QUANDO IL FERRO
ROVENTE PUNIVA I MALFATTORI
Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione VietataAnche nei cosiddetti "secoli bui" del Medioevo la vita dei nostri antenati era regolata da un
insieme organico e preciso di norme e procedure, raccolte in un prontuario di facile consultazione -facile, logicamente, solo per chi sapesse leggere e, ovviamente, in latino!- presente in ogni paese: gli Statuti. Si trattava di un certo numero di agili capitoletti, in genere un centinaio, che regolamentavano ogni aspetto della vita sociale: dalle successioni alle operazioni di compra-vendita, dai lavori nei campi al "codice della strada", dai diritti delle donne e dei minori alle norme per il commercio e per l'igiene. E a fianco di ogni norma era indicata, chiara e precisa, la pena per l'infrazione: da una piccola multa per chi rubava un grappolo d'uva, allo squartamento per i briganti di strada. Ogni paese aveva quindi i suoi Statuti, in
genere non molto diversi da quelli del paese vicino, anche se non identici,
specie nelle pene. Essi sono arrivati
fino a noi e dal loro studio possiamo apprendere molte piccole notizie
importanti per ricostruire la vita quotidiana dei nostri paesi nei secoli del
Medio Evo e, in taluni casi, anche in quelli posteriori, fino alla metà del
XVIII sec.
In alta Val Bormida si conoscono gli Statuti
dei seguenti paesi (tra parentesi l'anno -o gli anni- di redazione): Carcare
(1433-1602), Cairo (1333-1604), Millesimo e Cosseria (XIV sec.- 1580-1593),
Altare (1509), Bardineto (1479), Calizzano (riformati nel 1600), Pallare
(1539-1603: solo Statuti civili), Monesiglio (1492), Dego, Osiglia.
Guardiamo più da vicino una di queste
raccolte statutarie, quella relativa agli Statuti di Millesimo e Cosseria del
1580 (copia riveduta e corretta di un esemplare più antico risalente ai secc.
XIII-XIV) recentemente pubblicati dal sottoscritto per la Comunità Montana "Alta Val Bormida". Teniamo presente che le norme in essi
contenute erano, più- o meno, simili a quelle relative a tutti i centri
feudali, e a diversi liberi comuni, dell'epoca.
Sindaci e Podestà
A Millesimo, ma il discorso vale in pratica per tutti i centri valbormidesi, l'autorità feudale  |
Statuti di Carcare 1602 "del Podestà e suo offizio" |
era rappresentata da un Podestà nominato dal Feudatario. A questa magistratura signorile si affiancavano, con una limitata autonomia, quelle comunali: innanzitutto il "Consiglio" eletto annualmente dai capifamiglia del paese e composto da un "Sindico", tre "Giuratori" (oggi li chiameremmo "Assessori") e nove "Consiglieri". Ad essi si affiancavano due "raspieri" che dovevano controllare i commerci e le vendite al minuto, tre "campari" per la sorveglianza di boschi e prati, due "curatori generali" per tutelare i beni di proprietari assenti ed infine due "procuratori pii" col compito di salvaguardare i diritti di minori, orfani, vedove e prigionieri: una sorta di difensore civico ante litteram che agiva (bei tempi!)"senza premio et per amor di Dio"!. Tutte queste cariche erano annuali ed elettive.
Norme di codice civile
Il contenzioso tra gli abitanti doveva essere notevole anche allora: per cercare di frenarlo in qualche modo era previsto che non si potesse "dare libello", cioè intentare una causa, per danni inferiori alla somma di dieci fiorini . Altrettanto frequente doveva essere, anche la tentazione di giurare il falso, ma per lo spergiuro scoperto la pena era dura:" sia segnato sulla fronte con un ferro rovente e rimanghi infame"! Se un debitore non pagava, gli si vendevano tutti i beni, esclusi però "buoi et instrumenti per lavorare la terra": si cercava insomma di tosare il debitore, non di scuoiarlo. E per i debitori incalliti c'era quella definita, con sottile ironia, la "buona paga": la prigione "dalla quale non possino uscire sino a quando non avranno pagato", e nel frattempo dovevano essere nutriti -quanto lautamente possiamo immaginarlo- a spese di chi ne aveva chiesto l'arresto.
Commercio e commercianti
Le vendite al minuto erano accuratamente regolamentate, sia a fini igienici che a quelli
fiscali. Per i macellai esisteva un obbligo curioso: quello di lasciare "la verga o i testicoli alle bestie maschio, nelle femmine le mammelle", perché non ci fossero dubbi sulla qualità della carne, mentre la lingue di "buoi, vacche et iovenche" dovevano essere inviate ai signori del locoDiverse norme tutelavano poi gli acquirenti, per esempio quella in base alla quale chi comprava troppo grano, in proporzione al suo consumo, era tenuto a venderne la quantià a lui non indispensabile in occasione di carestia o scarsità "acciò la sua diligenza non sia nociva e dannosa agli altri". Quanto poi al commerciante che usasse false misure e pesi, veniva multato "e in più rimanghi infame": e se non pagava? "Paghi nel corpo ad arbitrio degli Illustrissimi Signori".
Inquinamento e codice della strada
Il problema dell'inquinamento delle acque e dell'aria era già allora sentito in Val Bormida. Non si poteva infatti "far lettame che nuoccia a qualche fonte", gettare immondizie o prodotti inquinanti nella Bormida, pescare con materiali pericolosi per la salubrità delle acque, lavare nel fiume lana, interiori di bestia o "altre cose brutte".
Anche la circolazione dava già allora i suoi grattacapi, per cui "nei carroggi o strade di Millesimo" non si poteva andare "sopra una carrozza coi bovi giunti". Nulla era invece previsto circa soste e parcheggi.
Campagna e agricoltura
I centri della Val Bormida erano, per tutto il medioevo, paesi essenzialmente agricoli (1):
logico quindi che l'agricoltura -e la campagna- fosse particolarmente tutelata dalle norme statutarie. Si regolamentava tutto, dalla pena per chi rubasse "gli altrui cauli" (=cavoli) a quella per chi alleggeriva le altrui vigne: 2 soldi per un grappolo, un "grosso" per un furto da 2 a 4 grappoli, 5 fiorini per chi ne rubasse di più "in un sacco, grembo o altro vaso". E se il ladro non può pagare? A Millesimo non c'è nessuna pietà per chi col suo furto attenta alla sopravvivenza altrui: "Sii bandito e bollato nella fronte con un ferro rovente". A Carcare, invece, non era punito il furto commesso per fame.Pene severe e minuziose anche per chi rubava la legna, le messi, il fieno, danneggiava alberi e colture o asportava erba e strumenti agricoli dai prati. Chiunque poteva invece lecitamente ammazzare oche, galline e pollastri trovati a far danni nella propria vigna.
Codice penale: mannaia e ferro rovente
L'esame delle disposizioni di quello che oggi si potrebbe definire "codice penale" è abbastanza interessante. La prima osservazione che è possibile fare è che il furto era punito in misura proporzionale al valore del rubato. Se la refurtiva era di poco conto il ladro se la cavava con una multa, altrimenti veniva generalmente frustato e "
segnato sulla fronte con un ferro caldo": in caso di furto con scasso la pena era più severa e al ladro "
sarà tagliata la |
| Pisanello "Gli impiccati" |
mano destra". Pene ancora più dure per i ladri che "
hanno l'ardire di assaltare i viandanti": essi venivano immediatamente "
appiccati così che muoiano ". Il culmine delle sanzioni veniva applicato ai recidivi, malviventi che già altre volte avessero ucciso: per essi la legge prevedeva che "
siano squartati in quattro parti, le quali si applichino nei luoghi ove sono stati commessi i delitti, acciò siano terrore agli altri": ecco il Medio Evo emergere in tutta la sua sanguigna potenza, la morte del reo che diviene spettacolo terribile e pubblico, affinchè dal supplizio di uno gli altri provino il "terrore" della pena che deve colpire chi viola la legge. Infatti negli statuti valbormidesi era ignoto il concetto, tipicamente moderno, della pena come mezzo di rieducazione: nel XVI sec. chi sbaglia paga, e la pena serve solo come punizione e deterrente
Caratteristici e significativi
sono anche, negli Statuti valbormidesi, i capitoli riguardanti i rapporti fra i
sessi, l'adulterio e lo stupro. A Millesimo, dove si procedeva solo su querela
di parte (tranne nel caso che da tali reati derivasse aborto su cui, allora,
non si scherzava: era punito d'officio) e "li ritrovati in adulterio"
erano puniti, la prima volta, con una multa di 5 scudi, la seconda del doppio.
Più incisive le pene per il reato di stupro, che in realtà si estendeva anche
ad un atto sessuale compiuto, fuori dal matrimonio, con una fanciulla nubile e
consenziente: "se qualcuno maritato stuprasse una vergine",
riportavano gli Statuti millesimesi, lo stupratore -ma meglio sarebbe definirlo
seduttore- doveva pagare una multa di
25 scudi e costituire una congrua dote alla ragazza, tale da portare un
eventuale pretendente a sorvolare sulla
di lei perduta illibatezza.
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| Gli Statuti di Cairo |
Multa e obbligo di dote valevano però solo se non ci fosse stata
violenza da parte dell'uomo, cioè "nel caso in cui lui con preghiere e
lusinghe l'avrà fatta cascare et ingannata": Nel caso invece di violenza
al violentatore sposato "sii tagliata la testa", mentre a quello
ancora scapolo si aprivano due alternative: o sposare la fanciulla, beninteso
sempre che "essa lo voglia", o costituirle una dote "e nondimeno
li sii tagliata la testa". Gli Statuti di Bardineto avevano un curioso
metodo per appurare la presenza o meno di violenza:"si intenderà aver (la
donna) acconsentito- precisavano- se facendosi di nuovo il peccato non griderà,
et che non habbi fatto l'accusa fra un giorno : e se il violentatore si
accontentava della prima volta?
Assai interessanti sono anche le
prescrizioni riguardanti le ingiurie, chiaro esempio di come fosse sconosciuto
il principio dell'uguaglianza giuridica
delle persone: se qualcuno ingiuriava un uomo "di buona fama o voce"
era punito con una multa di un fiorino; stessa pena per una donna "di
buona fama " che trovasse qualche cosa da ridire a proposito di una donna
altrettanto "di buona fama". E se quella dalla lingua troppo
tagliente non avesse avuto una reputazione proprio cristallina? Peggio per lei:
due fiorini e mezzo di multa erano infatti previsti nel caso di una donna
"di mala vita o cattiva fama" che avesse avuto l'ardire di ingiuriare
una donna onesta, mentre l'uomo che avesse detto "a qualsiasi donna di
buona fama e vita putana o altra parola ingiuriosa", era punito con due
fiorini di multa: tempi curiosi, quelli, in cui la legge considerava più grave
l'offesa ad una donna che ad un uomo, e l'ingiuria di una donna di vita pesava
più di quello di una brava massaia.
E ai notai si tagliava il naso
Tempi duri anche per chi giurava il falso: "sii punito col taglio del naso ed orecchio e sarà infame", oltre che brutto a vedersi. Analoga severità verso i notai: chi infatti preparasse o convalidasse consapevolmente un atto falso era punito, se recidivo, "col taglio di un membro, verbigrazia mano, naso, orecchie, conforme porterà la qualità della falsità". Via la mano, o la testa, anche a chi falsificava le monete.
Religione e pubblica moralità
Alcune norme statutarie, in realtà meno di quante ci si aspetterebbe secondo la tradizionale visione che spesso si ha del medioevo, concernevano anche comportamenti che travalicavano nel campo religioso. Punita era, per esempio, la bestemmia, almeno quella dei bestemmiatori incalliti: a Millesimo il colpevole era messo alla berlina "
ed ivi tenuto la prima volta per un'ora, la seconda per due, la terza per tre";  |
La "berlina" o"gogna" in una miniatura francese del sec. XV |
a Bardineto rischiava invece la frusta, a Calizzano tre tratti di corda mentre a Cairo gli si rinfrescavano le idee mediante una triplice immersione nelle acque della Bormida là dove il fiume "fuerit grossus"(!). A Carcare, invece, le tre secchiate d'acqua in testa previste per la stessa colpa negli Statuti del 1433 erano sostituiti, in quelli del 1602, dalla ben più incisiva pena della trafittura della lingua mediante un chiodo. Sempre a Carcare, ma anche a Bardineto, era espressamente proibito lavorare nei giorni festivi, mentre "coloro che attendono a giochi e taverne et a darsi al buon tempo et non si esercitano virtuosamente" potevano essere espulsi dal paese. Osterie off limits anche a Calizzano, frequentando le quali coloro che "per il vitio della crapula spendono alle taverne tutto quello che con molta fatica guadagnano, con il quale doveriano agiutare e sovenire sue povere moglie et famiglia" sarebbero incorsi in salatissime multe.
In diversi paesi gli Statuti si
preoccupavano anche della moralità delle signore per cui ad Altare le donne che
la "pubblica fama" indicava essere di "disonesta vita"
potevano venir cacciate: una norma analoga esisteva anche a Calizzano, dove per
le "signore" renitenti allo sfratto era prevista la frustatura "in
giorno di martedi (giorno di mercato) all'hora di terza incominciando dalla
piazza fin alla porta di S.Rocco". E come si provava la "pubblica
fama"? Bastava a ciò la testimonianza di quattro vicini: come potessero
poi fare cotesti vicini ad appurare in modo inoppugnabile l'altrui disonestà
senza esserne stati coinvolti, la legge non lo precisava.
La condizione della donna
Particolarmente interessante può essere l'esame delle norme riguardanti la situazione giuridica della donna.
In generale si può dire che la donna non avesse, negli anni del tardo medioevo, una personalità giuridica completa e uguale a quella dell'uomo: veniva piuttosto considerata bero incorsi in salatissime multe.
Più in particolare la donna, una volta ricevuta una dote conveniente, non poteva più
avanzare alcuna legittima pretesa sull'eredità familiari e l'unica garanzia in questo settore era fornita dalla prescrizione in base alla quale gli eredi prima di dividersi l'eredità dovevano mettere da parte il sufficiente per convenientemente dotarla. Una volta sposata alla tutela paterna si aggiungeva quella del marito e la donna poteva in genere stipulare contratti od impegni solo presente e consenziente il marito o ,se era il caso, con il consenso di quanti esercitassero la podestà sulla donna: padre, parenti prossimi o, in loro mancanza, due vicini scelti dalla donna. Dagli Statuti sembrerebbe di intravvedere a fondamento di queste norme una pretesa "incapacità" della donna a tutelare i propri interessi e quindi la "necessità" di aiuti ed assistenza: il che si tramutava, in pratica, nella limitazionine della sua autosufficienza e quindi della personalità giuridica.
Esistevano poi in alcuni paesi norme particolari, come quella presente negli Statuti di Altare, paese in cui la donna non aveva bisogno del consenso di altri per contratti inferiori alla somma di sette lire, o la prescrizione vigente a Bardineto dove la donna non poteva, di regola, sposarsi senza la licenza del padre, madre o fratelli: colei che contravveniva a tale disposizione perdeva il diritto alla dote.
Numerosissime altre notizie su usi e costumi, norme e consuetudini possono essere estratte dai tanti Statuti che regolavano in ogni comune la vita dei nostri antenati: raccolte di leggi non sempre giuste, talvolta dure e severe, che però avevano un pregio: quello di essere precise e sintetiche, anche se la lingua in cui erano redatte -il latino, almeno fino all'inizio del XVII sec.- non le rendeva normalmente di facile comprensione per gli utenti.
Ma non è detto che in questa direzione si sia poi fatta, da allora, così tanta strada.
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| Cairo nel '600 |
Leonello Oliveri
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1) Veramente nei centri dei settori
più montani dell'alta Val Bormida
all'economia agricola si affiancava un tessuto che potremmo definire pre-industriale, formato dalla numerose ferriere allora esistenti (una ventina
ancora all'inizio dell'800) che davano lavoro per 3/4 dell'anno a circa 2000
persone. Ma la base dell'economia era pur sempre costituita dall'agricoltura.