piccolo di statura,
tarchiato, un po' curvo di spalle, arti esili e brevi. Parlava con voce sottile, stridula, come in
falsetto. Da ciò si vede come non
avesse sortito dalla natura un fisico molto attraente. Tuttavia, la prima impressione non
favorevole, prodotta dal suo aspetto, era ben presto modificata dalla simpatia
che inspirava Il suo sorriso arguto e bonario.
Di umore faceto, di costumi assai semplici, rassegnato
Alle infermità che la
vecchiaia non gli aveva risparmiate usava raccontare, assai piacevolmente per
chi l'ascoltava, gli episodi più salienti della sua vita tanto travagliata.
Come viaggiatore, egli si
mostra poco preparato ad illustrare i paesi da lui visitati dal punto di vista
delle discipline scientifiche e specialmente della storia naturale; la sua
cognizione della storia d'Oriente e delle lingue classiche gli consentiva
erudite considerazioni relative alla geografia antica, non sempre sussidiate da
critica rigorosa. Suppliva però alle
deficienze colla sagacia della osservazioni, e riferiva notizie importanti in
ordine all'indole ed ai costumi degli abitanti, come pure sui traffici, sui
prodotti e sulle vie di comunicazione.
Il suo stile, non destituito di pregi letterari, non è il più confacente
alle scritture geografiche, per gli arzigogoli, le figure retoriche e le
espressioni antiquate o lontane dall'uso comune di cui è fiorito.
Merito del Sapeto, per il
quale il suo nome deve figurare
nella storia coloniale italiana, si é quello di aver promosso e tradotto in atto per conto dello Stato l'acquisto
del territorio d'Assab, superando per ciò ostacoli d'ogni maniera.
Nel 1879 venne alla luce in
Genova un'operetta nella quale egli esponeva i vantaggi che l'Italia poteva
ritrarre dal possesso di Assab, « Assab e i suoi critici ». Altre sue
opere sono intitolate «Prodromo alla Storia dei Cussiti », «Dialoghi e conversazioni arabo-italiane ». «
Gli ultimi cento anni della monarchia abissina ». Si vuole che poco
prima di morire si occupasse di un lessico in 7 lingue, il quale rimase
inedito.
Dopo l'occupazione di Massaua
da parte dell'esercito italiano, invitato dalla presidenza della Società di
letture e Conversazioni scientifiche, fece, intorno all'Abissinia, una
efficacissima conferenza, nella quale ammoniva
paese circa i pericoli cui l'Italia si esponeva, affrontando gli indigeni
per estendere il suo dominio Del Tigrè, e quasi presagiva i tristi eventi elle dovevano verificarsi assai più tardi, ed
ebbero per epilogo la battaglia di Adua.
Giuseppe
Sapeto viaggiò a lungo in Abissinia, nello Scioa e nel Goggiam; fece inoltre
dimora non breve fra i Galla e i Danakil, i quali lo avevano soprannominato
Giuseppe il Canuto e fu indubbiamente
tra i primi esploratori del paesi dei Bogos, dei 'Mensa e degli Habab. Visitò più volte Gedda e la Mecca,' e ritengo
che poté penetrare nella città santa dei mussulmani, impresa pericolosissima
per un cristiano in quel tempi, mercé l'amicizia che per lui nutriva il gran
Sceriffo, del quale Il Sapeto stesso m'intrattenne a lungo mentre ci trovavamo
Insieme a Aden.
Nella
notte dal 22 al 23 Febbraio 1870 Sapeto si trovava a bordo al piroscafo Africa
della Società Rubattino, per recarsi, insieme ad alcuni compagni, nella baia
d'Assab, ove doveva soddisfare all'impegno di sborsare al capi Danakil di quel
litorale il prezzo del territorio acquistato a nome di detta Società (ma in
effetto per conto del governo italiano), allo scopo di fondarvi una stazione
marittima.
La
piccola nave, pervenuta fra la Sicilia e Candia, era assalita da un furioso temporale che minacciava di sommergerla. Verso la mezzanotte, le onde soverchiavano
la coperta, demolivano parte dell'opera morta, asportavano la bussola,
riducevano in frantumi la ruota del timone e invadevano la camera della
macchina. Mentre gli ufficiali
tentavano inutilmente di governare il piroscafo pericolante, e l'equipaggio si
affannava a rintracciare nella stiva una sbarra di rispetto, per sostituire la
ruota infranta; mentre i passeggeri, raccolti nell'angusto quadrato, si
avvinghiavano ai braccioli dei sedili e alle maniglie delle porte per non
essere sbalzati dalle impetuose sbandate, Sapeto imperturbabile, seduto sul
pavimento, raccoglieva fra cocci di vetri e terraglie scaraventati di qua e di
là, le pere piovute dalla dispensa, e, addentatene una, esclamava: Perché mai a
tavola non ci danno queste, che sono eccellenti, invece di frutta immatura?
L'episodio
vale a lumeggiare l'indole dell'uomo, rotto ad ogni traversia, dell'uomo, il
quale dal suo lungo soggiorno in Oriente aveva contratto un sereno fatalismo.
Ora
che la minuscola stazione d'Assab è tanto cresciuta da convertirsi nella
Colonia Eritrea, e che il vessillo tricolore sventola nella Somalia, nel
Benadir e nella Libia, giustizia vuole che volgiamo un pensiero grato e
reverente all'umile precursore del dominio coloniale italiano. Nella storia del rinnovamento nazionale il
suo nome deve essere ricordato accanto a quello di un altro ligure benemerito,
Paolo Della Cella, il primo illustratore italiano della Libia!” (A.ISSEL)
Casa di campagna, tutt'ora esistente, di Sapeto a Carcare (Sv.)
Sapeto "ornitologo"
Sapeto, oltre ad essere missionario, esploratore e diplomatico, fu anche un attento studioso degli ambienti che attraversava nei suoi viaggi, osservando la natura, la flora e la fauna.
Nel tempo raccolse anche numerosi esemplari dell'aviofauna, uccelli che, opportunamente trattati , costituirono una ricca collezione ornitologica dallo stesso donata e fatta prevenire all'allora Museo di Torino e ora conservata nell’attuale Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino (MRSN).
A questa collezione poco conosciuta ha dedicato uno studio Giorgio Aimassi,
dalla quale ho preso la seguente foto/disegno
. Sintipo di Buteo auguralis Salvadori, conservato presso il MRSN di Torino, catalogo Av4294 (foto L. Ghiraldi); b. disegno dello stesso esemplare (in Antinori & Salvadori 1873, tav. I).
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1) T. Da OTTONE, Carcare, Istituto
per la Propaganda della Liguria, 1939, XVII, pag. 8.
19)
Ecco il testo del contratto di acquisto
quale viene riportato da G. NOVELLA, Carcaresi illustri del passato. Per
mantenere vivo il ricordo , Savona 1994, p.34 “Gloria a Dio. Essendo il giorno di lunedì undecimo del mese dì sciaban
dell’ anno 1286 secondo il computo degli Islamiti, e il giorno quindici del
mese di novembre 1869 secondo l'era degli Europei, Hassan-ben-Ahmad,
Ibrahimben-Ahmad, fratelli, e il signor Giuseppe Sapeto, resisi a bordo del
"Nasser-Megid", barca di Said-Auadh, e fatto atto di presenza,
stipularono quanto segue al cospetto dei testimoni
1 - I fratelli sopraddetti Hass n-ben-Ahmad
ed Ibrahìrn-ben-Abmad, sultani di Assab, hanno venduto e vendono al Signor
Giuseppe Sapeto anzidetto il territorio compreso tra il monte Ganga, il capo
Lumah e i due suoi lati; perlocchè ìl dominio del detto territorio apparterà al
Signor Giuseppe Sapeto tostochè questi ne avrà sborsato il prezzo, avendoglielo
essi spontaneamente venduto, volontariamente e con retta intenzione,
2 - I fratelli suddetti giurano, sul Corano
della Distinzione, che né essi né la gente loro faranno perfidie agiì Europei
che verranno a abitare il paese proprietà del Signor Giuseppe Sapeto.
3 - Il Signor Giuseppe Sapeto compra il
detto luogo per 6 mila talleri lasciando perciò 250 talleri dì caparra,
obbligandosi a pagare i rimanenti 5750 talleri fra cento giorni decorrenti dal
I° di ramadan fino ai 10 del mese di heggíah.
Che se il Signor Giuseppe Sapeto non tornasse più, né altri venisse in
sua vece nel tempo fissato, la caparra andrebbe perduta. 1 fratelli poi
soprannominati non potranno vendere ad altri il detto luogo, avendolo già
venduto al Signor Giuseppe Sapeto,
ed accordatogli cento giorni al pagamento del prezzo suo.
Questo è il contratto passato tra il Signor Giuseppe Sapeto e i
fratelli Hassan-ben-Abmad ed
Ibrahim-ben-Ahmad, alla presenza dei
testimoni Mahamad-Abdi, Ahmad-Ali, Said-Auadb,
scrivanoAbh-All -ben-Duran.
Accettato e sottoscritto dai contraenti.
Hassan-ben-.Ahmad
Ibrabim-ben--Ahmad
Giuseppe Sapeto”
Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione Vietata