LEONELLO OLIVERI
Proprietà letteraria riservata
Riproduzione Vietata
Roccavignale è un piccolo comune della Val Bormida diviso in diverse frazioni (Camponuovo,
Strada, Valzemola, Pianissolo), situato in un'area montuosa ora tagliata dalla viabilità moderna e da innumerevoli viadotti dell’autostrada. Il vecchio castello gettava la sua ombra forse un po' cupa ed opprimente sul vecchio borgo sfilacciato ai suoi piedi, testimone di assedi e battaglie, da quelle dell'epoca carrettesca ai 18 giorni dell'assedio franco-spagnolo nell'agosto del 1629, all'incendio ad opera delle truppe napoleoniche che lo distrussero nel 1799, alle cupe vicende della guerra, mondiale e civile, del '40-'45.
La sera del 18 settembre del 1794 don Berliri, parroco di Rodello, piccolo centro delle Langhe cuneesi, si trovava a Roccavignale, ospite del padre.
Dopo la cena il discorso cade sui francesi, che proprio in quei giorni si erano affacciati in Val Bormida per scontrarsi, di lì a 3 giorni, con gli Austriaci nella piana di Dego: "Intanto il padre, uscito in giardino, torna poco dopo ridendo: "ecco i francesi". Così scrive nel 1994 G. Merla (1) riportando la sua gustosa ed interessante" lettera da Rodello". E continua: "Don Berliri esce in strada con un lume. Si sente uno scalpiccio affrettato. E' gente di Millesimo, contadini che scappano e si mettono in salvo con le loro mucche, a Millesimo ci sono i Francesi!". E il Merla continua descrivendo il tranquillo soggiorno valbormidese del buon parroco: "essi (d. Revello e i suoi amici) mangiano polli e bevono vino, pensando che più ne mangiavano e bevevano, meno ne sarebbe rimasto per i francesi". Del resto poco più a valle, nel campo francese a Millesimo, nei prati intorno al convento, la situazione non è molto diversa, e i protagonisti sono sempre polli e bottiglie: "le monache di Millesimo, continua la lettera riportata dal Merla, se la cavarono con un grande spavento e con 60 polli per il pranzo degli ufficiali e due buoi per la truppa".
Così, in questo modo allegro e un po' incosciente, inizia la tragica avventura della Val Bormida negli anni dell'invasione francese
E proprio dei terribili anni dell'invasione napoleonica (o meglio francese) del 1794-1815 Roccavignale può essere usata come esempio per illustrare quelle che furono le condizioni della valle, terra di conquista e spoliazione per le truppe d'oltralpe, in quegli anni.
La base documentaria per ricostruire la situazione di questo paese è costituita essenzialmente dai registri parrocchiali dell'epoca (in particolare registri dei nati, dei morti e dei matrimoni), nonché da alcune relazioni coeve redatte da ufficiali dell'esercito napoleonico, spesso citate in questo blog.
| Roccavignale sotto i francesi: timbro del maire (sindaco) |
Girata la pagina si entra subito nel vivo della storia. Il parroco, anzi, preposto, d. Bartolomeo Albesano, ricorda che "nell'anno del signore 1796, il giorno 14 aprile i Galli hanno invaso questo paese, vi si accamparono tre giorni depredando la chiesa parrocchiale: asportarono anche il libro nel quale erano segnati i defunti dal 1767 fino al sopraccitato giorno 14 aprile. In questo libro sono quindi riportati coloro che morirono dopo quella data " (4).
Il 14 aprile fu un giorno funesto per la Val Bormida: al mattino si era arresa la guarnigione piemontese comandata da Filippo Del Carretto bloccata nel castello di Cosseria, e nella stessa giornata infuriava la prima, sanguinosa fase della battaglia di Dego. E i francesi entrano a Roccavignale, col seguito di saccheggi e violenze che caratterizzò sempre la presenza di questo esercito nelle guerre napoleoniche.
Nelle pagine successive non vi è più traccia di fatti militari. Del resto la situazione in queste zone della Val Bormida non fu particolarmente grave nei restanti mesi del '96 e per i due anni successivi: la guerra si era spostata altrove, nella zona passavano solo piccoli gruppi di militari e i disagi erano, rispetto a quelli successivi, sopportabili: qualche furto, qualche violenza e tante requisizioni. Così nei restanti mesi del '96 il libro dei morti registra a Roccavignale 14 decessi, cifra che doveva essere più o meno normale in quella zona in quel periodo.
Anche i successivi anni 1797 e '98 non presentano, da questo punto di vista, variazioni particolari rispecchiate nel registro dei morti: 20 decessi nel '97, 18 nel '98, anno in cui probabilmente morì d. Albesano sostituito da fr. Ignatius Iosephus Giacosa.
La situazione documentata dal registro cambia invece bruscamente e drammaticamente nel '99.
Innanzi tutto le annotazioni sono estremamente disordinate. Iniziano il 16 marzo, ma riportano poi decessi di gennaio, e arrivano fino al 29 novembre. In tutto risultano 8 decessi, cifra assolutamente fuori dalla norma per il paese (15-20 decessi /anno). Per tre decessi ci sono inoltre annotazioni che le collegano direttamente ad eventi bellici:
Leggiamo infatti :-anno domini millesimo septingentesimo nonagesimo nono in mense julii tempore belli a gallus necatus inventus est Franciscus bertone q.am Michaelis aetatis annorum 35 circiter;
-anno domini millesimo septingentesimo nonagesimo nono in mense julii tempore belli a gallis necata inventa est Angela Maria Bemo(?) uxor Francisci Bertone aetatis annorum 32 circiter;
-anno Dni 1799 in mense augusti tempore belli a gallis necatus inventus est Petrus Giacosa q.am Antonimi, aetatis annorum 60 circiter, sepultusque fuit in cemeterio huius loci Philippus Martelli Praepositus
Si tratta quindi di 3 persone (una coppia di 37 e 32 anni ed un anziano di 60) uccisi dai francesi a luglio e a agosto.
Cosa era successo? Come mai questo disordine nelle annotazioni? Perché queste uccisioni ? Cosa avvenne a Roccavignale nel '99?
La risposta è contenuta in una delle relazioni degli "ingegnieri geografi" napoleonici inviata a Parigi nel 1808 dal sous lieutenant Ingénieur géographe Simondi. Lasciamogli la parola.
"A Roccavignale la popolazione diminuì di 200 anime nel 1799 per le vicende della guerra perché per essersi rifuggiati dei ribelli nella Commune quella popolazione dovette soccombere": e quel "dovette soccombere" è agghiacciante nella sua concisione. La relazione continua: a Roccavignale "seguirono nel 1799 svariate scaramucce contro i ribelli comandati da Roccavina che si erano annidati nelle regioni di Piangranone e La Crocetta; il paese è stato rifuggio dei ribelli, dovette sopportare tutti li eccessi della guerra, in cui li vennero saccheggiate le loro proprietà, devastate tutte le loro campagne, date in preda alle fiamme tutte le loro abitazioni. Furono li abitanti messi nella estrema miseria e tutt'ora il popolo geme sui miseri avanzi lasciati dalle vicende della guerra"
Ecco la spiegazione. Roccavignale aveva la duplice sfortuna di essere posto lungo la strada percorsa dalle truppe francesi in ritirata verso il mare e di ospitare delle bande dei contadini ribelli insorgenti: era quindi stata teatro delle imboscate tese dagli "insorgenti" alle truppe francesi. Come sempre accade, come accadrà anche in seguito in anni più vicini a noi , agli assalti degli "insorgenti", incuranti delle conseguenze sulla popolazione, seguiranno poi le rappresaglie delle truppe sui civili, e ai caduti francesi faranno immediato riscontro grandi dolori per la popolazione, mentre gli stessi i ribelli, dal folto dei boschi, guardavano le colonne di fumo levarsi dalle case incendiate dalle rappresaglie (5).
Una traccia di quei fatti lontani è ancor oggi viva a Roccavignale in qualche anziano, che, per far star buoni i bambini cita ancora la "Gironda che suonava nel chiaggio della forca dove rotolavano le teste", e ricorda perfino "i ribelli di Ravina (probabilmente corruzione per Roccavina) a Pian Granone", mentre l'incendio del '99 è ancora eloquentemente testimoniato da solai anneriti dal fuoco in Pianissolo.
Ma perché i contadini (alcuni) prendevano le armi contro i francesi?
Nel 1799, in seguito al continuo passaggio di truppe francesi, piemontesi, russe, austriache, di ribelli e giacobini, ci fu in Val Bormida una serie di massicce distruzioni e devastazioni di campi, vigne e raccolti, che mise in ginocchio l'agricoltura della zona.
Le testimonianze al riguardo sono numerose.
Le "vigne spopolate di pali"
Un documento del 24 ottobre del '99 conservato all'Archivo di Stato di Savona ricorda che a Sassello "il popolo ha sofferto la quasi totale devastazione delle raccolte nel passaggio delle truppe francesi"; a Carcare il 14 giugno 1800 l'Amministrazione Municipale fu costretta ad inviare una supplica al generale Massena perchè "le truppe cessino di rubare nelle campagne: tutti questi abitanti vanno sicuramente a morire se anche quest'anno niente possono raccogliere delle loro fatiche" a Millesimo "tutti gli alberi di castagne furono recisi, le vigne spopolate di pali, la gente è costretta a chiedere l'elemosina di un pezzo di pane".
Analoga la situazione a Calizzano: il 31 maggio i francesi chiedono 1000 razioni di pane, vino, castagne, farina, fieno, paglia lasciando i cambio…buoni di pagamento, il 3 e 4 giugno gli ussari (francesi) saccheggiano la borgata del Pasquale e il Borgo (6) Alla fine dell'anno, il 16 dicembre 1799, il Presidente della Comunità fa presente che " in seguito alle quotidiane requisizioni fatteci, ancora con minacce, dalla truppa francese e nazionale, dalle arbitrarie e personali dette azioni che tutti i giorni seguono, con l'essere stati spogliati questi abitanti delle intiere loro sostanze e ridotti ormai nell'estrema necessità e fame (...) questo povero paese è ormai giunto alla vera desolazione e costretto perfino ad abbandonare le proprie abitazioni, spogliato dei mezzi di sussistenza che giornalmente le vengono tolti"
Le stesse fonti francesi testimoniano il grado di estrema povertà in cui la guerra aveva gettato questa valle. Nel 1804 l'ingegnere-geografo francese Simondi, inviando a Parigi una relazione riguardante Millesimo, deve infatti scrivere : "a Millesimo prima della scorsa guerra (1793-1800) le campagne erano piuttosto ben tenute, specie le viti. Ora queste sono molto diminuite perché i pali sono stati portati via e bruciati dalle truppe, le viti calpestate e certi terreni rimasti incolti".
In questo paese la situazione era grave ancora parecchi anni dopo la fine della guerra. Nel 1806, infatti, il Sindaco (anzi, le Maire, come allora si scriveva) Paolo Occelli comunica al Prefetto Chabrol di sentirsi " in dovere di far presente a Monsieur le Prefect du Departement la situazione di questi cittadini, impossibilitati a sostenere il peso delle tasse ed obbligati la maggior parte ad abbandonare le loro case ed andare mendicando. Sottomette alla saggia considerazione del prefato Dicastero la ristrettezza e naturale sterilità di questo territorio (...) essere stati i pochi beni di qualche bontà devastati dalle armate con l'atterramento di piante fruttifere e di reddito, depopolate le vigne di pertiche e pali in modo che ad armarle nuovamente dovettero soccombere a gravissime spese, come pure per le somministrazioni che dovettero fare alle armate francesi"
Analoga la situazione a Cosseria, descritta dal già citato Simondi in questi termini:"le cause della diminuzione della popolazione in questa comune (rispetto a prima della guerra) sono attribuite alla guerra di cui è stata teatro, che ha obbligato gli abitanti ad espatriare ed abbandonare il bestiame. Gli sfortunati soffrirono assai di questa emigrazione e la terra lasciata senza coltivazioni non produce più per la loro sussistenza. Un gran numero morirono vittime di questo abbandono della loro proprietà".
Lo stesso desolato quadro di una campagna immiserita, abbandonata e senza frutti si presenta anche a Roccavignale. A proposito di questo paese una relazione francese ci fornisce dati interessanti: qui infatti " da dieci anni a questa parte (la relazione è del 1808) il numero dei coltivatori si è molto scemato per la carestia, disgrazie di guerra e mortalità"
Non diverso il quadro di Murialdo, dove, " la popolazione è diminuita da 10 anni a questa parte di 500 e più anime, li uni sono morti per la fame, li altri per li vari incommodi cagionati dalle vicende della guerra, per cui si vedono famiglie interamente estinte".
Situazione drammatica anche a Dego. Qui " les habitants ont souffert, pendant les annes
1799 et 1800, toutes les calamitas la guerre. Restès‚sans subsistances et sans maisons, ils ont vu diminuer considerablement leur populations. Plus de quatrecents personnes furent victimes de la faim ou des maladies pendant l'an 1800": e la fonte di informazione non può essere sospetta, visto che si tratta del Prefetto Chabrol.
![]() |
| Dego nel 1800 |
1799 et 1800, toutes les calamitas la guerre. Restès‚sans subsistances et sans maisons, ils ont vu diminuer considerablement leur populations. Plus de quatrecents personnes furent victimes de la faim ou des maladies pendant l'an 1800": e la fonte di informazione non può essere sospetta, visto che si tratta del Prefetto Chabrol.
Questo è quindi il quadro che la Val Bormida, terra che aveva allora la sua economia incentrata sulla campagna, presentava all'inizio dell'800: un'agricoltura distrutta o almeno in ginocchio, campi devastati, abbandonati, incolti, contadini privati anche del grano da seminare e degli animali per lavorare la terra. Dopo guerre, requisizioni e devastazioni, il risultato finale è quello che non poteva non essere: miseria, carestia, fame, malattie, morte.
Maria Teresa, di anni tre, morta di fame
Molteplici sono le testimonianze che evidenziano questa drammatica realtà. Alcune sono di fonte francese, come la già citata relazione inviata a Parigi il 22 ottobre del 1804 e riguardante Millesimo. Nella sua concisione è esplicita e drammatica: "la popolazione di Millesimo da dieci anni a questa parte è diminuita di un quarto: nell'anno 1800 per la scorsa guerra, disastri, mali e fame sofferta, quarantasei si contarono morti di fame, ed altrettanti periti mentre andavano altrove mendicando per essere stato questo comune impoverito intieramente dè raccolti dell'anno precedente dalle armate che percorrevano questi confini". Quarantasei morti di fame!
| Millesimo nel 1800 |
Le annotazioni di questo registro ci danno un chiaro quadro della situazione di quell'anno e di come la gente morisse di fame letteralmente per la strada: Troviamo infatti annotazioni del genere: "Maria Anna Bertone, di 20 anni, di Murialdo, che passava di qui per chiedere l'elemosina, uccisa dalla fame, è stata trovata morta ai confini di questo paese", "Agostino Bagnasco, ucciso dalla fame, è stato trovato morto", "Angelo Calleri è stato trovato morto ai confini di questo paese, ucciso dalla fame. Aveva in mano la corona del Rosario". E l'elenco potrebbe continuare.
Morti di fame anche a Cairo e a Giusvalla.
In quest'ultimo paese ancora una volta è l'Archivio Parrocchiale, studiato dal prof. Scaglione, a "fotografare", nel Registro dei Morti, la drammatica situazione: maggio 1800 "Paolo Delbuono, da Montenotte, preda della fame, giunse languente qui; sfamato da buoni omini, preso da morbo letale, morì. -Giovanni Battista Buschiazzo, di anni 50, andato via un mese fa per mendicare, ritornato infermo, subito morì"; giugno 1800: "Giovanni Batta Tessore, di tre anni, con la sorella andò a mendicare: stremato e malato morì. -GuglielmoTessore, di anni 66, ritornato a Giusvalla a mendicare cibo, debole di salute, morì. -Maria Teresa Scarone, di anni tre, morta di fame mentre la madre era andata a mendicare"; luglio "Lorenzo Bacino venuto da Dego a mendicare cibo, consumato dalla fame e preso da morbo letale, morì. -sconosciuta di anni due di Pontinvrea, morta mentre con la madre andava mendicando; -sconosciuta di anni uno, da Montenotte, morta mentre con i genitori andava mendicando; -Antonio Bonifacino, di anni 64, assente dalla gioventù, tornato in Giusvalla per cibo, morì di fame; -Bianca Rizzo, di 40 anni, ritornata a Giusvalla, andando a mendicare cadde per terra e morì; -Giacomo Scarone, da Montenotte, mendicando con la famiglia, preso dalla fame morì"; agosto " Giacomo Savio, di 4 anni, di Montenotte, venuto a Giusvalla a mendicare, è morto di fame; Antonio Pizzorno, 54 anni, debole di salute, cade sfinito dalla fame; -Francesca figlia di Giò Batta Savio (e presumibilmente sorella del Giacomo sopracitato) di Montenotte, venuta a mendicare vitto, era gonfia dalla pianta dei piedi alla testa (..) morì"; settembre "Antonio Brondo, 40 anni, di Giusvalla, ammalato, mendicava il vitto. Fu trovato morto"
Morti di fame nel 1801 anche a Spigno, da dove il parroco levava al cielo un grido angosciato quanto inerte: "Proh dolor! Grassante hoc anno et preterito fame, plerique macie confecti ac pecuniae deficentia omnes semiamines conspiciuntur: Domine Deus, exercitum et sevissimum bellum quo a pluribus annis affligimur a nobis amove, ac expetitam pacem nobis redona": anche questo è un aspetto delle conquiste del secolo dei lumi!
Anche un paese che la presenza di un'industria (quella vetraria) rendeva tradizionalmente più agiato ( o meno povero), Altare è in quell'anno terribile attraversato dalla fame. Per ben 14 volte il parroco deve così apporre, sul registro dei morti, la frase "ucciso dalla fame e dal digiuno, che in quest'anno di carestia imperversa ovunque". A cedere per primi sono i più deboli e più poveri, come quella "infans neonata" morta il 14 ottobre 1799, "figlia de fu G.Montano, di Cairo, morta in questo luogo mentre con la madre andava qua e là per cercare da mangiare" o quel G. Noti "ucciso dalla fame sui monti di Cairo dove si era portato per tagliare la legna per sopravvivere nelle presenti angustie della carestia" e sepolto "more pauperorum", come i poveri. Poi, poco per volta, il cerchio della fame si allarga con l'esaurirsi delle scarse provviste che quattro anni di guerra ed occupazione avevano saccheggiato, e alla fine la fame bussa anche alla casa degli ex ricchi, come verosimilmente dovette essere quel G. B. Ricaldone, "sindico del loco di Altare" che il 26 luglio vede morire la sua bimba di tre anni.
Oltre a quelle già citate il "Libro dei defunti" della parrocchia di Altare ricorda queste altre vittime della fame : "1800, 4 aprile: inedia confecta heri obit Margarita Marina, virgo, et hodie sepulta est more pauperarum£; 13 marzo: "paupertate corruptus heri obiit G.Berruti"; 14 marzo: "miserabile suae vitae statu confectus heri mortuus est Mattia Saroldo"; 22 marzo: "inedia consumptus heri obiit Bart. Noceti"; 30 marzo: "inedia fameque hoc anno universe grassante a viventium numero oblata est puella Catherina Berruta"; 18 aprile: "inedia consumpta heri obiit Marta Giachero, filia innupta"; 1 maggio: "inedia et fame consumpta heri diem clausit supremum Caterina Santo"; 22 giugno: "fame et inedia hoc anno quam maxime grassante heri obiit Sebastianus Ferarus aetatis 20 annorum"; 23 giugno: "fame consumptus obiit Petrus Vallegra"; 19 luglio "consumptus inediae heri diem clausit supremum Battista Berruti"; 19 luglio:"fame et inedia hoc anno universim fere grassante heri mortuus est Nestoria Murialdo"; 22 luglio "inedia et miseria consumptus heri obiit et hodie more pauperorum sepultus est G.B.Berruti"; 24 luglio "Angela Berruti uxor suprascripti mortua est"; 2 dicembre "inedia et paupertate consumpta mortua est Maria Bazzani"; ..dicembre: "miseria moruit Iulia Pongilione".
Sono annotazioni disperate che non hanno bisogno di commento: certo esse non fanno la storia, ma nel renderle note ci sembra non solo di rispettare la volontà del Parroco, che avendole redatte sperava evidentemente che qualcuno le leggesse, ma anche di rendere in qualche modo una sorta di sia pur misera giustizia postuma a quanti allora morirono per la fame e gli stenti prodotti dalla tracotante ed inetta superbia di chi pretendeva di governarli.
La morte per fame e inedia è dovunque.
A Plodio, come ricorda la relazione inviata a Parigi dal sous-lieutenent Castellino il 15 dicembre 1804, "dall'epoca del 1790 sino al presente la popolazione è diminuita quasi la terza parte per la cagione della guerra et una parte morti di fame per la mancanza di bestiame e uomini per travagliare la campagna, che ne venirono persino privi dei raccolti". Dallo stesso tipo di fonte apprendiamo che "a Pallare la popolazione era (nel 1798) più consistente. La guerra e l'epidemia del 1800 hanno tolto la vita a circa 65 persone fra adulti e bambini che sono morti di fame e miseria".
Altrettanto drammatico si presenta il quadro di un comune vicino, Roccavignale, a proposito del quale la citata relazione del 1808 ricorda: "Si contano in questo paese 1250 anime. Prima del 1799 se ne contavano 1650. Incominciò a diminuire di più di 200 anime in detto anno per le vicende della guerra (..) oltre ad un'epidemia che cominciò nel 1794 e durò per il tratto di 6-7 anni. Questa epidemia di febbre putrida, detta tifo, infestò tutta questa contrada; fece perire altrettante persone onde la popolazione si è ridotta al numero sopra indicato. Il numero dei vecchi è piuttosto raro, se ne contano rari di 70 anni, pochissimi di 80 e giungono qualcheduno fino a 90. Il cibo ordinario della popolazione consiste, riguardo ai coltivatori proprietari, di farina di formentone ridotta in polenta e anche liquida mescolata con cavoli, legumi e castagne, qualche volta in fogliatelli, e non pochi sono costretti a mangiare erbe anche con poco sale. (..) L'aumento del prezzo del sale contribuisce a tale diminuzione (della popolazione) essendo obbligato il popolo bisognoso a mangiare castagne ed erbaggi ridotti in minestra senza sale, da cui ne provengono febbri gastriche. (..) La maggior parte della popolazione nella invernal stagione abbandona le proprie case (..) e la maggior parte, anche i benestanti, se ne vanno mendicando". E' interessante l'osservazione secondo la quale le grandi fatiche non permettevano di superare gli 80-90 anni: non sembra infatti che oggi, da questo punto di vista, abbiamo fatto tanti progressi, almeno in Val Bormida.
Il quadro che ne risulta è quello di una desolazione generale, riflessa nella parte finale della relazione: "le tracce lasciate dalla rivoluzione sono quelle della guerra, e queste sono fastidiose (!) per essere il paese stato messo alla miseria dalle scorrerie della truppe belligeranti": amara considerazione, quella che la rivoluzione ha lasciato la miseria, tanto più amara in quanto la troviamo ripetutamente nelle relazioni lasciatici dagli ufficiali francesi, da Murialdo ("la rivoluzione ha lasciato la miseria", a Santa Giulia ("la rivoluzione ha lasciato molta miseria").
Non diversa la situazione sulla costa, per esempio a Quiliano, dove "la popolazione
dall'anno 1800 a questa parte è diminuita di 500 anime: tre quarti sono morti di febbre epidemica causata dalla fame (..) dopo tale epoca la parte restante si sono emigrati pure per la fame" e a ridosso dello spartiacque, a Mallare. Qui "la popolazione è considerevolmente diminuita da quando ha iniziato a sentire i funesti effetti della guerra al cui seguito molti abitanti sono emigrati e molti sono morti di fame nell'ultima carestia del 1800 prodotta dal passaggio consecutivo delle armate. D'altra parte molti sono stati strappati alla loro patria per essere incorporati quando hanno raggiunto l'età della coscrizione militare. Gli abitanti non vivono fino ad un'età assai avanzata, le grandi fatiche cui sono obbligati per procurarsi una modica esistenza non permettono loro di superare gli 80-84 anni". Non ci pare comunque, per quanto concerne l'età, che oggi essa superi poi di molto, a livello generalizzato, gli 80-84 anni.
| L'intestazione delle "Memoires Militaires" dell'ing. , geograf. Simondi riguardante Quiliano (1809) Quiliano (1809 |
dall'anno 1800 a questa parte è diminuita di 500 anime: tre quarti sono morti di febbre epidemica causata dalla fame (..) dopo tale epoca la parte restante si sono emigrati pure per la fame" e a ridosso dello spartiacque, a Mallare. Qui "la popolazione è considerevolmente diminuita da quando ha iniziato a sentire i funesti effetti della guerra al cui seguito molti abitanti sono emigrati e molti sono morti di fame nell'ultima carestia del 1800 prodotta dal passaggio consecutivo delle armate. D'altra parte molti sono stati strappati alla loro patria per essere incorporati quando hanno raggiunto l'età della coscrizione militare. Gli abitanti non vivono fino ad un'età assai avanzata, le grandi fatiche cui sono obbligati per procurarsi una modica esistenza non permettono loro di superare gli 80-84 anni". Non ci pare comunque, per quanto concerne l'età, che oggi essa superi poi di molto, a livello generalizzato, gli 80-84 anni.
Un chilo di pane, 50 €!
Alla testimonianza di fonte francese se ne aggiunge un'altra fornitaci dal coevo manoscritto di G. Rossi (Cronaca di Codevilla) che così ricorda: "1799, 19 maggio: i francesi sono tornati indietro di Lombardia, (v. i contemporanei episodi di Dego, Cairo, Carcare avvenuti durante la ritirata francese di quell'anno) sono arrivati in questo paese ad un'ora circa di notte. Bisogna averne mantenuta una parte per mesi 10! E dire che non c'è stato di castagne! 1800: vi è stata una grande penuria di viveri. (..) Il pane di Finale, di malissima qualità si vendeva a soldi 10 per il peso di 6 once scarse, ad Altare soldi 14 la libra, in questo paese 12 soldi alla libbra il pane nero di mistura e il grano turco 13 lire al rubbo. Io ho mandato la mia figlia Felice il giorno del Corpus Domini che pioveva forte in Pallare a prendere un rubbo di riso: era guasto, cattivo e sapeva di arlento (=ammuffito?) "e lo pagai 14 lire al rubbo. Sono andato diverse volte a Finale, a Spotorno, a Noli senza trovare niente da comprare per la famiglia. Il vino valeva 20 soldi l'amola, le fave da battere (=secche) andavano 10 lire al rubbo, la farina di lemi (=piselli?) soldi 13 alla libbra: (..) In questo paese la maggior parte se ne sono andati a chiamare la carità; una parte sono morti e una parte si sono mantenuti di erbaggi; non si trovava niente per vivere di nessun genere di roba, tanto più che nell'anno 1799 non c'è stato di castagne, neanche da mangiarne fresche". Ricordiamo che siamo in una zona e un'epoca in cui la castagna costituiva ancora l'elemento base della dieta degli abitanti. Non si era infatti ancora diffusa la coltivazione della patata, portata in Liguria (assieme al pomodoro) dalle armate gallo-spagnole pochi decenni prima -nel 1743-48- durante un'altra guerra, quella di successione austriaca, ma non ancora entrata nelle abitudini alimentari della popolazione. La patata allontanerà finalmente dai contadini lo spettro della carestia, costituendo una fonte di sussistenza aggiuntiva rispetto alla castagna.
E davvero la figura di questo padre, che cerca disperatamente da mangiare per la sua famiglia, e non ne trova, può essere il simbolo drammatico dell'abitante della Val Bormida in quegli anni, oltre che della mostruosità della guerra:"Sciagurati italiani, scriveva in quel terribile 1800 il nostro anonimo autore della già citata "Cronica di Codevilla" (che da Altare dista pochi chilometri), le secolari discordie nostre ci resero il ludibrio dei vicini, i quali nelle nostre montagne, nelle nostre pianure vengono a sfogare i loro rancori e noi ne facciamo le spese!" La testimonianza del Rossi è importante anche perché ci fornisce precise informazioni riguardo i prezzi raggiunti dalle principali derrate alimentari in quegli anni. E' anche possibile, sia pur con larga approssimazione, tradurre quei prezzi nel loro corrispettivo moderno, poiché possiamo conoscere quale era, entro certi limiti, la paga media giornaliera, cioè il potere d'acquisto, di un operaio (artigiano) di allora. Considerando infatti che nel periodo 1784-1803 la paga media di un lavoratore valbormidese non superava le due lire giornaliere, e spesso era più bassa, e fissando per come corrispondente per una giornata lavorativa attuale la somma di € 40 (pari ad uno stipendio mensile netto di € 1200, che è poi quello, purtroppo, di tanti giovani d’oggi), ne consegue che in quegli anni una lira corrispondeva -come potere d'acquisto- pressapoco a 20 € lire attuali (a 20 €, è bene ricordarlo, di una persona che disponga mensilmente di 1200 € ! Quindi in base alle cifre forniteci dal Rossi possiamo dedurre che nella zona di Altare-Mallare il pane costava approssimativamente non meno di 44€ al Kg., quello nero di mistura 38 € al kg., il granoturco 32 € al kg, il riso 37€ al kg., il vino oltre 22€ al litro, le fave 27€ al kg., la farina di piselli € 40 al kg. Queste drammatiche cifre ci sono confermate anche da altre fonti: a Giusvalla il grano costava L. 18 allo staro, cioè 360 € ogni 30 "litri", pari a circa 15 € al kg., le castagne 200 €, pari a circa 7€ al "litro", il vino circa 15 € al litro. A Murialdo il riso costava 26€ il litro, meliga e grano poco meno, a Serravalle la meliga e le castagne costavano 16 lire (cioè 320 € all' emina: poichè l'emina era una misura di capacità corrispondente a 23 litri, ne deriva che un "litro" di castagne costava circa 14€ lire attuali.
E' evidente che con questi prezzi, che sono ovviamente estremamente indicativi, con un chilo di pane che costava più di quanto una persona poteva guadagnare in un giorno, la grande maggioranza della popolazione dovette letteralmente vivere, o meglio, cercare di sopravvivere, alla soglia della morte per fame. Soglia che spesso, come abbiamo visto, varcò. L'impennata dei prezzi verso l'alto, determinata dalla guerra, fu notata anche dai francesi. Lo Chabrol scrisse infatti nella sua Statistique che fra il 1789 e il 1811 (anno in cui -fra l'altro- la crisi era ormai passata e i prezzi si erano almeno in parte assestati) il prezzo del grano era raddoppiato, quello del pane e della farina di granoturco (la "meliga" era triplicato, il vino era aumentato di sei volte, l'affitto delle case di quattro.
A proposito delle condizioni fisiche degli abitanti della Val Bormida e del basso Piemonte in quegli anni esiste un'altra testimonianza francese assai illuminante. Scrive infatti nel 1810 un funzionario francese del Dipartimento di Marengo, confinante con quello di Montenotte cui apparteneva la Val Bormida, che "è una fortuna, sotto un certo punto di vista, il fatto che lo stato di malattia pressoché continua nel quale languiscono queste popolazioni non abbia permesso loro di accorgersi della loro forza: essi erano i soli che non avevano niente da perdere, tuttavia questo Dipartimento (di Marengo)è forse il solo di tutto il Piemonte dove non si sia manifestata nessuna insurrezione": a onore dei Valbormidesi va invece il non aver subito senza tentare di ribellarsi.
E la gente moriva..
I dati in nostro possesso relativi alla Val Bormida confermano il drammatico quadro descritto dall'ufficiale francese. Sfogliando i Registri dei morti conservati negli archivi parrocchiali abbiamo la prova evidente delle conseguenze della guerra e dei suoi frutti (saccheggi, distruzioni, carestie, fame, malattie) sulla popolazione civile. Le cifre dei decessi relativi al 1795, '96, '99 e 1800 (gli anni durante i quali guerra e carestia più infierirono in Val Bormida) sono infatti notevolmente più elevati rispetto a quelli degli altri anni, mostrando inoltre un incremento continuo.
A Carcare, per esempio, i morti nel 1795 sono 25; nel '96 salgono a 40, nel '99 a 63 e nel 1800 raggiungono la drammatica cifra record di 106: in un solo anno perisce circa 1/6 della popolazione, considerando che nel 1803 questo paese aveva 652 abitanti, suddivisi in 143 famiglie. Parallelamente all'aumento dei decessi, che nel 1800 furono anche provocati da un'epidemia di tifo che dilagò fra la popolazione indebolita dalla carestia indotta dalla guerra Occorre ricordare che le condizioni di vita degli abitanti furono rese più dure anche dal blocco delle importazioni (e più generalmente, dei commerci via mare) imposto dalla flotta inglese che incrociava nel mar Ligure: tracce di ciò si riscontrano anche negli archivi parrocchiali valbormidesi, per esempio in quello di Giusvalla, il cui parroco, nel luglio del 1800, commentando i prezzi astronomici raggiunti dalle principali derrate alimentari, ricorda che "la causa di sì eccessivi prezzi sono stati gli inglesi, che hanno sempre tenuto bloccato il Mediterraneo da questa parte e continuano" in tale giustificazione è sicuramente presente l'eco di quanto la propaganda francese -e dei giacobini nostrani- diffondeva fra la gente, in quanto i paesi dell'entroterra, a differenza di quelli della costa, erano in complesso poco dipendenti dalle importazioni via mare e quindi solo marginalmente colpiti dal blocco marittimo. Malgrado ciò il blocco contribuì -sia pure in misura difficilmente determinabile- ad appesantire una situazione già drammatica.
La crisi di quegli anni è chiaramente riflessa a Carcare, paese che qui assumiamo a
paradigma di una situazione generalizzata, nei dati riguardanti la composizione numerica delle famiglie. Dai registri dell'archivio parrocchiale apprendiamo infatti che gli abitanti erano, nel 1816, 909, divisi in 184 famiglie, con una media di 4,9 individui per nucleo famigliare. Avvicinandosi -a ritroso- agli anni di crisi le famiglie sono sempre più piccole: nel 1806 abbiamo 731 ab. in 152 famiglie (media 4,8), nel 1803 652 ab. in 143 famiglie (media 4,5), nel 1800 137 famiglie con una media di 4 persone per nucleo famigliare. Sembra di capire che più la situazione è critica (1800) maggiori sono i decessi, i più deboli muoiono, la mortalità (non solo infantile) è più elevata, le famiglie risultano più piccole; allontanandosi dagli anni di crisi esse ritornano invece lentamente e progressivamente a crescere.
![]() |
| Carcare nel 1800 |
paradigma di una situazione generalizzata, nei dati riguardanti la composizione numerica delle famiglie. Dai registri dell'archivio parrocchiale apprendiamo infatti che gli abitanti erano, nel 1816, 909, divisi in 184 famiglie, con una media di 4,9 individui per nucleo famigliare. Avvicinandosi -a ritroso- agli anni di crisi le famiglie sono sempre più piccole: nel 1806 abbiamo 731 ab. in 152 famiglie (media 4,8), nel 1803 652 ab. in 143 famiglie (media 4,5), nel 1800 137 famiglie con una media di 4 persone per nucleo famigliare. Sembra di capire che più la situazione è critica (1800) maggiori sono i decessi, i più deboli muoiono, la mortalità (non solo infantile) è più elevata, le famiglie risultano più piccole; allontanandosi dagli anni di crisi esse ritornano invece lentamente e progressivamente a crescere.
I dati di Carcare non sono un'eccezione: quelli di altri paesi della zona sono analoghi nella loro drammaticità A Cosseria, infatti, abbiano nel '95 50 decessi contro una media di 20/30 degli anni precedenti, nel 1800 saliranno a 71 su una popolazione che ancora nel 1824 non superava le 740 persone, mentre diminuiranno contemporaneamente le nascite: 37 nel '97, 32 nel '99, solo 6 nel800. A Pallare nel 1800 i morti sono 46 su 506 abitanti, a Biestro 64 su 470 abitanti. A Calizzano i morti nel 1800 sono ben 176, di fronte ai 61 dell'anno precedente e ai 42 dell'anno successivo. A Murialdo la situazione è ancor più tragica, con 203 morti nel 1800 contro una media di 40 degli anni "normali. Per ben 15 volte, inoltre, il parroco segna a fianco dei decessi la frase "obiit repentina morte", oppure "migravit ex hac vita inopinate". Nello stesso anno, sempre a Murialdo, il 25 aprile Johannes Rufinus annorum octuaginta obiit ob incursionem gallorum, morì per un'incursione dei Francesi: se si tiene presente che gli abitanti di questo che era uno dei centri più popolati dall'alta Val Bormida assommavano a 1880, possiamo constatare che il paese fu più che decimato.
I dati dei decessi di Mallare non sono invece noti, poichè "omnes libri parochiales tempore belli et invasionis gallorum perierunt, lacerati sunt et in vicos proiecti" : dal superstite registro dei matrimoni sappiamo però che essi scesero da una media di 15 degli anni pre-guerra agli 8 del 1798: nel 1799 ci fu un solo matrimonio, nel 1800 nessuno!
A Millesimo l'archivio parrocchiale annota 41 decessi nel 1796, 59 nel '97, 31 nel '99 e ben 125 (il 12% della popolazione!) nel 1800.
Morti in abbondanza anche ad Altare. In questo centro i decessi furono 68 nel 1799 e 58 nel 1800, contro una media di 40-50 degli anni "normali". Fra i morti ci furono 13 "consumpti fame et inedia", uccisi dalla fame e dalla carestia: le autorità comunali furono perfino obbligate a proibire ulteriori sepolture in chiesa " ob nimium fetorem quem ecclesia parochialis reddit et periculum sanitati si ulterius in ea sepeliantur cadavera". Parallelamente diminuirono le nascite, che scesero da una media annua di 45-55 ai 31 del 1800 e ai 29 del 1801.
Nei settori più a valle del territorio la situazione non cambia. A Cairo ci furono 131 decessi nel 175, 135 nel '96, 334 nel 1800: per 5 di questi il Registro dei morti porta, come si è detto, l'annotazione "fame periit", morì di fame. I decessi per fame in questo comune avvennero tutti fra il 31 maggio (quando morì Paolo Pantaleone di 22 anni) e il 17 giugno, quando toccò a Francesco Bazano di 40: pochi giorni prima era morto, sempre per fame, suo figlio Silvestro di 12. In quegli stessi giorni (13 giugno) altri due cairesi morirono "causa belli", per causa di guerra; a Rocchetta i morti nel 1800 sono 54, contro i 33/34 degli anni precedenti; a Giusvalla i decessi salgono, nel 1800, a ben 109, contro una media annua di 30-40.
Come si vede, per molti paesi della Val Bormida il solo 1800 significò una perdita media di oltre il 10% della popolazione.
Poi, lentamente, passata la bufera, una parvenza di normalità tornerà in Val Bormida. Ma a che prezzo!
Ancora una volta sono le fonti francesi ad illustrarci la drammatica realtà di quegli anni del "secolo dei lumi". Se noi infatti sfogliamo quell'autentica miniera di notizie rappresentate dai due volumi della Statistique des Provinces formants l'ancien departement de Montenotte etc. redatti dal conte francese Chabrol de Volvic (1773-1843), che di questo Dipartimento fu Prefetto dal 1806 al 1812, per passare poi a capo delle Prefettura di Parigi, possiamo farci un sommario quadro della situazione di tutta la zona compresa fra Ventimiglia ed Acqui.
Fra il 1789 e il 1809 la popolazione del Dipartimento di Montenotte, formato dagli arrondissements di P. Maurizio, Savona, Ceva ed Acqui, passa da 304.945 abitanti a 296.730, con una diminuzione di 8215 persone, pari a -2,6%. La perdita totale del solo arrondissement di Savona, cui la Val Bormida in buona parte apparteneva e in cui fu più sentita la guerra, è però assai più alta: fra il 1797 e il 1805 la popolazione scese da 75.603 a 71.897 abitanti, con una diminuzione del 4,9%, doppia rispetto alla media generale.
Dati ancora più indicativi sono quelli riguardanti i decessi dei giovani in età militare, di quella gioventù, cioè, che una di quelle "memorie statistiche" spesso citate in queste pagine definiva "incline più alla pace che alla guerra" e che invece la follia imperiale di Napoleone costringerà a morire su lontani campi di battaglia. Fra il 1797 e il 1805 l'intero Dipartimento perde infatti il 7,19 % dei giovani maschi fra i 20 e i 30 anni, cioè in età militare, che passeranno da 44.934 a 41.700. Di essi 1924, cioè il 59% delle perdite, appartengono al solo arrondissement di Acqui, anch'esso parte della Val Bormida e territorio devastato dalla guerra, dalla carestia e dall'insorgenza: questo arrondissement perse addirittura il 13% dei suoi giovani in età militare, vittime della guerra, dell'occupazione, delle malattie, della fame, oppure caduti sui campi di battaglia di mezza Europa per dare un impero a Napoleone.
Analoghi drammatici dati troviamo per quanto concerne i decessi dei bambini da 0 a 5 anni: ancora nel 1809 proprio gli arrondissements dove più la guerra infuriò lasciando il suo strascico di fame e malattie, cioè quelli di Acqui e Savona, hanno la più alta percentuale di decessi: 535 morti tra 0 e 5 anni su 1000 decessi in quello di Acqui, 567 a Savona, contro i 526 di P.Maurizio e i 513 di Ceva. A determinare queste differenze concorsero forse anche i differenti profili socio-economici delle zone in questione (anche se Savona non doveva certamente essere meno ricca di Porto Maurizio, e Acqui di Ceva), ma essi certamente riflettono anche i disagi causati dalla guerra.
Il fenomeno della mortalità infantile, sempre drammatico nell'800, raggiunse così il suo culmine in quelle zone dove la guerra e le distruzioni delle coltivazioni ad essa collegate avevano determinato carestia, fame e malattie. E se la guerra non fu certo l'unica causa di quei decessi, che potremmo purtroppo definire in parte connaturati ai tempi, essa contribuì certamente ad incrementarli, lasciando una popolazione meno robusta perché più denutrita. La maggior povertà determinata in alta Val Bormida dalle conseguenze della guerra e dell'occupazione è avvertibile anche a livello "fiscale", esaminando per esempio con attenzione quelli che potremmo definire gli "accertamenti dei redditi" effettuati dalle autorità francesi nei territori occupati. Ancora nel 1807 la lista dei 550 maggiori contribuenti (i "plus imposèes parmi le sixcents plus forts contribuables du Dèpartement de Montenotte"), risalente al 1807 ci dice che sui 550 grandi contribuenti individuati dalla autorità francesi fra i 296.730 abitanti del Dipartimento di Montenotte, gli oltre 21000 abitanti dell'alta Val Bormida non riuscirono a produrne che 17 (Avagnina Giovanni di Millesimo, Bertone Filippo di Dego, Ferrari Bartolomeo di Carcare, Gaiero Lorenzo e Giovanni di Saliceto, Gambera Giacomo di Camerana, Grignolo Franceso di Saliceto, Mazza Nicola di Murialdo, Morena Giuseppe di Dego, Moretti Michele di Piana, Perandi Carlo di Camerana, Piantelli Giuseppe di Cosseria, Pisano G.Battista e Pisano Giuseppe di Saliceto, Roddolfo Filippo di Saliceto, Rossi G.Battista di Sassello, Viola Nicolò di Calizzano), meno della metà di quella che avrebbe dovuto essere la media statistica. Si potrebbe obiettare che nelle città (di cui la Val Bormida era priva) si localizzava la maggior quantità di ricchezza, e quindi il più alto numero di abbienti. Ciò è certo vero, almeno in parte, ma resta il fatto che i pochi abbienti riscontrati in Val Bormida risiedono non nei grossi centri della Valle (Cairo, Altare, Roccavignale non forniscono neppure un nominativo) ma in centri minori a vocazione spiccatamente agricola: ciò è forse collegato ad una più facile visibilità -e quindi tassazione- dei beni immobili (campi etc.) rispetto alla maggior elusività delle ricchezze da capitale?
Ancora più facile è osservare le conseguenze di quegli anni sulla consistenza numerica delle popolazioni dei singoli comuni più direttamente coinvolti negli eventi bellici -o alla guerra comunque connessi- verificatisi fra il 1793 e il 1800: i dati, incompleti, scarni e frammentari, fornitici dagli archivi locali e da relazioni coeve ai fatti, sono sempre drammatici.
Limitando la nostra indagine alla Val Bormida vediamo che Mallare nel 1792 aveva 1400 abitanti, nel 1812 erano scesi a 1151 con una diminuzione del 17%; Murialdo nel 1804 aveva 1436 ab., 500 in meno rispetto a 10 anni prima, con una diminuzione pari al 25%; Calizzano passa dai 1890 abitanti del periodo 1789/97 ai 1760 del 1801; Biestro cala dai 760 abitanti del 1792 ai 522 del 1812 (-31%); Roccavignale aveva 1650 abitanti prima del 1799, nel 1803 erano scesi a 1250, con una perdita di 400 persone (-24,2%) equamente prodotta da guerra e malattie; Plodio ebbe una diminuzione di 1/3 dei suoi abitanti fra il 1790 e il 1804 a causa della guerra e della fame, passando inoltre dai 500 ab. del 1792 ai 259 del 1812; Millesimo nel 1774 aveva 1393 ab, nel 1812 ne contava 1020, con una diminuzione pari al 26%.
Carcare fu più fortunato, se fortuna può essere definito il perdere solo il 12% degli abitanti, passando dai 790 del 1794 ai 690 del 1804. Pochi anni più tardi la popolazione carcarese era risalita a 731 abitanti (compresi 17 padri delle Scuole Pie), ripartiti in 152 famiglie e così suddivisi: 302 abitavano il "borgo della parrocchia" (quella antica, "di qua del ponte", l'attuale v. Garibaldi), 235 "in quello verso Savona" ("di là dal ponte", l'attuale v. Castellani), 177 "alle ville" (probabilmente le borgate e le cascine sparse). Per quanto concerne l'età 479 erano "da Comunione", cioè in età di ricevere la Comunione, i restanti "senza Comunione". Cosseria invece non ebbe tanta buona sorte: qui "il comune valuta ad un terzo della popolazione la perdita che ci fu allora dei suoi cittadini" e il dato è sostanzialmente confermato dalla differenza riscontrabile tra gli abitanti del 1792 (900) e quelli del 1812 (740); Dego ebbe, durante tutto il periodo napoleonico, 400 morti su una popolazione che nel 1796 contava 1750 abitanti raggruppati in 300 case: ogni famiglia
dovette piangere il suo caduto; Saliceto nel 1793 aveva 1780 abitanti, nel 1817 erano ridotti a 1400, con una diminuzione di oltre il 21%; Cengio aveva 800 abitanti prima dell'invasione napoleonica, nel 1808 erano solo 600, con una diminuzione del 25%, mentre la vicina Rocchetta scese da 350 a 298. E ancora Cagna passa da 320 a 236 ab., Carretto da 180 a 135, Spigno da 1200 a 1066.
![]() |
| "Memoria Militare e Statistica della Rocchetta di Cengio" (1808) |
dovette piangere il suo caduto; Saliceto nel 1793 aveva 1780 abitanti, nel 1817 erano ridotti a 1400, con una diminuzione di oltre il 21%; Cengio aveva 800 abitanti prima dell'invasione napoleonica, nel 1808 erano solo 600, con una diminuzione del 25%, mentre la vicina Rocchetta scese da 350 a 298. E ancora Cagna passa da 320 a 236 ab., Carretto da 180 a 135, Spigno da 1200 a 1066.
Cairo Montenotte, infine, nel 1792 aveva 3700 abitanti, nel 1812 erano scesi a 3010, con una diminuzione di quasi il 20%.
Anche la situazione dei paesi oltre il giogo alpino-appenninico, almeno di quelli interessati alle vicende belliche, non è diversa, visto che Quiliano passa da 2995 a 2495 abitanti.
La relazione riguardante Quiliano, risalente al 6 vendemiaio anno 14 (cioè al 28 settembre 1806) suddivide anche gli abitanti per sesso e fasce d'età. Riteniamo possa essere interessante presentare tali dati in quanto ci permettono di "fotografare" la situazione demografica del paese negli anni del periodo napoleonico. La situazione era la seguente: 504 famiglie, 2495 abitanti di cui 1282 maschi e 1213 femmine. I minori di 13 anni erano 803, pari al 32%. I nati in quell'anno, orami pacifico e tranquillo, furono 128, i morti 94, di cui 50 (pari ad oltre il 53%) inferiori a 13 anni. Nel paese c'erano 1400 contadini (tra uomini e donne), 4 notai, tre medici, tre "chirurghi", due avvocati e 4 osti, oltre a 400 pecore, 200 capre, 150 bovi, 100 vitelli ed altrettanti porci, 50 muli e 70 asinine: certo gli uffici statistici (finalizzati per scopi militare e fiscali) delle autorità francesi erano assai efficienti!
La rivoluzione ha lasciato la miseria
Considerando globalmente la popolazione dei 17 paesi della Val Bormida per i quali ho trovato dati precedenti e posteriori al periodo napoleonico (Mallare, Murialdo, Calizzano, Biestro, Roccavignale, Plodio, Millesimo, Carcare, Cosseria, Dego, Saliceto, Cengio,
Rocchetta, Cagna, Carretto, Cairo, Spigno) il periodo napoleonico provocò nella zona, fra fame, miseria, malattie, saccheggi, guerra, una diminuzione di 4.376 abitanti su una popolazione complessiva di 21.299: oltre il 20,5% di popolazione in meno! Dopo queste cifre la desolata affermazione con la quale l'ingegnere geografo Simondi, incaricato di inviare a Parigi notizie sulla Val Bormida, conclude la sua relazione: "la rivoluzione ha lasciato la miseria", anche se un poco sbrigativa nel rapporto causa-effetto, ha certo una sua drammatica giustificazione.
![]() |
| Spigno nel 1800 |
Rocchetta, Cagna, Carretto, Cairo, Spigno) il periodo napoleonico provocò nella zona, fra fame, miseria, malattie, saccheggi, guerra, una diminuzione di 4.376 abitanti su una popolazione complessiva di 21.299: oltre il 20,5% di popolazione in meno! Dopo queste cifre la desolata affermazione con la quale l'ingegnere geografo Simondi, incaricato di inviare a Parigi notizie sulla Val Bormida, conclude la sua relazione: "la rivoluzione ha lasciato la miseria", anche se un poco sbrigativa nel rapporto causa-effetto, ha certo una sua drammatica giustificazione.
Al di là dei benefici influssi che le idee, le conquiste e i valori della rivoluzione francese avranno in seguito sulla vita politica e civile degli italiani (valori che meriterebbero certo una riflessione da parte di chi ha oggi responsabilità o ambizioni politiche), al di là delle valutazioni a posteriori che poi storici, politici ed intellettuali daranno, dal loro tranquillo studio, sul valore, l'importanza, le conseguenze delle Campagne Napoleoniche in Italia e sui fermenti di giustizia e (quasi) uguaglianza che esse lasceranno (forse oggi invero un pochino appannati: ma anche questa è un'opinione personale), questi dati, certo frammentari e incompleti, che non hanno nessuna pretesa di esprimere un giudizio globale, hanno comunque un ruolo di drammatica testimonianza.
Qualunque vantaggio trassero gli abitanti della Val Bormida dagli avvenimenti di quegli anni, essi ce lo trasmisero pagandolo con un tributo altissimo di vite, di sangue e di dolore.
E la grande gloria di Napoleone Bonaparte e di tanti altri come lui, di fronte al corpicino senza vita di "Maria Teresa Scarrone, di anni tre, morta di fame mentre la madre era andata a mendicare" non è che un manto lacero e vuoto.
Leonello Oliveri
Propr. lett. riserv.
Riprod vietata
1) G. MERLA, O bravi guerrieri. L'arrivo di Napoleone in Italia e la Guerra delle Alpi, Ed. del Cerro, 1994, p 211.
2 ) Liber defunctorum ecclesiae parochialis sub titulo sancti Eugenii loci Roccavignalis 1796- 1807 redatto dal praepositus Bartholomeus Albesani di Camerana
3 ) Così si chiamerà l'unità amministrativa, estesa da Oneglia a Varazze e nell'entroterra fino ad Acqui, con capoluogo Savona, istituita dalle autorità francesi e nella quale saranno compresi, fino al 1815, i territori della Val Bormida amministrati dalla Francia.
4 ) "Cum anno domini millesimo septingentesimo nonagesimo sexto die decima quarta aprilis galli locum istum invaserint, inique triduo castramentati depredati fuerint ecclesiam parrochialem; librum etiam asportaverunt in quo descripti erant defunti adulti ab inizio mensis octobris 1767 usque ad praenotatam die 14 aprilis. Qui vero exinde mortui sunt, in hoc descripti leguntur".
5) Un esempio fra tutti, riportato dal Gachot: a febbraio del 1795 un capitano francese della 14a e un sergente maggiore dei granatieri vengono pugnalati rispettivamente al Melogno e a Calice. Come conseguenza « cinq individus furent fusillès et le feu divora leurs maisons ». E' una scena che si ripeterà in anni più vicini a noi
6 )G. GRASSO, Un itinerario di storia costituzionale: la Comunitas Calitiani, Savona 1998, p. 114.





