LEONELLO OLIVERI
Proprietà Letteraria riservata
Riproduzione Vietata
Scopo del presente lavoro è
esaminare il periodo delle invasione. francesi in Piemonte e in
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| Battaglia di Cosseria (13 aprile 1796) |
Liguria negli anni compresi fra il 1794 e il 1799, incentrando l'attenzione particolarmente sulla Val Bormida che nel 1796 sarà il cuore delle operazioni militari collegate con l'inizio della I Campagna napoleonica in Italia: proprio in Val Bormida, con le battaglie di Montenotte, Cosseria e Dego, sorgerà il mito di Bonaparte, condottiero invincibile e astuto.
Caratteristica essenziale
dell'indagine è che essa intende presentare esclusivamente documenti
contemporanei: mancherà quindi forse di prospettiva storica ma avrà il merito
di evidenziare come allora fu vista e giudicata l'invasione francese. La base
del lavoro è fornita da alcune cronache, in parte manoscritte, in parte già apparse in pubblicazioni locali, redatte
da sacerdoti (due) o da civili (due)
del posto. ù
Nell'ordine verrà presentata:
1. una cronaca intitolata « Una pagina di storia patria, da un manoscritto di D.G. Aperlo di Lesegno prevosto di Plodio» (comune in prov. di Sv). Essa narra gli avvenimenti del 1794, fu composta appunto dall'allora prevosto di Plodio e fu pubblicata nel 1904, come appendice, nel libro di P. Valentino, Memorie storiche del Santuario di N.S. Del Deserto di Millesimo, Savona, 1904, pp. 509-517;
2. alcune pagine manoscritte dei « Registri dei battesimi» dell'archivio parrocchiale di Dego redatte da d. Damiani, arciprete vicario foraneo a Dego Castello dal 1777 al 1816, relative agli avvenimenti del 1794 e 1799, pubblicate da T. Da Ottone, Dego, pp. 5-9 (s.d., comunque intorno alla metà del XX sec.);
3. una cronaca manoscritta redatta dall’ avv. Fassino di Millesimo intitolata «Presa del castello di Cosseria », relativa alla battaglia del 13-4-1796;
4. una cronaca manoscritta intitolata «Memoria ai miei nipoti dell'invasione francese» redatta da Matteo Maria Fontana di Cairo Montenotte e pubblicata da AA.VV., Appunti per una storia di Cairo, Cairo, 1975, pp. 45-48.
Tutti e quattro i documenti, come
si è detto, sono contemporanei agli avvenimenti narrati risalendo tutti agli
ultimi anni del sec. XVIII.
Promessa indispensabile alla
presentazione dei documenti è esaminare a grandi linee i fatti storici che
questi documenti descrivono, cioè l'invasione francese in Piemonte alla fine
del sec. XVIII.
La Guerra
Il 20 settembre 1792 le armate francesi invasero la Savoia e la Contea di Nizza; pochi giorni dopo il re sabaudo Vittorio Amedeo III ordina la mobilitazione generale. Le operazioni di guerra si trascinano per alcuni mesi e solo nell'aprile del 1794 i francesi attaccano con decisione, occupando Oneglia e Loano. Poco dopo passano nella Val Bormida occupandola fino a Cairo, dove viene posto il Quartier Generale. Questa prima fase dell'occupazione è quella che fornisce il materiale per la cronaca di Don Aperlo.
Contemporaneamente (siamo verso la fine dell'estate del '94) gli Austriaci alleati dei Piemontesi risalgono la valle della Bormida partendo da Acqui. Lo scontro tra i due eserciti avviene a Dego il 21 settembre con una cruenta battaglia: parte della cronaca di D. Damiani e di quella del Fontana sono appunto relative a questo avvenimento. Pochi giorni dopo questo scontro, dal quale i francesi escono come malconci vincitori, le truppe francesi si ritirano sulla riviera.
Per gran parte
del '95 c'è in Val Bormida una calma relativa, mentre le operazioni militari si
svolgono prevalentemente in Riviera. Con l'arrivo dell'autunno i francesi scendono
nuovamente nella valle (battaglia di Loano): è ancora il Fontana a descriverci
la situazione degli ultimi mesi di quell'anno.
Il 1796 è l'anno della famosa I Campagna napoleonica in Val Bormida, con queste terre teatro delle grandi battaglie di Montenotte, Cosseria, Dego: il Fassino e ancora il Fontana ci descrivono gli avvenimenti che li hanno particolarmente colpiti in quel turbine di vicende, che videro distruzioni e sofferenze notevoli.
Dopo l'armistizio imposto da Bonaparte al re Vittorio Amedeo III si ebbe un periodo di relativa tranquillità fino al 1798. Verso la fine di quell'anno il nuovo re sabaudo Carlo Emanuele IV lascia il Piemonte: è il 12 dicembre. Inizia il periodo del «piantamento delli alberi della libertà », fra la fine del '98 e l'inizio del '99, e dell'unione del Piemonte alla Francia con le relative votazioni e i susseguenti scontri tra filofrancesi e filo-piemontesi (o
«realisti»), episodi questi assai interessanti e documentati da Don Damiani.
Verso la metà del 1799 c'è una temporanea eclissi del dominio francese in seguito ai successi della II coalizione del gen. Suvarow con i conseguenti episodi di lotta e rese dei conti fra sostenitori e avversari dei francesi: anche questi avvenimenti vengono ricordati da Don Damiani, insieme ad interessanti osservazioni su episodi di resistenza da parte dei contadini contro le truppe francesi. Ma la II coalizione, dopo i successi degli austriaci in agosto (battaglia di Novi), non riesce a bloccare i francesi: il 1800 sarà così l'anno del loro ritorno in Val Bormida: ci resteranno fino alla caduta di Napoleone.
Da «Una pagina di storia patria» di d. Aperlo.
«(I francesi) rotta la neutralità genovese (1) circa la metà di aprile e fine quaresima del 1974 si impadronirono di Oneglia,
Loano, Ormea, Garessio ( ... ) I paesi frattanto (all'arrivo dei francesi
in Val Tanaro, n.d.A.) fuggivano mescolati e confusi; altro non si vedeva
per quelle parti che donne piangenti, vecchi curvi, fanciullini tremanti, madri
cariche del caro peso con moto non eguale inoltrarsi fra direttissime piogge
per strade fangose al sommo. I buoi e le pecore venivano in folla abbandonando
le stalle, né potendone trovare altre bastanti per essere posti al coperto.
Udivansi da tutti romori confusi di uomini che urtavansi gli uni con gli altri,
che non potevano intendersi ( ... ). Abbandonavano i parrochi le loro canoniche,
i preti le loro case, i regolari le loro celle. La magnifica certosa di Casotto
fu saccheggiata prima dai nostri, poi incendiata dal nemico (2).
O guerra, oguerra, flagello terribile della D. Giustizia per punire i figlioli
degli uomini!
( ... ) Si assemblò (3) prontamente la popolazione di Plodio in questa Piazza (siamo al 12 giugno del 1794, n.d.A.) armata di fucili, tridenti ed altre armi da taglio, poscia munita della Benedizione col SS Sacramento da me data si portò dopo le ore 24 a Millesimo da dove immediatamente partì unita mente agli altri verso i Govetti (4)
per
iscacciare, come
dicevasi, il nemico da Bagnasco, Garessio etc. e farlo rintanare nelle sue caverne. G. Formento sindaco e Gio Batt. Bergero, consigliere, erano tutto solleciti ed occupati per fare le necessarie provviste da bocca per gli
accorsi agli armamenti. Intanto una dirotta notturna pioggia cominciò a disporre i guerrieri (5) per
l'indomani. L'imprudenza di chi comandava, l'imperizia di chi combatteva, il valore di chi era attaccato, il timore, la confusione presto sventarono i sognati marziali progetti. Le biade calpestate, i boschi distrutti, i cartocci al vento furono il frutto di questa celebre campagna (6). Due o tre furono i morti, non però di
questo paese. ( ...
) Il sig.
Notaro Vincenzo Gamba di Millesimo coraggioso di troppo, o per meglio dire troppo imprudente e goffo, cadde nelle mani dei nemici ( ... ) e colla prigionia del capitano cadde a terra la Compagnia di Millesimo. ( ... ).
Sul principio di Luglio 1794 (7)
la popolazione nuovamente assembleatasi partì per i Giovetti sotto la scorta di sperimentati (!) generali. Erano già parecchie ore che la colonna sfilava da Millesimo quando al sentire
alcune sciopettate, effetto di cattiva organizzazione, un tale spavento occupò questi buoni uomini credendo il nemico
addosso, che rincularono precipitosamente e si assicurarono tosto nel
diroccato
castello
di Cosseria ».
Dal Registro dei Battesimi di D. Damiani: «La battaglia di Dego» (21-11-1794).
Nelle pagine di Don Damiani, parroco di Dego, la guerra che per d. Aperlo era stata occasione di bonarie e scherzose battute sulle qualità marziali dei .contadini millesime si , si colora di sangue e
diviene tragedia: è l'epoca della battaglia di Dego (21 settembre 1794) e la guerra si abbatte sulla popolazione:
«Addì 21 settembre (1794) seguì aspra battaglia in questo luogo (Dego) tra francesi e le truppe imperiali. Ai 19 di detto mese gli austriaci scacciarono i francesi dal colle di S. Giacomo esistente presso le Mallere (8) e il dì seguente un'altra colonna, discesa da Murialdo, scacciò pure i medesimi dalle vicinanze del castello di Cosseria sotto cui eransi appostati invece di prendere l'altura. Quindi l'esercito austriaco forte di 12 mila uomini, la notte seguente dalle Carchere (9)
ove si era appostato, si ritirò interamente con tutta l'artiglieria in questo luogo (= Dego). Nella medesima notte i francesi occuparono tutte le
alture di Cairo
e specialmente quelle che dominano quel castello, e di qua se ne vedevano i fuochi.
Nella mattina veniente di videro a passare fuggendo gli
abitanti di esso
luogo e dei circonvincini, portando seco quello che avevano di più prezioso. Intanto di buon
mattino l'esercito
austriaco
era si già
schierato
in ordine di battaglia sotto gli ordini del
generale Vallis (= Wallis), Turheim e Colloredo. Formavan queste due linee, oltre un corpo di 300 uomini circa lasciato sopra la Rocchetta (Rocchetta di Cairo) in vicinanza del ritano delle Ramere, e due altri corpi simili posti uno sopra
il Massirato e l'altro sopra la villa di
Brovida ed un altro corpo di 500 uomini posto alla villa di Piani (10). La prima linea occupava dal di sopra delle Frassoneta sino a Bormida (quartiere di Dego, sulla sponda sinistra della Bormida, n.d.A.), il Colletto e parte del monte Aprico (11)
sopra Carpazzo: nel centro vi erano 500 cavalli di Ulani e due cannoni da campagna. La seconda linea occupava tutte le alture del bricco del Bosco (12)
sopra il ritano Polovero (13)
sino al poggio di
Brovida oltre un piccolo corpo di cacciatori in vicinanza del bricco del Vallaro (14), ed un battaglione di Croati mandato sotto la condotta del maggior Lenni alla
sinistra del
Cerreto, per custodire le
alture dalla parte dei boschi di Savona
e di Rocchetta. Nel centro di questa linea vi furono appostati 9 cannoni (15)
sulle sponde della Bormida, cominciando da Lasagnolo fin quasi sopra la diga ossia chiusa
del mulino e sette altri alle falde del
monte d S. Lucia, cioè 5 nelle due trincee fabbricate di fascine con terra dagli austriaci medesimi lungo l'estate e
due altri
sopra la trincea più vicina a Vermenano (16). Questi cannoni erano tutti da
campagna mentre la grossa aveva già sfilato, sul far del giorno, verso Spigno. Circa a mezzora di mattina giunse Dego il gen. Wallis
supremo comandante, il quale fece passare alcuni battaglioni dal Colletto al centro della 2° linea. Si disse che i francesi erano forti di 1400 uomini ed avevano alla loro testa i
generali Dumerbion, Massena e Bonaparte (17)
coi rappresentanti del popolo di Saliceto (18) e Buonarota e gli altri. Pochi minuti dopo il mezzogiorno cominciarono i francesi a lasciarsi vedere di qua della Rocchetta e quindi tosto
cominciò il fuoco, il quale durò circa due ore: ma ingrossando sempre le
linee francesi, il corpo avanzato degli austriaci cominciò lentamente a piegarsi verso la prima linea portata sul Colletto. Allora cominciò anche il fuoco dalla destra, in vicinanza del bric del Vallaro, al di là del quale erano 40 cacciatori austriaci: mentre la colonna montata dalla parte del convento di Cairo (19)
cominciò ad attaccarli. Essa si divise in due parti: una cercò in tutte le maniere di circondare i detti cacciatori ma non vi poté riuscire, mentre essi
valorosamente combattendo, andarono a riunirsi al più vicino corpo dei suoi, postati sulla
collina del Pozzo (20), l'altra, per le vigne, si portò ad attaccare monte Aprico. L'impeto fu terribile in tutti e due i posti e riuscì ai francesi, dopo un'ostinata resistenza, di far piegare in questi due punti gli austriaci. Al Colletto però gli austriaci non perdevano
ancora un palmo di terreno, anzi i cannoni collocati ivi, sulla strada di Cairo, bersagliavano con danno i francesi. Questi vollero togliere un tale
ostacolo onde tentarono di impadronirsene ma loro non riuscì, benché la sua cavalleria ne avesse avuto l'incombenza. Venne essa alle mani con
l'austriaca, la quale, avendo salvati cannoni, si ritirò sotto la batteria di Vermerano con l'intenzione forse di tirarsi anche la francese per farla poi bersagliare dai cannoni: ma quella non si lasciò vedere al di
qua del
Colletto (21).
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| Battaglia di Dego |
Intanto si erano già mandati dal centro soccorsi a Monte Aprico e verso le alture al di qua della cava dove erano stati già respinti gli austriaci. Si fecero montare due corpi freschi dalla valle di Carpezzo verso il primo e dalla valle di Brovida e dalla Carpineta verso l'altro. In tutti e due i posti vennero in questa maniera presi i francesi alla fronte e ai fianchi (22): quindi seguì di essi orrido macello, onde furono respinti e fugati in queste due posizioni. Ma in questo mentre i francesi già avevano superato quasi interamente il Colletto, tenendosi però sempre dalla parte della Frassoneta e schivando il Piano (23) dominato dalle due trincee (24) e dai cannoni posti sulle sponde più alte della Bormida.
Da quella parte scesero quindi con furia fino al piano vicino al torrente Polovero, ma venendo essi ricevuti con
intrepidezza dalla seconda linea accresciuta di forze per la riunione della prima in ritirata la quale faceva un fuoco terribile ovunque si trovava a tiro, bersagliati dai cannoni delle trincee e molestati anche da qualche
pezzo di quelli che erano sulle sponde della Bormida, vedendo che alla dritta (Carpezzo) gli austriaci gli avevano fuga ti e facendosi notte, pei primi i francesi suonarono la ritirata, e così a mezza ora di notte finì la battaglia. I francesi non avevano cannoni, perciò le loro perdite
furono di gran lunga maggiori, credendosi che tra morti, feriti, dispersi e prigionieri,
abbiano
perduto più di 3000 uomini, quando gli austriaci non arrivarono a perderne più di 300. ( ... ) Ciò nonostante nella notte seguente gli austriaci si ritirarono tutti verso Acqui. Ciò inteso i
francesi entrarono in Dego, quando in vista della valida resistenza
degli austriaci si credevano
tutti perduti, qualora il dì veniente
fossero andati,
come essi temevano, ad attaccarli e già disponevansi perciò alla ritirata. Entrati in Dego si impadronirono della farina e del pane lasciati dagli austriaci nella chiesa di Vermenano e nella masseria della Braja. Due giorni
fermarono in questo luogo ( ... ) nei suddetti due giorni questi particolari (= abitanti) e specialmente gli emigrati, furono danneggiati assai: così pure seguì in Rocchetta, Cairo ed altrove.
Da «Memoria ai miei nipoti dell'invasione francese: la battaglia di Dego; 1794» di M. Fontana.
La battaglia di Dego dovette
impressionare notevolmente gli abitanti della zona. Di essa
possediamo
infatti un'altra
descrizione, dovuta questa volta alla penna di un
cittadino di Cairo Montenotte, Matteo Fontana. Era costui un membro del Consiglio della Comunità di Cairo:
personaggio
nella zona di un certo rilievo,
visto che l'anno
successivo, avrà dalla cittadinanza il poco
gradito incarico di fare da intermediario fra i francesi e la città, dalla quale venne inviato
presso il gen. francese Pissoni in qualità di «deputato ». La descrizione della battaglia del '94
fatta dal
Fontana si differenzia dalla precedente perché in quella del cairese sono più vive le preoccupazioni personali per
la salute
sua e
delle sue cose, mentre le pagine del parroco di Dego hanno la maggior freddezza
(e distacco)
di chi vuol lasciate ai posteri una testimonianza di un fatto storico.
"L'anno 1794 il 21 settembre (giorno di domenica, S. Matteo e SS. Addolorata) successe battaglia tra francesi e austriaci al Dego dove mi sono trovato presente, essendomi: prestato ad andare per mettere al sicuro diverse cose (lingeria, vestimenta, seta, argenteria) della Compagnia di S. Sebastiano; insomma il meglio che mi trovavo ad avere in casa del valore di lire 7000 (25). Essendo giunti i francesi da Cairo si diede principio ad una scaramucia (sic!) a ore 18 e tre quarti tra i posti avanzati degli austriaci verso il castello di Rocchetta di Cairo principiandosi dal piccolo colle verso il castello di detto luogo seguitando sino al così detto colletto. I francesi erano divisi in due colonne; una era la suddetta (26), e l'altradel generale Cervoni Corso (27), passò da S. Giovanni dé Vignaroli e continuò la sua marcia per il colle che tende a Dego e in tale colle vi erano diversi corpitrincerati e avanzati d'austriaci; alle 21 e 20 i francesi attaccarono con grande impeto i sudetti e li obbligarono a ritirarsi verso il Dego sino quel piccolo monte sopra la borgata Supervia da dove in quei campi io era in veduta di tal fatto. Il gen. Wallis sopraggiunto in tempo di detta battaglia dispose subito diversamente da quanto aveva disposto il generale Turcheim (si diceva che Turcheim fosse d'accordo con i francesi) (28): spedì un reggimento in rinforzo a quelli che si ritiravano. lo sono stato stupito quel vedere quel reggimento unito agli altri che facevano battere i francesi da disperati e che in poco tempo li trovava obbligati a retrocedere. Come pure il comandante generale Wallis aveva spedito un reggimento per portarsi al castello di S. Giulia (29) ed il colonnello invece prese un gruppo di soldati e li portò nella collina dove erano passati i francesi e si appostò in un sito così vantaggioso sia per la posizione, sia per non essere veduto, sforzati i francesi a ritirarsi per la stessa strada, e giunti vicino a questo luogo restarono in mezzo a due fuochi. E detta armata fu quasi distrutta, quelli che si salvarono correvano per quei chiaggi dispersi, ed in seguito gli fu data la caccia come cani alla lepre e non si cessò sino a notte.
L'altra colonna (30) intanto si batteva al. Colletto, tra fanteria e fanteria vidi venire per la piana di Rocchetta di Cairo la cavalleria francese e subito la cavalleria austriaca d'Ullani andargli incontro (31) e mi credevo di vedere tale combattimento, ma dal colletto vicino a quel podere v'erano quattro cannoni, spararono contro la cavalleria francese, ed avendogli uccisi alcuni cavalieri, si ritirarono dietro alla Rocchetta."
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| Dego nel 1800 |
Continuava intanto la battaglia tra le fanterie e gli austriaci ritirandosi in buon ordine verso l'estremità del Colletto verso la Bormida attirarono i francesi in quella parte al di là della Bormida dove, sopra quella rocca, (32) vi era una batteria di 22 pezzi di cannone. Riuniti gli austriaci sotto le batterie inseguiti dai francesi, principiò la batteria di cannoni a fare un fuoco così terribile contro l'armata francese che ben presto si ritirò in disordine e si riunì molto dopo in due colonne, una marciò verso la ridotta fatta dagli austriaci alle falde del piccolo colle che resta alla dritta di Vermenano (33) e l'altra fare un giro sopra Costalovera (= Costalupara) per battere l'altra compagnia di austriaci. In cima a quel monte, dove erano piazzati anche due cannoni, rinnovarono di nuovo la battaglia con più colore di prima ed i cannoni dal monte sparavano contro l'armata francese apposta- ta nelle ridotte (?). Ciò fu di incitamento alla fanteria. Era uno spettacolo il vedere ed un terrore nell'udire; ed io ero un poco distante dalle batterie dei cannoni; la terra tremava ed io per tre giorni (!) sono stato sbalordito.
Detta battaglia terminò dopo la mezzanotte, essendosi ritirati i francesi per quei monti ( ... ). Gli austriaci restarono tutti ai propri posti vittoriosi ed io benché non avessi mai veduto alcuna battaglia ho giudicato esservi stati tra morti e feriti
dei francesi 3000 e più e degli austriaci pochissimi ( ... ).
Malgrado questa vittoria gli austriaci si ritireranno
da Dego, che verrà invasa dai francesi .
I francesi ritorneranno in Val Bormida alla fine dell'anno successivo.
Ed è ancora al Fontana che dobbiamo una interessante relazione sulle trattative che lo stesso intavolò, come delegato di Cairo Montenotte, col generale francese Pissoni per concordare, ovviamente nello stretto margine concessogli dalle circostanze, l'ingresso delle truppe francesi nella cittadina il
4 Ottobre 1795:
“ (3-10-1795) Il generale francese Pissoni mandò ordine da Carcare al Comune di
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| Carcare nel 1800 |
Cairo di divenire alla nomina di un deputato e soggiunse che l'indomani sarebbe giunto all'ora fissa con la sua armata in Cairo ( ... ); perciò si radunò il Consiglio ordinario, con l'intervento del Clero e di tutti i migliori soggetti del Paese; molti hanno fatto la nomina di me, ed io riconoscendomi incapace, tanto più che non sapevo la lingua francese, di dover ricevere ordini da un generale nemico chesogliono comandare grandi contribuzioni (34) ed altre cose quasi impossibili, ed in seguito condurli con loro per ostaggi, non volli accettare tal commissione. Nominando dopo alcuni altri, i quali non accettavano dicendo che erano del partito del nemico, che non erano portati per il bene pubblico. Questo contrasto durò per lungo tempo. Insistendo sempre che io accettassi, e che m'avessero dato con me un interprete, mi sono ritirato nell'anticamera della Torre. Vennero e mi condussero per forza nella sala del consiglio ed io fermo di non voler accettare,finalmente il sig. Arciprete in atto di inginocchiarsi davanti a me con le lagrime agli occhi mi pregò per l'amor di Iddio che accettassi. A tal parola non potei fare a meno di accettare. Disposi di fare tutte quelle provviste di pane e vino per dare all'armata deputando diversi a distribuire, omini di star pronti a qualunque bisogno. La notte appresso non potei dormire pensando a quanto mi potea succedere ».
Lasciamo il nostro buon Fontana alle prese con le sue preoccupazioni, indice di un animo in definitiva disposto ad assumersi le responsabilità derivanti per la gravità del compito e anche per la sua sorte: c'è da dire che seppe far fronte ottimamente alla situazione.
Dopo l'autunno del '95 gli sfortunati Valbormidesi ebbero alcuni mesi di pace. Ma non era che la quiete prima della tempesta: e che tempesta! Nell'aprile del '96 si scatenerà infatti sui paesi della Val Bormida la furia devastatrice della battaglia della I Campagna napoleonica in Italia: Montenotte (11-12 aprile), Cosseria (13-14 aprile), Dego (14-15 aprile). Si trattò probabilmente degli scontri più ampli che la Val Bormida vide almeno dall'epoca della guerra di successione del Monferrato, ovvio quindi che abbiano lasciato ampia traccia di sé nelle testimonianze contemporanee.
Da Fassino «Presa del castello di Cosseria descritta dall' avvocato Fassino da Millesimo ».
Delle tre battaglie, quella di Cosseria è forse quella che destò la maggior impressione fra gli abitanti, sia per la strenua difesa del castello di Cosseria compiuta da un migliaio di granatieri piemontesi e croati che inflissero perdite pesantissime a forze francesi superiori da sei a otto volte, sia perché essa fu condotta fra i ruderi di un castello dei Del Carretto da un discendente di quella stessa casata (Filippo del Carretto) che proprio tra quelle mura trovò la morte. Il lungo combattimento non solo ispirò i versi di G. Carducci (la Bicocca di S. Giacomo) ma anche entrò nel patrimonio « mitologico» locale, radicandosi a tal punto fra la gente del posto da essere tuttora conosciuto e ricordato (35).
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La battaglia di Cosseria vista da Millesimo |
E proprio da un valbormidese
contemporaneo a quell'avvenimento abbiamo una lunga e dettagliata relazione sulla battaglia, sostanzialmente esatta perfino nei particolari. Si tratta di una memoria manoscritta composta fra gli ultimi anni del 1700 e i primi dell'800 dall'avvocato Fassino di Millesimo, che di quei fatti fu
testimone (36).
L’avv.to
Fassino (o Facino) già “regio Prefetto della città e provincia di
Acqui”, fu un personaggio caratteristico del tempo: il 25 maggio del ’99
esulterà per “li felici successi delle armi austro-russe”. Il 1 giugno dello stesso anno (durante la
temporanea eclissi della supremazia francese in Piemonte) scriverà al Conte
Cerruti del Consiglio Supremo Sabaudo ricordando” di aver fatto purgare le
amministrazioni delle persone che avessero dato saggio di forte e geniale
attaccamento ai principi democratici” mentre in data ignota, ma dopo il 9 dicembre del ‘99, girato il vento,
il “cittadino Prefetto Facino” comporrà una “Cantata in occasione del
pranzo patriottico dattosi in Acqui dalla dalla gioventù che la prima innalzò
l’albero della libertà” in cui esaltava “La Gran Repubblica/ Di Eroi
Francese//Tutti ci rese /in Libertà (..)/ Giuriamo ad essa /In ricompensa
/Riconoscenza /E Fedeltà”.
Ecco come raccontò il
combattimento di Cosseria
“(..) Tale castello trovasi situato sopra l'eminenza di un monte e costrutto di pietra arenaria che estratte, spaccate in piccoli pezzi si veggono nel monte suddetto, con una doppia cinta di muri non più alti nella loro maggior circonferenza, di un trabucco al più, verso ponente e mezzanotte, meno che dalla parte di mezzogiorno ed attiguo alla porta di ingresso che ancora esiste, formata di pietre di taglio, ove si vedono alcune muraglie, parte diroccate, di maggior altezza.(..)
Trovasi detto castello a dirimpetto di un più basso monte, forma una larga gola entro cui passava e passa la moderna strada che dal genovesato conduce al Piemonte, cosicché il varco sì per il Monferrato che per la Valle di Bormida tende al Piemonte resta il più facile e meno montuoso a preferenza di qualunque altro della Liguria, restò perciò un tal
castello di ferma e precipua importanza per la difesa degli stati di S.M. il Re di Sardegna.
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La battaglia di Cosseria nelle famose stampe di Martinel/ Bagetti |
tale considerazione fu dall'autore di questa descrizione a nome della Comunità di Millesimo, di lui patria, fatta presente ai ministri della M.S. nell'anno 1795 e vanno risposto che detto castello era nella linea di difesa che si era adossata l'alleata armata austriaca ed infatti nel mese di novembre di tale anno si portarono a visitare tal luogo i generali Colli ed Argentau
accompagnati dal Conte Enrico Del Carretto di Millesimo e quindi dopo poco tempo gli furono spediti 25 circa guastatori, che per tutta ristaurazione
accumularono una mattina alquante pietre a secco su dell'ultima cinta.(..)
Padroni i Francesi da Nizza sino a Genova repubblica a loro propensa ed amica, ed assunto il comando supremo dell'armata francese(..) il prode e sagace Napoleone Buonaparte, meditò il progetto di dirigersi verso la Capitale cioè Torino per la strada denominata dal detto castello di Cosseria, ove conosceva non trovare quegli ostacoli che altrove si presentavano.
Già (?) pertanto sulle alture dé monti liguri una parte della sua armata rumoreggiando
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| L'assalto al castello (stampa di Martinel/Bagetti) |
alle spalle del nerbo dell'armata austriaca comandata dal generale Bollieu, il quale credendo (oppure amando di credere) di aver adosso tutta l'armata francese, abbandonate tutte le da lei prese posizioni, e varcato il Po, portossi a coprire li stati austriaci della Lombardia.
Intanto il generale Buonaparte, sboccando da Savona, mandò il generale Augerau con circa 10.000 uomini ad attaccare il castello di Cosseria alla cui difesa vi erano entro 700 uomini
principalmente
di buone truppe Croazie, cioè di 500 circa di calzoni rossi e circa 200 piemontesi comandate dal Generale Provera, che il suddetto accanto di un muro
tremava come una foglia, in detto castello vi erano pur rinchiusi alla di lui difesa il cav. Carretto di Camerano ed il capitano di milizia Paolo Viglietti, soli ambidue di attività e sommo valore, quel Viglietti ottenne quindi la medaglia d'oro, essendosi colà rimasto ucciso il detto Cav. Del Carretto di
Camerano ed ivi sepellito. Aveva pur spedito il generale Francese un corpo di truppe
di circa tremilla uomini ad occupare il monte di san Giovanni di Murialdo, il generale Busca
che con la sua tromba marina gridando «guerre à moi » tentava di incutere
timore
all'armata
Austro-Sarda,
quale a un dipresso di 12 mila uomini se li trovava di fronte sulle alture di Roccavignale e Cencio, sopra la strada
detta della bocchetta che mena al Piemonte sotto il comando dei due generali
Colli ed Argentau.
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| Trattative di resa |
Dal colle di S. Giovanni il generale Busca vedeva
l'attacco del castello di Cosseria ed il generale Colli in distanza di soli due
miglia. Principò circa la metà di aprile del 1796 l'assalto della riviera
di detto castello e circondatolo attorno all'ultima cinta ne intimarono la resa, alla quale sarebbe
addivenuto volentieri il comandante Provera, mediante la libera uscita, con armi e bagaglio
e bandiera spiegata, della guarnigione con facoltà di raggiungere l'armata Sarda.
Rifiutata una tale domanda si venne dai francesi guidati
dai generali di brigata Barel e Caush (?) all'assalto di detto castello e principalmente alla di lui
porta, ma essi furono con grave perdita rigorosamente respinti; rinnovarono lo
stesso giorno l'attacco suddetto quale ebbe l'esito stesso colla morte di detti
due generali e con gravissime perdite.
Il generale supremo Augerau a tale vista, quale alloggiava in
casa dell'estensore
di
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I Francesi rendono l'onore della armi ai Granatieri sconfitti ma non vinti |
questo racconto, tenendosi le mani sulla fronte ed i gomiti appoggiati alla
tavola ripeté più volte le formali parole «Ce vilain chateaux il ne fut rebancé la chemin sur la
rivière ».
All'indomani, il vassallo Francesco Mellini tenente della Compagnia Milizia ed il consigliere di Comunità Giò Batt. Motta si recarono
al campo dell'armata Austro-Sarda per ivi aver udienza dal Generale Colli, quali però non la poterono ottenere se non dopo quattro ore sul pretesto che esso dormiva nella sua tenda e
finalmente introdotti, espressa alla presenza di moltissimi uffiziali l'importanza del detto castello, il bisogno che aveva la di lui guarnigione in viveri e massima-
mente d'acqua
stantecché era impedita di questa, procacciarsi da
un fonte che ivi esiste copioso ai piedi della muraglia dell'ultima cinta, e che esso con vari
se- gnali che detto generale poteva vedere domandava aiuto.
Dopo tale esposizione sul mormorio dell'uffizialità che lo circondava
non potendo più coprire la di lui inazione ed incorrere perciò nel massimo biasimo, ordinò la marcia al detto castello di 4000 uomini alla
testa dei quali si erano posti volontariamente i suddetti Mellini e Motta, come ne avevano fatto l'offerta; ma che? giunto il corpo
d'Armata alla borgata detta della Bormida di Cencio dal qual luogo principia il
pendio della collina tendente al castello suddetto, fu improvvisamente
dal detto generale Colli richiamata indietro.
Intanto la guarnigione priva d'ogni soccorso e di viveri,
non ostante che riportata la terza vittoria all'altro attacco datogli
sull'intimazione della resa stata fatta, mediante l'accordo delle stesse
condizioni state demandate uscì dal Castello con armi e bagagli e bandiere spiegate, ma
invece di lasciar libera la strada sud- detta,
fu condotta a Savona e non gli fu permesso
di raggiungere l'Armata Sarda se non dopo 10 12 giorni.
Tale fu l'esito de' fatti d'arme di cui poi tanto se ne fece
vanto Bonaparte, il quale pendent tutto questo tempo rimase alle Carcare in
casa del sig. Ferrari in aspettazione dell'espugnazione di detto castello, facendo descrivere
nelle stampe dei quadri delle sue vittorie esposte alle Tullieri sette ridotte,
quando ciò non fu vero e niuna esteriore gli era stata fatta veggendosi al
presente l'i stesso stato di difesa come era allora”. Come si vede, l
Fassino non è certo tenero né verso il Provera, né verso il Colli
 |
Bonaparte riceve a Millesimo le bandiere conquistate agli Austro-Sardi |
Anche il Fontana fu colpito dalle battaglie di Cosseria e Dego,
a proposito delle quali ci lasciò puntualmente le sue impressioni, che sono quelle di uomo ben informato, in quanto in casa sua aveva preso alloggio il generale francese Cervoni (37). Particolarmente interessante è la testimonianza sulla sanguinosa battaglia di Dego,
che qui riproduciamo, traendola sempre dalla pubblicazione citata.
Da M. Fontana, «Memorie ai miei nipoti dell'invasione francese: Cervoni infuriato con Massena».
(15-7-1796) Due ore avanti il mezzogiorno il generale disse di non preparare pranzo perché bisognava tornare di nuovo alla battaglia di Dego (38). Subito si sentì battere li tamburi nel  |
Il convento francescano di Cairo (XIII sec.). Verrà incendiato dai francesi di Victor nel maggio del 1799 |
paese, negli accampamenti e vidi partire tutta l'armata verso Dego. Incontrai il gen. Cervoni a cavallo vicino a Porta Piemonte (39) e mi disse di aver fatto alloggiare due suoi amici in casa mia e mi chiese di trattarli nel medesimo modo con cui era trattato lui. Tornato a casa li sistemai a modo e poi chiamai il medico perché facesse loro quello che abbisognava. Uno era il generale Duppuiy e l'altro il generale Rondeau (40): il primo ferito in un piede e l'altro nella gamba. Il giorno dopo furono trasferiti a Savona. Siccome l'armata austriaca che era a Spigno si unì a quella fugata da Dego, il giorno avanti (41) di buon ora gli austriaci attaccarono i francesi nelle ridotte e li costrinsero a ritirarsi fino a Rocchetta di Cairo ed in quell'occasione fecero più di tremila francesi prigionieri oltre i morti (42). Giunta l'armata (francese,) partita da Cairo unita ai fuggiaschi fecero fronte agli austriaci e li costrinsero a ritornare a Spigno. Alla sera il generale Cervoni tornò arrabbiato come un cane, nella sala urlava dove erano i suoi addetti capi e gli altri ufficiali in numero di undici: «Ecco il disordine! Quel... (sic nel testo!) del generale Massena! Gli avevo detto di lasciare l'armata a Dego e lui invece l'ha voluta riportare a Cairo. Abbiamo perso una brigata e mezza e per noi è una gran perdita; se fossi il Comandante in Capo lo vorrei far fucilare subito "(43).  |
| Battaglia di Dego |
Dopo questi avvenimenti non si svolgeranno più in Val Bormida battaglie o grossi scontri armati, fino all'ultima guerra mondiale e agli episodi legati alla Resistenza.
1799: anno ignis
La presenza francese provocherà comunque altri
avvenimenti, spesso tristi, fra i paesi della Val Bormida, puntualmente annotati dai
nostri cronisti. Particolarmente il 1799 fu tragico, soprattutto perché non si trattò più di battaglie fra eserciti tutto sommato stranieri, ma di scontri tra abitanti
di «opposte
tendenze
politiche », filo o antifrancesi: una vera e propria
guerra civile, insomma, anche se sporadica e molto limitata, con tutti gli
eccessi di tutte le guerre civili.
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Cosseria Loc. Marghero. Sull'esterno di una vecchia abitazione ancora negli anni '70 era visibile l'iscrizione /1799. Anno ignis) a ricordo dell'inceendio provocato dai Francesi (foto P. Patetta) |
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Cosseria Loc. Marghero Ancora visibili le tracce dell’incendio provocato dalle teruppe napoleoniche nel maggio del 1799! |
È ancora il parroco di Dego, d. Damiani, a darei una pacata testimonianza di quei tempi di lotte.
Dal «Registro dei Battesimi di D. Damiani ».
« In
gennaio si piantò l'albero della libertà a tre colori (...) e si cantò pure una canzone patriottica composta da me scrittore e quindi il Te Deum in parrocchia
con la benedizione (44). Ma circa la metà di quaresima il tutto restò sconvolto e perturbato. Cominciò la rivolta in Strevi che ebbe per protesta l'unione del Piemonte colla Francia (45), giacché alcuni giorni prima si portarono per le provincie alcuni commissari a raccogliere i voti delle municipalità i quali furono per la massima
parte favorevoli a tale unione (46).
Alcuni rivolto si ebbero per pretesto anche la religione, benché il vescovo e tutti i buoni parrochi gli assicurassero che non era questa in alcuna cosa intaccata e che secondo le leggi di Francia e dei veri principi di libertà mai verrebbe nella sua sostanza
intaccata.
Tale fuoco si estese fino in Dego e quindi da alcuni furiosi ed ubbriachi (47)
alla sera del 28 di febbraio furono atterrati e bruciati i detti due alberi (della libertà). La municipalità restò stordita in vista massime che comnciarono ad armarsi i malcontenti e che ad essi si unirono molti di Brovida e molti altri di questo luogo costretti per lo più con minacce di morte e fuoco dai primi. Vedendosi essi la timidità della' Comune (...) andarono ad atterrare il detto albero in
Piana, Cagna, Lodisio e Rocchetta presso Cairo. Fratanto giunsero i francesi coi patrioti piemontesi in Acqui con due cannoni. Strevi fu incendiato ed Acqui a pena poté scansare il saccheggio (48). Dalla città di Acqui cinquanta e
più francesi si portarono in Dego con molti patrioti di Spigno e di altri paesi vicini; addì 6 marzo giunsero ancora 100 svizzeri (?) con molti altri patrioti di Cortemilia, dalla parte di Brovida. Appena giunti i francesi coi spignesi attaccarono i rivoltosi in Vermerano e ne uccisero tre (49):
gli altri
fuggirono ascendendo
il monte di S. Lucia per la parte dei boschi dove furono inseguiti buon tratto di strada. Dopo tre giorni i francesi e tutti i patrioti si ritirarono ma seguirono
poscia molti arresti . In una notte furono arrestate cinque persone in Dego ed uccisa un'altra in Brovida. La prima festa di Pasqua ne furono arrestati altri tre anche a Dego e molti altri vivono lontani dalle loro case temendo pur divenire arrestati (50)
perché ebbero parte nei suaccennati disordini benché lamaggior
parte piuttosto per timore che per malizia ».
Il buon parroco tende quindi a scusare quanto successo: teniamo conto che scriveva durante la dominazione francese e che era amico del prefetto
del Dipartimento di Montenotte conte Chabrol, ovvio quindi che tentasse di scagionare i suoi parrocchiani dall'accusa di attività antifrancesi. Analoga opera di persuasione fece anche nei confronti degli stessi abitanti di Dego, cercando di convincerli a non impugnare le armi contro i francesi. Registrando le uccisioni di uomini e donne per mano dei francesi spiega:
«E questi infortuni (!) sono accaduti perché vari abitanti di questo luogo e di altri luoghi vicini presero le armi per impedire ad
essi (i
francesi) il viaggio di ritorno da Alessandria a Savona (51). Purtroppo io li avevo sconsigliati di non fare tali cose e piuttosto mandassero me a Spigno per placarli. Ma questi imprudentemente hanno respinto il mio parere preferendo impugnare le armi ( ... ). La- scio quindi questa memoria ai posteri: così che se qualcuno la leggerà possa subito
dissuadere gli abitanti dei luoghi dall'intraprendere azioni contro i soldati: poiché la guerra si deve fare da questi e non dai contadini, i quali se volessero fare. diversamente finirebbero per soffrirne gravi conseguenze ».
Con queste parole termina l'ultima cronaca in nostro possesso relativa agli anni dell'invasione e della conquista napoleonica.
Se il 1799 fu "l'anno del fuoco" il 1800 sarà l'anno della fame, per le devastazioni provocate dal continuo passaggio di armate complicate dal blocco imposto dagli inglesi : in Val Bormida i registri parrocchiali segnaleranno parecchi casi di morte per fame tra la popolazione più povera.
Gli anni che seguirono, fino alla caduta del regime napoleonico, furono relativamente sereni per la Val Bormida, parte integrante del dipartimento di
Montenotte, affidato
alle cure intelligenti e illuminate del prefetto Chabrol de Volvic (52). Non ci furono più guerre nella zona, ma non per questo gli abitanti cessarono di dare
il loro contributo di sangue, anzi esso aumentò con l'arruolamento forzoso dei giovani nell'armata di Napoleone: e i giovani della Val Bormida, cadendo nelle desolate
steppe russe o sui campi di mezza Europa , combattendo per qualcosa che ormai non li riguardava più, non avevano neppure il conforto di
morire fra quei monti fra i quali erano nati.
Ma la storia è sempre quella.
Leonello Oliveri
Propr. lett. riserv.
Riprod. Vietat.
Ripreso il potere i Francesi condannarono a morte molti degli insorgenti di Dego: fra questi Francesco Diverio. Questo il manifestro bilingue che annuncia la suia condanna ed esecuzione |
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[1] ) Ricordiamo che Genova era allora Repubblica indipendente.
[2]) I saccheggi e le requisizioni furono una nota comune durante le guerre napoleoniche in Italia. Per quanto riguarda la Val Bormida esse sono ampliamente documentate: qui l'esercito francese nel 1796 vivrà praticamente di preda. Del resto gli stessi francesi (v. AA.VV., Victoires et conquétes, cit., p. 181) dicono chiaramente che «la guerre doit nourrir la guerre ». A parziale giustificazione dei francesi possiamo dire che essi nel fare ciò erano in buona compagnia: saccheggiavano quello che avevano lasciato gli austriaci
[3] ) Lo stesso D. Aperlo precisa la data: 12 giugno 1794, ore 21.
[4] ) I Giovetti sono una località sita nei pressi di Bardineto.
[5] ) Incomincia ad affiorare in D. Aperlo una bonaria ironia nei confronti di questi... guerrieri, ricchi prevalentemente di buona volontà.
[6]) In un turbinio di gambe levate si chiude questa spedizione. Occorre precisare che non si trattava di militari regolari, ma di pseudo volontari. Ben altro eroismo metteranno in mostra i granatieri sardi nella battaglia di Cosseria del 13-4-1796 e gli austriaci (e francesi) a Dego negli stessi giorni.
[7]) Ulteriore resoconto di una seconda spedizione da parte delle Compagnie di milizia di Cairo e Millesimo (in pratica contadini armati), ricche più di entusiasmo che di arte militare.
[8] ) Mallare, prov. di Savona.
[9] ) Carcare, prov. di Savona.
[10])Frazione di Dego. Per una migliore comprensione degli avvenimenti v. la cartina allegata.
[11] ) Deve evidentemente trattarsi di Monte Ubri della cartina al 25000 dell'I.G.M. (F. 81 della Carta d'Italia, IV, NO).
[12] ) Ad Est del bric Casteirolo, che si trova a Sud di Dego.
[13] ) Pollovero nella cartina al 25000 dell'I.G.M.
[14] ) Non ho trovato questo nome né sulla cartina al 25.000 né sul quella francese del 1895, allegata al testo di KREBS-MoRRIS, Campagne: dans les Alpes pendant la revolution, Paris, 1895.
[15] )Una seconda relazione, quella del Fontana, aumenta notevolmente, probabilmente esagerandolo, il numero dei cannoni austriaci.
[16] ) S. Lucia e Vermenano sono entrambe località all'immediata periferia occidentale di Dego
[17] ) Effettivamente il gen. Bonaparte (allora comandante dell'artiglieria) fu inviato al seguito del gen. Massena in Italia col grado di generale di brigata. Ebbe quindi occasione di vedere i luoghi sui quali costruirà la sua fama nel corso della I Campagna in Italia.
[18] ) Evidentemente deve trattarsi del rappresentante del popolo Saliceti, e non Saliceto, paese a pochi km. di distanza
[19] ) Il convento è situato a N. di Cairo, lungo la strada per Cortemilia. Il Fontana preciserà che la colonna passò per S. Giovanni di Vignaroli.
[20] ) Potrebbe essere il bric Valcrosa, fra Dego e Brovida
[21] )Questo scontro di cavalleria fu ricordato da G. C. ABBA nel suo romanzo «Sulle rive della Bormida», Nuova edizione a cura dell'Amministrazione Comunale di Cairo, 1969, pp. 230-237.
[22] ) Gli austriaci utilizzano la stessa tattica aggirante dei francesi
[23] ) Attualmente reg. Pianale, alla periferia di Dego.
[24] ) Eseguite alle pendici del bric S. Lucia.
[25] ) Cifra assai elevata, se si pensa' che solo 10 anni prima una giornata di lavoro di un operaio era valutata due lire! (v. D. P. SUFFIA, Curiosità su Calizzano, Savona,1976, p. 92)
[26] ) Cioè quella che aveva iniziato il combattimento a Rocchetta di Cairo e al Colletto.
[27] )Il gen. Cervoni ritornerà in questi luoghi nel '95 e nel '96, alloggiando proprio nella casa del Fontana
[28] ) Sovente in queste relazioni si trovano critiche e supposizioni non proprio confortanti relative alla condotta della guerra da parte degli ufficiali austriaci, che pure erano alleati: testimonianza della eterna mania italiana del pettegolezzo e della «dietrologia» o indizi di effettivi sospetti? Certo che talune decisioni prese da ufficiali austriaci nella campagna del '96 non sono esenti da critiche.
[29] ) A pochi km. da Dego.
[30] ) Quella proveniente da Rocchetta di Cairo.
[31] ) Anche D. Damiani ricorda questo fatto. Fu l'ultimo scontro di cavalleria che avvenne in Val Bormida: l'avvento dell'artiglieria aveva chiuso un'epoca.
[32] ) Dovrebbe trattarsi dell'attuale località Supervia.
[33] ) Colle di S. Lucia?
[34]) Sulla pesantezza di tali contribuzioni abbiamo una testimonianza relativa proprio a Cairo e risalente al 1799. Allora questa cittadina, che contava circa 3200 abitanti,fu tassata per 100 brente di vino (= 5000 litri), 190 rubbi di farina (1330 kg.), 70 mine di meliga (se corrisponde alla mina genovese dovrebbe trattarsi di 8120 litri, se all'emina piemontese = 1610 litri), 100 rubbi di fieno (700 kg.). L'informazione ci è fornita da E. ZUNINO, Cairo e le sue vicende nei secoli, Cairo, 1929.
[35] ) Sulla battaglia di Cosseria v. dell'autore «La battaglia di Cosseria nelle testimonianze contemporanee» in «Alta Val Bormida» n. 7, 1980.
[36] ) Il ms. Fassino è custodito nella Biblioteca Reale di Torino e fu pubblicato dall’A. nel n. 86 del Bollettino Storico Bibliografico Sub-alpino..
[37] ) Cervoni era gen. di brigata agli ordini del gen. Meyner a sua volta agli ordini di Massena.
[38]) Per l'esatta comprensione di questo brano occorre far riferimento alle varie fasi della battaglia di Dego: in realtà si trattò di due battaglie distinte, combattute l'una il 14 aprile (i francesi presero Dego), l'altra il 15 (i francesi lo persero e poi lo ripresero). Accadde che dopo la prima conquista le truppe francesi si sparsero per le diverse frazioni e case di Dego, che furono sottoposte a saccheggi e brutalità. Nella notte i francesi, «vino somnoque sepulti », dirà il PELTIER, Examen, etc. cit., p. 41, vengono improvvisamente attaccati da una colonna austriaca guidata dal col. Vukassowich, che riuscirà a strappare questo paese ai francesi,a tenerlo per quasi una giornata e poi a sganciarsi, dimostrando così, come peraltro avevano fatto i granatieri piemontesi il giorno prima a Cosseria, che i francesi erano tutt'altro che invincibili se attaccati col loro stesso metodo, cioè con coraggio e impeto.
[39] ) Ancora esistente all’estremità di via Buffa.
[40] ) Dupuy era comandante della 32a demi-brigate, Rondeau della 11a leggera. Comandavano gli avamposti francesi investiti all'improvviso dagli austriaci di Wukassovich nella mattina del 15 aprile. Rondeau, ferito da una scarica di mitraglia morirà tre mesi più tardi, Dupay fu ferito gravemente (F. Bouvier, Bonaparte en Italie, cit. , p. 306)
[41] ) In realtà questo attacco avvenne il 15 aprile
[42] )Secondo il BOUVIER, op. cit., p. 314 i francesi ebbero 1200 morti e feriti, 200 prigionieri, gli austriaci rispettivamente 850 e 1500.
[43] )Effettivamente il comportamento di Massena non fu esente da critiche: non si trovava infatti a Dego, come suo dovere, anzi, secondo alcuni maligni, fu sorpreso dall'assalto austriaco fra le lenzuola di una compiacente (o obbligata?) alcova (v. BOUVIER, cit., pag. 307, n. 3
[44] ) Come si vede, quindi, il clero non era aprioristicamente ostile ai francesi; anche fra i contadini non erano all'inizio molto diffusi sentimenti antifrancesi. La situazione poi cambiò lentamente, soprattutto per i saccheggi e le violenze delle truppe, e verso il 1799-1800 si arrivò ad autentici episodi di resistenza antifrancesi; interessante al proposito il libro di M. RUGGIERO, Briganti nel Piemonte napoleonico, Torino, 1968.
[45] ) Tale unione fu votata in questa zona tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio del 1799.
[46] ) A Millesimo tale votazione ebbe luogo il 17-2-1799, la cittadinanza «dopo di avere bene ponderato» diede il suo volto «libero e sincero» e ovviamente favorevole: altrettanto ovvio è che sulla spontaneità di tale voto ci sarebbero alcune osservazioni da fare.
[47] ) È evidente l'intenzione di D. Damiani di togliere al fatto ogni significato « politico », per rendere meno gravi le conseguenze agli autori (non dimentichiamo che D. Damiani scriveva durante il dominio francese). Che tali atti avessero un chiaro significato «politico» antifrancese (cui ovviamente non era estraneo «l' ancien regime”) è forse dimostrato dalla frequenza con la quale essi si verificavano, ben dimostrata, per il Piemonte, dal citato libro del RUGGIERO, Briganti nel Piemonte napoleonico
[48]) Tempi difficili in cui i «patrioti» (interessante fra l'altro la presenza di questo termine che diverrà poi frequente nel Risorgimento) sostenevano i francesi contro i contadini ribelli. Fra gli Italiani che si arruolarono nell'esercito francese in questo periodo è da ricordare il Foscolo, che proprio combattendo fra le fila francesi a Genova contro le truppe della II coalizione è ferito in questo stesso anno (1799) nei pressi del forte dei « Due fratelli ».
[49])È la prova che ci furono veri scontri tra rivoltosi e francesi appoggiati da « patrioti» italiani. E nello scontro tra italiani tre italiani restano uccisi. Poi seguiranno gli arresti, le rappresaglie, le opposte rese dei conti, come sempre.
[50])Il bilancio totale è quindi, per Dego e zone vicine, di 4 morti e 8 arresti, oltre ai «molti» costretti alla latitanza: si deve essere quindi trattato di un episodio di ribellione antifrancese piuttosto consistente. Esaminando questo periodo storico non sono rari gli indizi che legittimano la convinzione che, soprattutto verso il 1799-1800 vi fossero in Val Bormida e in Piemonte diffusi atti antifrancesi, i quali non seppero conservarsi quella favorevole disposizione da parte degli abitanti conquistata cacciando i vecchi padroni feudali e tracotanti. Tali atti di resistenza spesso vengono classificate dai francesi come azioni di brigantaggio (e spesso certo i confini tra il ruolo di resistente e quello di brigante dovettero essere assai labili). A questo proposito è molto interessante il già citato libro di M. RUGGIERO, Briganti nel Piemonte napoleonico
[51] ) Probabilmente nel maggio del 1799, dopo i primi successi della II Coalizione.
[52] ) Questo conte, prefetto inviato da Napoleone per amministrare il dipartimento di Montenotte, e più tardi prefetto di Parigi, rappresenterà per la Val Bormida il frutto migliore, fra tanti lutti, della conquista napoleonica, e anche un esempio di governo finalmente moderno. I risultati del suo buon amministrare e soprattutto del suo metodo intelligente, della sua apertura, del suo desiderio di un'amministrazione «scientifica» eprogrammata sono racchiusi nella sua opera «Statistique des prouinces de Sauone,
d'Oneille, d'Acqui et de la partie de la province de Mondovi formant l'ancien département de Montenotte, Paris 1824: un libro la cui lettura consigliamo a quanti, politici e no, hanno il compito di amministrare queste terre; da esso si potrà imparare parecchio, almeno come metodo.
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