venerdì 16 febbraio 2024

Gli Statuti di Carcare del 1602

 

Leonello Oliveri



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Presentiamo in questo post il testo completo, preceduto da un ampio commento, degli “Statuti” di Carcare risalenti al 1602


 Gli Statuti possono rientrare nel genere delle leggi, anzi rappresentavano l’insieme delle norme, delle consuetudini aventi valenza giuridica, degli usi che regolamentavano tutti gli aspetti della vita comunitaria di un abitante di un paese nell’epoca medievale e  post medievale, nel caso di Carcare  (e di molti altri centri della Val Bormida) almeno dal sec. XV fino all’alba del XVIII.


Pur non essendo esatto affermare che gli Statuti contenessero tutte le leggi che regolavano la vita degli abitanti di un centro medioevale ( le leggi avevano un valore generale nello spazio e nel tempi, gli Statuti  concernevano solo il territorio del centro che li aveva promulgati) e tenendo presente che li Statuti erano molto diversi a seconda che riguardassero un libero Comune, un feudo o, nel caso di Carcare nel 1602, un paese possedimento i un altro Stato (nella fattispecie la Spagna),  e tenendo presente che a fianco degli statuti c’era anche il Corpus Iuris di tradizione romana, possiamo dire che nella pratica di tutti i giorni le norme che regolavano la vita degli abitanti di Carcare erano comprese nelle 65 pagine manoscritte che, divise in 41 “rubriche” o “capitoli” costituivano gli “Statuti”: diritto sostanziale e diritto processuale, codice della strada e codice penale, regolamenti edilizi e codice civile, norme sulla successione, compravendita, commercio, debiti: insomma, tutto ciò che poteva costituire il contenzioso giuridico di un piccolo paese era concentrato nel libretto degli “Statuti”, presente in ogni comune medievale, la cui pubblicazione è oggetto di questo post.


1. Gli Statuti di Carcare

Gli Statuti di Carcare a noi noti ci sono arrivati in due stesure. Quella più antica risale al 1433, 16 marzo. Il suo testo, redatto in latino, comprende 156 (42) capitoli o rubriche concernenti praticamente ogni aspetto di quello che poteva essere il contenzioso in un piccolo borgo agricolo/commerciale quale era Carcare nel XV sec. nonché tutte le norme relative ai rapporti comunitari: modalità nell'elezione delle cariche comunali, norme di procedura civile e penale, codice civile e penale etc. In tale raccolta, coerentemente con quanto si riscontra in Val Bormida negli Statuti coevi, una notevole percentuale di norme (51 su 156, pari al 33%) riguarda I'agricoltura, lo sfruttamento della campagna, di prati e boschi e la loro puntigliosa tutela.
La prima (43) raccolta statutaria subì una modifica ed integrazione nel 1464, 20 febbraio, allorché le autorità comunali di Carcare "avendo conoscenze et notizia di certe norme statutarie non bene ordinate" ne decidono un ampliamento "per il bene e l'utilità del comune di Carcare" inserendovi quattro nuove rubriche (44).

Questo testo statutario, emendato come ricordato, accompagnerà la vita dei carcaresi fino ad oltre il Medioevo finché fu sostituito, nel 1602, da una nuova raccolta di disposizioni, quella oggetto del presente studio, più agile e moderna.

Nel 1602, infatti, 1'8 di novembre, nel castel Govone di Finale, Don Pedro da Toledo con la sua sottoscrizione e il suo sigillo conferma "in nome di Sua Maestà Cattolica" nuova raccolta statutaria, prescrivendo che tali nuovi Statuti "conforme sono scritti si guarderanno et obserueranno".
Don Pedro da Toledo era il Governatore spagnolo che il Conte di Fuentes, rappresentante in
Italia di Sua Maestà Cattolica il Re di Spagna nonché Governatore di Milano, aveva inviato a Finale a governare in nome della Spagna il vecchio marchesato dei Del Carretto.

Resta aperto il problema se il 1602 sia stato semplicemente l'anno in cui le autorità spagnole confermarono Statuti precedenti e preesistenti, che essi ereditarono con l'acquisto del Marchesato o se in tale anno i vecchi Statuti siano stati sottoposti ad una radicale revisione da parte delle nuove autorità, revisione che produsse le 41 norme statutarie (41 al posto di 156!) destinate a costituire il nuovo corpus iuris dei carcaresi (45). Nel primo caso resterebbe da scoprire l'anno, comunque compreso tra il 1433 e il 1602, in cui si sarebbe effettuato il passaggio dagli Statuti del 1433 ai nuovi. Il problema non ha finora una risposta definitiva anche se, a mio avviso, pare più probabile l'ipotesi di una radicale revisione in qualche modo legata al cambiamento politico (dai Del Carretto alla Spagna), ipotesi suffragata sia dal fatto che gli Statuti del 1602 si aprono con la frase "E prima hanno riformato e statuito etc." (46), sia dal carattere di decisa innovazione - non solo formale - rivestito dalla seconda raccolta rispetto alla prima. A favore di questa ipotesi concorre anche il fatto che un'analoga, radicale revisione fu subita dagli Statuti di Calizzano (altro paese passato alla Spagna) proprio in quegli anni (47).

I nuovi Statuti, ai quali i carcaresi avrebbero dovuto attenersi, costituiscono infatti una raccolta di norme assai più agili e moderne rispetto alle precedenti: la complessa prosa latina del testo del XV sec. si è mutata in un secco italiano (italiano, ovviamente, del '600) ben più comprensibile da parte dei suoi destinatari naturali, le 156 rubriche si sono ridotte a 41, il contenuto rivela - sia nelle presenze che nelle assenze - l'influsso di tempi e mentalità nuove.

Di questi Statuti, ai quali l'essere redatti in lingua italiana aggiunge un pregio (quello di essere immediatamente fruibili anche per noi) esistono diverse copie (48). Quella oggetto del presente studio è conservata in un archivio privato ed è stata pubblicata confrontandola con una copia conforme all'esemplare esistente nella Biblioteca Reale di Torino (49).

2. Struttura degli Statuti

Gli Statuti carcaresi del 1602 comprendono, come si è detto, 41 rubriche o capitoli. Essi sono seguiti, nel manoscritto che è servito di base per il presente studio, da una annotazione riportante la conferma effettuata nel castel Govone di Finale da don Pedro da Toledo 1'8 novembre del 1602.

La struttura degli Statuti è semplice, non differenziandosi, ad un esame superficiale, rispetto ad analoghi Statuti contemporanei in vigore nei centri vicini (50).

I primi cinque capitoli concernono le magistrature municipali, cioè quelle istituzioni locali cui era demandata la gestione di quella che allora era definita "l'Università delle Carcare", in poche parole il paese, con le loro prerogative, le modalità di nomina, le prescrizioni per le riunioni.

I capitoli dal 6 al 12 riguardano invece quelle norme che potremmo definire di procedura civile, cioè tutto ciò che regolava le modalità per iniziare e gestire una citazione, una causa, una lite.

Le rubriche dal 13 al 30 sono dedicate al codice civile vero e proprio con tutta la complessa - ma sintetica - normativa concernente i debiti e le procedure per la loro riscossione, le successioni, le eredità, le modalità per la compravendita di beni mobili ed immobili, etc.

Le ultime dieci rubriche (dal num. 31 al 41 ) sono infine dedicate alle norme del codice penale, con le prescrizioni e le modalità da seguirsi, nonché le pene da comminarsi, nei casi dei reati più gravi.

Se ad un esame superficiale tale struttura non denota, come si è detto,differenze apprezzabili rispetto a quelle degli Statuti dei centri vicini (51), a parte la tutt'altro che trascurabile mancanza di un settore, quello relativo alla tutela dell'agricoltura, presente in tutte le altre raccolte statutarie nelle quali occupa uno spazio notevole (52) e che invece a Carcare vien liquidato in una sola ma importante rubrica, la n. 30, un esame più particolareggiato rivela invece differenze e caratteristiche interessanti.

Osserviamo quindi più da vicino il contenuto degli Statuti carcaresi .raggruppando le rubriche sotto alcune categorie specifiche.

3. Istituzioni

A Carcare l'Autorità spagnola (non dimentichiamo che il paese aveva da pochi anni cambiato sistema istituzionale, passando da feudo imperiale, cioè - in pratica - stato indipendente, a territorio spagnolo) era rappresentato da un Podestà di durata biennale, che veniva nominato direttamente da "l'Excellentia del Signore illustrissimo", il Conte di Fuentes Governatore di Milano, tramite il suo rappresentante finalese. Tale podestà deteneva un certo potere, che poteva esercitare a suo arbitrio, con funzioni che potremmo paragonare a quelle di un giudice nelle cause civili.

A questa magistratura si affiancavano quelle municipali, formate da quattro "Giuratori'' e otto "di Consiglio": i primi potrebbero essere paragonati ai nostri assessori, gli altri ai consiglieri comunali. Queste cariche erano elettive (votavano tutti i capifamiglia maggiorenni) e annuali: per poter essere eletti occorreva essere maschi ed aver compiuto 25 anni. Entrati in carica, gli eletti giuravano sui Vangeli di 'fare l'officio loro rettamente" (r. 2): del loro operato sarebbero stati responsabili di fronte all’ “Università",cioè ai carcaresi. Le loro competenze erano confrontabili. con quelle di un attuale Consiglio Comunale: prendevano iniziative su argomenti relativi all'edilizia e a quelli che oggi si chiamerebbero "Piani Regolatori", si occupavano di viabilità, di istruzione etc. Gli Statuti ricordano in particolare alcune loro prerogative che ci sembrano interessanti: innanzitutto dovevano preoccuparsi che fossero portate "le biade al castello" in cui si trovava la guarnigione spagnola. Dovevano inoltre preoccuparsi di assoldare un maestro di scuola: e questa ci pare una preoccupazione interessante, che non si trova in altre raccolte statutarie di paesi vicini e che sottolinea forse uno dei benefici effetti della presenza spagnola (53). I "Giuratori" avevano anche competenze di tipo giuridico potendo fissare, insieme al Podestà, le pene per diversi reati e venendo utilizzati come giudici ed arbitri in molte vertenze o liti fra gli abitanti.

A differenza di quanto previsto negli Statuti di paesi vicini, quelli di Carcare non contengono minuziose precisazioni circa le modalità da seguirsi per le riunioni di questo "Consiglio Comunale" con funzioni anche giudiziarie e giuridiche, limitandosi a stabilire la validità delle deliberazioni adottate in presenza di un numero legale di membri (almeno otto) e con la maggioranza dei 2/3, mentre non si poteva venir rieletti ad una carica municipale se non fossero passati almeno quattro anni dal precedente mandato. Questa assenza di minuziose precisazioni è una delle differenze fra gli Statuti dei centri vicini e quelli di Carcare, che sembrano lasciare più spazio alle decisioni e all'autonomia locale: un decentramento legislativo ed amministrativo ante litteram, insomma.

Nella loro opera Giuratori e Consiglieri erano affiancati da altre persone: sei "agiunti", probabilmente con funzione di membri supplenti, due "maestrali" con il compito - si direbbe oggi - di addetti al controllo antìsofìsticazioni: essi dovevano infatti controllare che i prodotti commestibili venduti, soprattutto pesce e vino, fossero di qualità adeguata. Di loro spettanza era pure il verificare che i pesi e le misure usate dai commercianti corrispondessero a quelle campione conservate dai Giuratori: e per chi era trovato con prodotti e pesi non in regola le pene erano stabilite "ad arbitrio del Podestà e Giuratori" (54).

Lo staff dirigenziale del Comune era poi completato da due "deputati sopra le strade" (oggi li definiremmo "assessori alla viabilità"): loro compito "sarà che le strade e vie pubbliche e massime quelle dei borghi (55) si conseruino e si rifaccino" (r. 2) a cura dei proprietari dei fondi antistanti le strade stesse, i quali dovevano inoltre "levare le pietre et immondizie e portarli in luogo che non impiccino" (r. 2).

Nello svolgimento del loro incarico dovevano "tenere cura diligente", cosa del resto allora richiesta a tutti gli amministratori, ed erano direttamente ed in solido - responsabili del loro operato di fronte alla comunità.

C'era poi un'ultima carica che, all'epoca, aveva grandi poteri e grandi responsabilità: quella dei due "Offìciali di sanità", incaricati di prendere .tutte quelle misure sanitarie ritenute indispensabili per il bene del paese. Non si deve infatti dimenticare che i secc. XVI-XVII furono quelli delle grandi epidemie devastanti (56) di fronte alle quali la comunità era - in pratica - indifesa di qui i grandi poteri, e la grande responsabilità, affidata a questi funzionari ai quali "sarà dovuta obbedienza intera, massime in tempo pericoloso" (r. 3). La loro possibilità di intervento si estendeva 'fino alla confiscazione di tutti i beni e vita" per chi non si atteneva alle disposizioni "e di più saranno riveriti sotto la pena suddetta, poiché dove il pericolo è maggiore, tanto più è necessaria l'ubbidienza" (57): con la speranza, beninteso, che chi comanda sappia cosa fare.

Rispetto alle istituzioni presenti nei paesi vicini, a Carcare mancano diverse figure: non c'erano, per esempio, i "curatori generali" per i beni vacanti, o i "procuratori pii" che tutelavano i diritti di minorenni, orfani, prigionieri e vedove presenti invece a Millesimo e Cosseria, né c'erano i "campari" per la sorveglianza di boschi e prati, ricordati negli Statuti del 1433 (58): tutto sommato anche queste assenze ci sembrano andare a favore di una maggiore flessibilità ed autonomia del comune carcarese rispetto a quelli vicini.

Mancava inoltre,ed è un 'assenza di difficile interpretazione, la figura del "Sindico", presente nei vecchi Statuti come nei contemporanei millesimesi del 1580, nei quali si poneva quasi come contraltare della figura del Podestà: rappresentante quest'ultimo dell'autorità feudale, il "Sindico" doveva invece essere - in quanto eletto dagli abitanti - il loro naturale termine di riferimento. Negli Statuti carcaresi del 1602 tale figure è assente, per cui di fronte al Podestà di nomina "statale" (leggasi spagnola) i carcaresi non avevano un capo riconosciuto ma un organo (il "Consiglio") composto da dodici membri. Il significato di tale assenza resta di difficile valutazione e non è detto che debba automaticamente rappresentare un maggiore (o minore) dipendenza dalla Autorità centrale (quella spagnola con sede a Milano e Finale) rispetto a quella cui i paesi vicini erano tenuti verso il loro signore feudale.

Nei confronti del Consiglio gli abitanti avevano diversi obblighi, primo fra tutti l'ubbidienza nel concorrere, "senza eccezione alcuna", a dare una mano nell'esecuzione di importanti opere pubbliche, e cioè "nella fabbrica di chiese, vie e ponti, come pure al rimediare il danno che potesse fare il fiume": i carcaresi erano quindi tenuti ad offrire un numero di giornate di lavoro fissato dalle Autorità comunali, le quali nel far ciò "haue ranno sempre rispetto che conferisca et contribuisca alla rata (cioè dia il suo contributo) chi più può et ha maggior facoltà, di che qualità si siano" (59). Chi più può, più paghi. Non male!

4. Norme di procedura civile

I capitoli riguardanti quelle che potremmo definire "norme di procedura civile" sembrano Improntare ad un sano buon senso: evitare al massimo il ricorso a complicate procedure burocratico/giudiziarie.

Vediamo infatti che se la "caosa", cioè la lite, riguardava argomenti di poco conto, la procedura era veramente sommaria: per esempio nel caso di persone "che prettenderanno il pagamento di opere loro, o crediti di bottega" il Podestà poteva credere immediatamente al giuramento del richiedente (r. 7), purché lo stesso fosse "di buona voce, conditione et fama" e l'ammontare della cifra richiesta non superasse i 3 scudi (60). In tal caso il Podestà avrebbe deciso "de plano et senza scritture", oggi diremmo senza tante scartoffie, e la sua decisione sarebbe stata inappellabile. Nel caso invece di cause intentate per la riscossione di crediti di tipo diverso, per un ammontare massimo di uno scudo, il Podestà doveva dare all'accusato tre giorni di tempo per fornire ogni elemento utile, dopo di che avrebbe emesso la sua sentenza, anche questa inappellabile "al meno di ingiustitia notoria". Per debiti più consistenti, fino a sei scudi, la causa doveva comunque essere dibattuta dal Podestà entro 27 giorni dalla denunzia del creditore: esempio di velocità della giustizia che forse può direi qualcosa anche oggi.

Per le liti intentate circa contenziosi il cui valore superasse i sei scudi, gli Statuti carcaresi presentano una norma caratteristica: in esse il Podestà pareva (o doveva, secondo i casi), farsi assistere dal consiglio di un "savio"; oggi diremmo di un legale, da scegliersi fra quelli operanti "dentro a trenta miglia dal paese" (r.10).

La lista dei legali era proposta dalle parti in causa, le quali potevano presentare anche quella dei "sospetti", cioè di quei "savi dottori" che loro ricusavano: evidentemente allora non tutti i legali erano degni di fiducia, e l'avvocato Azzeccagarbugli non è una gratuita invenzione manzoniana! La scelta del Podestà doveva quindi cadere su una "persona fuori da ogni sospetto": in tale scelta doveva avere ben chiaro che stava "aggravando in questo la sua coscienza” (r. 10): non è questo il primo richiamo alla coscienza - cioè all'onestà - del pubblico amministratore presente negli Statuti, e non sarà neanche l'ultima. E forse un mondo che sa che non basta la legge a fare onesto l'uomo e che ritiene utile e coerente appellarsi anche all'interno di una raccolta di leggi alla coscienza dei singoli, specie di quelli investiti di pubblica responsabilità, può ancora dirci (e darei) qualcosa.

Due rubriche concludono l'esposizione di queste norme che abbiamo definito di procedura civile: una ricordava che in ogni caso le cause dovevano essere concluse entro sei mesi (61), un'altra (la r. 12) contemplava la possibilità di ricorrere, dopo qualsiasi sentenza, alla decisione finale di "Sua Eccellenza Illustrissima" il Governatore spagnolo.

5. Norme di codice civile

La parte più considerevole degli Statuti carcaresi del 1602 è riservata a quello che potremmo definire "codice civile", cui sono dedicate ben 18 delle 41 rubriche complessive (62), pari ad una percentuale del 43% (63). Tale notevole spazio è un sintomo della novità rappresentata dagli Statuti carcaresi, che paiono riflettere una situazione più articolata, dinamica e moderna rispetto ai centri vicini. Ma su questo aspetto torneremo più avanti.

Le norme comprese fra le rubriche n. 13 e 20 riguardano essenzialmente questioni di successione, eredità, pagamenti e riscossioni di debiti, passaggi di proprietà e altri atti giuridici del genere.

Per quanto concerne i debiti, qualora il debitore non volesse o potesse pagare, il creditore poteva ricorrere al pignoramento di tutto quanto il debitore possedesse, "eccetto però la casa di abitazione e l'orto” (r. 13) e, in presenza di altri beni, "le vettovaglie necessarie a1la vita, l'armi e gli strumenti necessari al loro servizio e le vesti": si cercava cioè di non buttare letteralmente sulla strada il debitore, lasciandogli l'indispensabile per la sopravvivenza (64). I beni pignorati venivano poi messi all'asta "per tre giorni di mercato": questo perché la maggior affluenza di persone prevedibile in tale occasione aumentasse i potenziali concorrenti ali 'acquisto, e quindi il ricavato. Dato inoltre che era ben noto ai legislatori che "i creditori per patto pigliano i beni", cioè la possibilità di aste truccate con i concorrenti d'accordo per pagare meno possibile, in nessun caso tali beni avrebbero potuto essere venduti ad un prezzo inferiore di oltre un terzo rispetto a quello stimato dai Giuratori (65). Al debitore, o ai suoi eredi, era inoltre riservata la possibilità di riscattare il venduto entro tre mesi. E se il debitore avesse voluto opporsi a tale procedura? Si andava per le spicce, con la sua incarcerazione fino a quando non avesse cambiato idea ed accettato di pagare, in un modo o in un altro, il suo debito. Nel frattempo,mentre in prigione gli si schiarivano le idee, avrebbe dovuto essere mantenuto dal creditore, tenuto a passargli giornalmente due libbre di pane, dieta indubbiamente più che sufficiente per affrettare la decisione (66).

I debiti non richiesti si prescrivevano in 10 anni, sempre però che il creditore fosse presente e maggiorenne (r. 15). In mancanza di prove scritte sia il creditore che il debitore (o loro eredi) potevano essere chiamati a giurare "sopra li Santi Evangeli" circa l'effettuazione o meno del pagamento o l'esistenza del debito: tali giuramenti dovevano essere resi "con buona coscienza", ed il frequente riscontro, in una raccolta di leggi, di richiami alla coscienza delle persone invece che a punizioni legali dovrebbe forse stimolarci a qualche umile riflessione su cosa siamo ora diventati, nella nostra società così civile e progredita.

Quella del richiamo diretto alla responsabilità morale personale, testimonianza della consapevolezza dell'inefficacia di qualsiasi legge quando non è sorretta dalla moralità del singolo, è una presenza frequente negli Statuti carcaresi: la troviamo anche, per fare un esempio, alla rubrica 16, che prescriveva come le liti potessero essere decise da un compromesso preparato "da huomini da bene" nominati dalle due parti, i quali avrebbero dovuto decidere "in loro coscienza", e nella r. 25, che ricordava come le eredità dovute ai minorenni dovessero essere amministrate dai loro tutori "con officio di pietà", e cioè senza cercare di ingannare i minori loro affidati.

La tutela dei minori e dei loro interessi è una esigenza avvertibile spesso negli Statuti, e non solo in quelli carcaresi. All'esempio sopra riportato possiamo infatti unire la norma che allungava i termini di prescrizione dei debiti a favore dei minorenni, quella che affidava - salvo casi particolari - la tutela di un minore alla madre (r. 26), la disposizione in base alla quale i beni di un minore non potevano essere venduti se non in casi eccezionali, nei quali gli interessi del minore erano rappresentati dal Podestà e "da huomini da bene"( r. 26), ed altre ancora. Il minore appare quindi oggetto di tutela e attenzione particolare e ricorrente in questi Statuti.

Norme precise riguardavano anche la compra-vendita di beni immobili (costituiti prevalentemente da terreni agricoli). L'attenzione maggiore pare essere rivolta ad evitare il più possibile il loro passaggio da una famiglia ad un'altra, sia per impedire che una famiglia potesse essere privata dell'indispensabile fonte di sopravvivenza costituita dalla terra (67), sia per evitare il formarsi di concentrazioni di terre in poche mani (68). Veniva così curato in modo particolare il diritto di prelazione da parte di parenti o, in secondo ordine, di vicini, intimando a venditori ed acquirenti di 'far pubblica grida da affiggersi nei luoghi soliti"(r. 20), cioè davanti alle chiese e nelle piazze dei mercati: si trattava di avvisi in cui doveva essere precisata la localizzazione del bene in vendita, il suo valore e il nome del potenziale acquirente onde permettere ad eventuali aventi diritto di farsi avanti. Ciò doveva avvenire entro un anno dalla vendita, "dopo di che sarà posto perpetuo silenzio" sulla vendita stessa.

Oltre che per cessione, vendita o successione (anche essa regolamentata), un bene poteva cambiar padrone per usucapione: bastavano 10 anni se il padrone era presente, occorreva invece un quarto di secolo in caso di sua assenza.

6. Norme di codice penale

Una decina di rubriche, pari al 24% del totale, concerne procedure e pene da applicarsi nel caso di reati penali. Si tratta di una percentuale notevole, ben superiore a quella riscontrata in altre raccolte statutarie contemporanee (69) che però non dovrebbe automaticamente portare, a mio avviso, a ipotizzare conclusioni sbrigative, sul tipo dell'esistenza a Carcare di problemi di tipo "penale" maggiori, o più frequenti, che altrove, con la conseguenza di una notevole criminalità. Ciò dovrebbe invece spiegarsi col fatto che la parte penale è l'unica trattata in modo ampio, circostanziato e preciso negli Statuti carcaresi, l'unica sottratta quindi alle decisioni delle Autorità locali cui è demandata la gestione di tutti gli altri aspetti della vita del paese, regolate negli Statuti da norme molto sintetiche e stringate. Tale fatto determina un notevole decentramento del potere (70) e autonomia delle Autorità locali: e proprio in ciò risiede, come si è detto, la principale originalità degli Statuti carcaresi - rispetto ad altri contemporanei e vicini.

Vediamo quindi più da vicino queste norme di codice penale, le sole che elenchino, negli Statuti carcaresi, tutta una lunga casistica di colpe e pene con l'ma minuzia tipicamente medioevale.

Le leggi in vigore a Carcare prevedevano innanzi tutto che "nelle cause criminali leggere non si farà processo, che il più delle volte è di maggior spesa che non la pena del delitto"(r. 31) procedendosi invece sommariamente (de plano) senza tante formalità burocratiche. E' anche questa una delle norme basate sul buon senso presenti negli Statuti carcaresi con una certa frequenza. Analogo buon senso è espresso dalla r. 36 che prevedeva la libertà del reo, su cauzione, in tutte quelle "cause criminali" che non comportavano pene corporali: stando agli Statuti gli antichi carcaresi non conoscevano, 400 anni or sono, la carcerazione preventiva (71). L'ammontare della cauzione era stabilito in sede locale dal Podestà: se ciò da una parte poteva significare accertamenti più rapidi e una migliore conoscenza dei fatti e delle persone, dall'altra poteva però favorire chi aveva nei confronti del meno abbiente, e lasciar spazio a favoritismi.

La denuncia dei reati doveva precisare, quando noti, "il luogo, tempo et hora del delitto" oltre che - ovviamente - il nome del reo. Le norme statutarie prevedevano un circostanziato campionario di reati e di pene corrispondenti e sottolineavano che il Podestà non avrebbe potuto agire d'ufficio nel caso di "risse di parole dove non sia ferita o sangue", tranne quando tali fatti fossero avvenuti in sua presenza. La legge colpiva tutti coloro che partecipavano ad una rissa, ma se in essa ci fossero state "parole ingiuriose, pugni, schiaffi et simili" era stabilita una pena doppia per il provocatore, pena che poteva arrivare, tenuto conto "della qualità delle persone, luogo e fatto ", fino ad un massimo di tre scudi, cifra raddoppiata per risse "con sangue, cicatrici o livore". Nel caso di percosse non in rissa, ma "d'animo deliberato "la pena veniva raddoppiata; ulteriore raddoppio nel caso di uso di armi "senza spargimento di sangue". Di fronte a ferite provocate intenzionalmente si entrava nell'ambito dei reati più gravi, essendo prevista, oltre ad una multa di 20 scudi, anche la possibilità che il colpevole venisse punito "personalmente", cioè con pena corporale "ad arbitrio di Sua Eccellenza" i1 Governatore spagnolo. Tutte le pene predette venivano ulteriormente raddoppiate se risse e ferimenti fossero avvenuti "nella piazza di mercato et.in tempo di mercato" (r. 31).

Anche le pene previste per i furti erano precisate con una certa particolarità, ben lontana comunque dalla minuziosa casistica, così tipicamente medioevale, che caratterizza gli Statuti dei paesi vicini (72), ulteriore prova dello spazio lasciato all'autonomia delle Autorità locali.

Le pene erano graduate sulla base del valore della refurtiva: fino ad uno scudo i rei erano puniti con un'ammenda pari al doppio del valore del rubato, da 2 a 4 scudi l'ammenda saliva al triplo mentre per furti di valore superiore o per i recidivi la pena diventava corporale, con l'esposizione dei reo alla berlina (73) o la sua fustigazione attraverso le vie del paese.

Non si scherzava invece per furti con scasso o di animali da lavoro: la pena non era più pecuniaria o solo blandamente fisica, bensì "pena corporale ad arbitrio di S.E. ". E tale arbitrio poteva tranquillamente estendersi sino alla morte del reo. E' questa una delle caratteristiche tipiche degli statuti medioevali, ancor più spesso riscontrabile in quelli carcaresi: talora minuziosi fino all'eccesso nell'elencare colpe e pene, lasciavano altre volte ampio spazio all'arbitrio del Potere, fosse esso rappresentato dal Podestà, dagli
"Illustrissimi Signori" o da "Sua Eccellenza" il Governatore spagnolo.

Se per i furti con scasso non si scherzava, con severità ancor maggiore erano puniti i "ladri famosi" o i briganti che "con armi in strada o via pubblica ruberanno": per essi la pena era, sic et simpliciter, la forca. Né tale severità, riscontrabile anche in altre raccolte statutarie, deve stupire: per tutto il medioevo e ben oltre, fino all'età napoleonica, il brigantaggio era assai diffuso in Val Bormida, trovando un elemento favorevole nella mancanza di una unità politica e statale che caratterizzava la valle, nella quale si intersecavano i confini di diversi Stati (74). Se si tiene conto che la morfologia del territorio era allora assai più impervia di ora, con grandi estensioni di boschi, e che tutti i traffici personali e commerciali si svolgevano su strette mulattiere immerse fra gli alberi (75) diviene evidente la necessità di mantenere aperte quelle sottili vene attraverso le quali scorrevano tutti i traffici, reprimendo con rigore ogni atto che mettesse in pericolo la regolarità delle comunicazioni. Pene severe, ma ben lontane dalla forza corrusca e sanguigna con cui a Millesimo erano puniti i briganti assassini: lì, infatti, non ci si limitava ad una "normale" esecuzione, ma i briganti assassini, dopo morti, erano "squartati in quattro parti, le quali si applichino nei luoghi oue sono stati commessi i delitti; acciò siano di terrore agli altri"!

Una notevole modernità era invece contenuta dalla r. 32, secondo la quale il Giudice non avrebbe proceduto per punire un furto di "cose rubbate per mangiare in tempo di fame e necessità": veniva così praticamente legittimato il diritto da parte dell'affamato di procurarsi comunque il pane, sempre beninteso che "il rubbatore non ne facesse arte e pigliasse più della necessità".

Molto articolata era poi la procedura in caso di omicidio: quello per legittima difesa era sempre impunibile, a meno che non si fosse ecceduto nella difesa, caso in cui il giudizio sarebbe stato demandato "all'arbitrio dell’Ill. Sig.re"

L'omicidio commesso preterintenzionalmente durante una rissa era punito con una pena pecuniaria o col bando del colpevole: se però ci fosse stata colpa, veniva applicata una "pena afflittiva del corpo ad arbitrio di S.E ". Nessuna esitazione, invece, nel caso di omicidio volontario: la pena era la "morte naturale" (!) del delinquente più la confisca dei suoi beni. La stessa pena veniva applicata nei confronti di quanti "con archibuggi apposteranno e tireranno, sia di giorno sia di notte, se ben non offenderanno o non ammazzeranno" (r. 31). Se invece dell'archibugìo avessero usato un altro tipo di arma la pena sarebbe stata stabilita, ancora una volta, "ad arbitrio di SE. ".

Le persone "bandite", cioè cacciate dal paese non potevano farvi ritorno pena la morte: essi infatti, i cui nomi erano elencati su una tavoletta esposta in piazza, "si potranno offendere impune(mente) e saranno reputati come morti naturalmente": nessuno avrebbe potuto accoglierli o offrir loro aiuto (r. 35).

Un'unica rubrica, la n. 33, puniva violenza commesse contro le donne: rapimenti e stupri, reati nei cui confronti si procedeva d'ufficio cori pene molto severe: "chi per forza rapirà o conoscerà carnalmente donne vergini, maritate e vedove, caderà in la pena della vita". Conformemente a quanto previsto da altri Statuti potevano essere puniti, su querela del pane, anche atti sessuali compiuti con ragazze consenzienti. Punito anche, sempre su querela della parte offesa, in questo caso identificata solo nel marito, l'adulterio (76).

Oltre agli uomini e alle cose, gli Statuti proteggevano anche i documenti, sui quali, allora come oggi, restavano fissati tutti gli atti legali compiuti. Ecco quindi la necessità di norme atte a garantire l'autenticità di ogni atto redatto dal notaio. Di qui la rubrica n. 34, che elencava le pene per i notai che avessero fabbricato atti falsi: venivano privati dell'ufficio, condannati alle spese e potevano incorrere in una pena corporale "ad arbitrio di S.E. ". Analogamente potevano esserci testimoni falsi: anche per essi era prevista, se scoperti una pena. Venivano infatti giudicati "infami, in che non meritino fede alcuna per l'avvenire": non sarebbe cioè più stato creduto loro per l'avvenire. Avrebbero dovuto inoltre pagare le spese e subire, nei processi criminali, la pena prevista per il reo. Pene severe, quindi, ma non paragonabili a quelle previste in altri comuni, per es. a Millesimo, dove il testimone falso era "punito col taglio del naso ed orecchi", e il notaio che falsificava gli atti era punito "col taglio di un membro, verbi grazia mano, naso, orecchie, conforme porterà la qualità della falsità". E' ovvio che se da una parte gli Statuti carcaresi appaiono più moderni, non prevedendo queste pene mutilanti tipicamente medioevali, e più agili, decentrando la decisione a "Sua Eccellenza", dall'altra proprio questa mancanza di pene stabilite una volta
per tutte poteva dar luogo a favoritismi ed ingiustizie.

7. Religione e pubblica moralità

Le norme fin qui ricordate concernono i rapporti fra uomo e uomo o fra uomo e società.

Si dice comunemente che l'età medioevale e il '600 siano stati caratterizzati da una religiosità, anche formale, molto diffusa e con una presenza notevole, specie nelle apparenze esteriori, talvolta perfino ingombrante. E' possibile riscontrare questa "invadenza" dell'elemento religioso in quello legale negli Statuti carcaresi?

In realtà anche a Carcare come in altre località la "religione"intesa come regola da osservare anche ai fini legali non risulta trovare negli Statuti uno strumento di appoggio: pochissime sono infatti le norme esplicitamente dedicate alla difesa del "sentimento religioso", anzi, in pratica è una sola, la r. 31, che punisce la bestemmia con punizioni graduate "secondo la qualità della persona, la bestemmia e i luoghi" (in cui il reato è commesso): per la prima volta era fissata una multa di 25 fiorini, la seconda volta il reo era esposto alla berlina. Nel caso poi di un bestemmiatore incallito la punizione per la terza volta era particolarmente incisiva, prevedendo la norma che "li sia affissa la lingua con un chiodo in luogo pubblico et ivi sia tenuto per lo spazio di un'ora" (77). Questa è l'unica norma che tuteli espressamente l'aspetto religioso.

Ci sono però negli Statuti molti richiami alla coscienza, all'onestà, al vivere rispettando norme di comportamento morale, che possiamo definire in senso profondo "religiosi" ( o meglio , etici) , rivolti specialmente a chi aveva l'autorità di decidere e di amministrare, cui gli stessi Statuti ricordavano sovente che al di là della norma c'era un'altra legge da osservare, quella appunto della coscienza. E questo richiamo ( al di là della prescrizione legale) all’etica e alla coscienza è forse la caratteristica che più differenzia la legislazione dia allora da quella contemporanea.

Un'ulteriore rubrica, la n. 39, riguardava poi coloro che "o non possedono, o possedendo qualcosa non esercitano virtuosamente ma attendono a giochi; a taverne et a darsi al buon tempo e par che verosimilmente non possino far questo che non offendino altri nei beni loro": per tutti questi Podestà e i Consiglieri avrebbero potuto decidere con votazione "che tali sbrattino il luogo "(78). Analogamente a Carcare non potevano trovare facile ospitalità e residenza "huomini di mala voce, condizione et fama o condannati in altre parti per caose criminali o disonorevoli": a quanto pare nel paese scioperati, fannulloni e pregiudicati non erano ben visti.

Mancavano invece norme presenti a Bardineto, Calizzano ed Altare che proibivano di lavorare nei giorni festivi (79) o norme che si interessassero alla moralità delle signore come ad Altare, dove le donne che la "pubblica fama" indicava essere "di disonesta vita" potevano venire cacciate dal paese, o a Calizzano, in cui le medesime "donne inhoneste" che non avessero ottemperato all'ordine di lasciare il paese entro 8 giorni sarebbero state "frustate in giorno di martedì ali'hora di terza incominciando dalla piazza fin alla porta di S. Rocco" (80)

8. Campagna ed agricoltura

Generalmente negli Statuti dei paesi della Val Bormida, e non solo in quelli, tutto ciò che concerneva l'agricoltura e la campagna trovava una minuziosa regolamentazione (81), nè deve stupire questa particolareggiata presenza, indice di un'altrettanto privilegiata o necessaria protezione, in quanto la campagna e il suo sfruttamento rappresentava per le nostre popolazioni la vita stessa (82). Da qui la necessità di norme precise, minuziose, con lunghi elenchi di possibili reati e rispettive pene, che punivano in modo diverso, per riportare un esempio, il furto di fieno a seconda che fosse rubato a bracciate o a fasci, e che punivano perfino il furto "di cavoli, gabuggi et rape" .

Nulla di simile invece a Carcare, in cui la protezione dell'agricoltura e della campagna è demandata ad una sola, sintetica rubrica, la n. 30 (Dei danni campestri).

Essa prevedeva che, in caso di danni provocati alle colture, si credesse immediatamente e semplicemente al danneggiato, fosse esso proprietario, usufruttuario O fittavolo, ed alla sua valutazione dei danni purché l'ammontare del danno non fosse superiore a 20 fiorini.
Danni maggiori dovevano invece essere valutati dai giuratori e "da huomini da bene" e liquidati con "procedura sommaria e senza strepito giudiziale". Prima di intentar causa il danneggiato, che aveva otto giorni di tempo per denunziare il fatto, era obbligato a chiedere al dannificante "se vuole soddisfare il danno dato" entro tre giorni. Se il dannificante non voleva pagare, per lui era previsto il processo con le procedure stabilite per le cause penali.

Tutto qui, una sola rubrica contro le diverse decine degli altri Statuti,nessun minuzioso elenco di infrazioni, reati e rispettive pene sostituito da una semplice ed importante annotazione: l'elencazione di tutti i possibili danni campestri (e relative sanzioni) sarebbe stata di competenza esclusiva di "Giuratori, Consiglio et sei Aggiunti del luogo con l'intervento del Podestà" che ogni anno avrebbe dovuto prepararla e renderla di comune dominio mediante “publica grida”. Ci pare consista in questo la novità più interessante degli Statuti carcaresi del ‘600: non più, almeno là dove era possibile, norme minuziose e rigide fissate dall’autorità feudale o “statale” un a volta per tutte, ma ampia autonomia lasciata alle autorità locali cui era delegata, di anno in anno, l’emanazione delle norme integrative ritenute necessarie. Ci pare questo un esempio di decentramento degno di nota, ancor più in quanto assente negli statuti dei paesi vicini, anche di quei centri che, come Calizzano, appartenevano al medesimo orizzonte politico di Carcare, essendo entrambi –all’epoca, possedimenti spagnoli: ciò lascia quindi supporre che sia stato il risultato di una scelta locale e non l’obbedienza a superiori disposizioni .

Se questa assenza è interessante, per altri aspetti ci impedisce però di avere conoscenze più precise sulla realtà agricola carcarese all’inizio del ‘600: gli statuti dei centri vicini ci permettono infatti, con le loro norme minuziose, di intuire lo spazio che occupavano nel paese determinate attività agricole (lavorazione della canapa, pastorizia, sfruttamento delle acque a scopo irriguo a Calizzano e Bardineto, sfruttamento dei boschi e coltivazione dlela vite a Millesimo e Cosseria, raccolta delle castagne e dei frutti domestici ad Altare, etc,). A Carcare, invece, gli Statuti su ciò non dicono niente).

9. La condizione femminile

Quale era, dal punto di vista legale, la condizione femminile a Carcare nel 1600?

Prima di affrontare l’argomento occorre fare una precisazione importante: l’errore più comune, e più grave, in cui si incorre generalmente in questo caso è vedere le norme che la regolavano secondo un’ottica moderna.

Due erano le norme caratterizzanti la situazione femminile: limitazioni nell’eredità e nella capacità legale di vendere e comprare
Per quanto riguarda la prima, non bisogna mai dimenticare che ci troviamo comunque di fronte a comunità essenzialmente agricole, che basavano la loro sopravvivenza sulla campagna, ovvero sulla coltivazione dei campi.
I contadini valbormidesi erano, in genere, padroni della loro terra (e sarebbe interessante capire come si arrivò a ciò). Una terra magari avara, ma che garantiva comunque una sopravvivenza. Condizione indispensabile perché ciò avvenisse era che questa proprietà non venisse troppo frammentata, ovvero che nelle eredità non venisse eccessivamente spartita. Ecco quindi le limitazioni all’eredità che caratterizzava la condizione femminile, alla quale doveva bastare la dote.

Per quanto riguarda la seconda, ovviamente inconcepibile per la nostra società attuale, essa nasceva comunque e paradossalmente (ai nostri occhi) da un’esigenza di “tutela” della donna, che veniva considerata meno abile, capace e informata nelle operazioni di compra-vendita, e più esposta quindi ad essere “raggirata”. Oggi ciò appare, ovviamente, non solo ingiusto ma anche assolutamente errato, ma dobbiamo vedere le cose, come ricordato, calandoci nella realtà di quei secoli

Precisato questo, passiamo a vedere le norme che caratterizzavano questo aspetto degli Statuti

Negli statuti ci sono alcune norme (rubriche 14, 17, 18 ,22 e 27) che riguardano esplicitamente la donna e che ci permettono di ricostruire quanto e come ella venisse considerata dal punto di vista formale e giuridico.

Possiamo dire che a Carcare, nel complesso, la situazione giuridica della donna non pare essere, né poteva ragionevolmente esser, apprezzabilmente diversa da quella di cui godeva (si fa per dire) nei paesi vicini. In generale è possibile affermare che allora la donna non aveva una capacità giuridica completa e uguale a quella dell’uomo, venendo al contrario considerata debole, bisognosa di tutela e protezione giuridica particolare: in pratica ciòsi traduceva in un’inferiorità legale.

Più precisamente la donna era una figura “sotto tutela”: se aveva padre o marito non poteva stipulare contratti di nessun tipo  senza la supervisione del Podestà o del padre e/o marito i quali dovevano giurare che tale contratto "non essere in fraude né lesione della donna" (r. 17). Le donne venivano di regola anche tagliate fuori dalla successione dei beni, almeno di quelli paterni, quando avevano altri fratelli, i quali dovevano però "alimentarle, vestirle, trattarle bene e tener conto di maritarle come si conviene": in caso contrario, due anni dopo la morte del padre, le ragazze maggiorenni  potevano "domandar parte dei loro beni". Arrivato il momento del matrimonio, che per le ragazze maggiorenni poteva avvenire anche senza il consenso di genitori, fratelli o tutori vari, la ragazza doveva essere convenientemente dotata "secondo l'uso e consuetudine del luogho et persona loro": la dote era tutto ciò che potevano - di norma - pretendere dei beni della famiglia. Tagliate fuori dall'eredità paterna (in presenza di fratelli, figli di fratelli o altri parenti fino al 3° grado) le donne carcaresi potevano invece ereditare beni da parte di madre; rimaste vedove, con figli vivi, avevano diritto sola alla "legittima".

Unici "vantaggi" legati alla condizione femminile: la madre aveva la precedenza se si dovesse nominare una tutela per figli minorenni (r. 22) e riceveva dal Comune un donativo di 56 fiorini nel caso mettesse al mondo una coppia di gemelli (r. 27)! (83)

Come sottolineato in precedenza, queste norme non si discostano molto da quanto previsto negli Statuti dei paesi vicini  né avrebbero potuto logicamente farlo. Le differenze sono in genere marginali: ad Altare, per es., la donna non aveva bisogno del consenso del marito per contratti inferiori a sette lire, cifra con la quale si poteva comunque affittare un campo, a Cairo poteva ereditare dal marito purché non vi fossero altri figli ed era ammessa la donazione reciproca fra coniugi secondo una prassi già presente nel diritto romano, ancora ad Altare la donna rimasta vedova perdeva il diritto alla tutela dei figli qualora fosse passata ad altre nozze (84), a Bardineto la ragazza che si fosse sposata senza consenso di padre, madre o fratelli perdeva, di norma, il diritto alla dote.

10. Conclusioni e confronti

Gli Statuti carcaresi sono solo una delle tante raccolte statutarie dell'’epoca. Possiamo quindi chiederei come si collocano nei confronti degli altri e quale tipo di informazioni ci possono offrire sulla vita carcarese dell'inizio del '600.

Nelle pagine precedenti abbiamo già fatto alcuni confronti con Statuti di paesi vicini, altri ancora se ne possono fare. Si può notare, per esempio, come negli Statuti carcaresi il ricorso a pene corporali non sia molto frequente: esse venivano applicate a reati coma la bestemmia reiterata (fustigazione, lingua trafitta con un chiodo), la disubbidienza ostinata e grave alle prescrizioni degli Ufficiali di Sanità (pena di morte), l'omicidio (pena "afflittiva del corpo" estensibile fino alla "morte naturale del reo", l'attentato con armi da fuoco (pena di morte), il furto (berlina, fustigazione, pene corporali "ad arbitrio di S.E".: il brigantaggio a mano armata (forca), la violenza e lo stupro (pena di morte). E' un elenco che può sembrare lungo, ma che risulta invece meno pesante rispetto, per es., alle pene previste a Millesimo (85) o a Calizzano (86). Manca soprattutto, pur contemplando essi la pena di morte, quella concezione della pena come terribile esempio da impartire agli altri, quella corrusca e sanguigna grandiosità della violenza vendicatrice, così tipicamente medioevale, presente in tanti altri Statuti: amputazione di mani, nasi ed orecchie, marcatura a fuoco sulla fronte, squartamento del corpo con conseguente "affissione di ogni quarto in luogo eminente sopra le strade doue si è commesso il delitto, acciò resti esempio alli viandanti et alli altri" (87) sono assenti negli Statuti carcaresi 'che hanno anche in questo un aspetto più moderno.

Al contrario è in essi presente una certa approssimazione, un delegare la decisione all’ 'autorità e al suo arbitrio non vincolato da norme inflessibili e codificate: decentramento, quindi, e/o flessibilità, che però potevano anche talvolta tradursi in arbitrii e ingiustizie.

La stessa sinteticità degli Statuti carcaresi, che possono essere visti come un compendio comprendente solo le norme principali, da integrarsi in settori specifici da pane delle autorità locali, ci impedisce purtroppo di dedurre da essi quel mosaico di piccole notizie sulla vita, la società, l'economia carcarese del '600, che invece possono ricostruirsi, più o meno compiutamente ma sempre in modo più ampio che per Carcare, tramite gli Statuti di altri centri valbormidesi. Dalle raccolte statutarie di Millesimo, Cosseria, Cairo, Altare, Calizzano, Bardineto, Pallare veniamo infatti a conoscenza di tante notizie sui commerci, i traffici, la pastorizia, lo sfruttamento dei boschi, i contratti di affitto. Apprendiamo particolari sulla coltivazione della vite e della canapa, sulla pesca nel fiume, sugli obblighi cui erano tenuti fornai, macellai, commercianti, su fiere e mercati, perfino sul "codice della strada"(88) e sulle norme antì-inquinamento che tutelavano con severità, allora, la salubrità dell'aria e la limpidezza delle acque della Bormida di Cengio.

Nulla di tutto ciò emerge invece dagli Statuti carcaresi del 1600 che, da questo punto di vista, restano purtroppo del tutto muti ed anonimi.



NOTE
42) In realtà il numero totale delle rubriche doveva essere più alto di 4 unità: l'indice presente in calce al manoscritto indica infatti quattro capitoli ( de non tenendo canas iustas, de mulieribus non administrantibus bona filiorum quae contraxerunt secundas nuptias, de anseribus inventis in damno, de ratione reddenda per iuratores) che non sono stati riportati, probabilmente per dimenticanza, nel testo

43) Prima, ovviamente, per quanto finora si sa: non è infatti impossibile, anzi è probabile, che esistesse una raccolta statutaria anteriore al XV secolo

44) La prima concerne limitazioni nella possibilità di vendite di beni immobili, la seconda fissa nuovi termini (10 anni) per l'instaurarsi dell'istituto della prescrizione, la terza ribadisce . in linea di massima . l'impossibilità per la moglie o la madre di colui che muoia "ab intestato" di essere ammessa all'eredità, l'ultima riguarda le ragazze non ancora maggiorenni (la maggiore età si raggiungeva a 25 anni) che si fossero sposate "sine expressa licentia" del padre o dei fratelli mancando il padre: per esse si disponeva l'esclusione dal diritto al/a dote e all'eredità.

45) Fra la seconda metà del XVI sec. e l'inizio del XVII molte raccolte statutarie di paesi della Val Bormida furono sottoposte a revisione per essere adattate al/e mutate condizioni dei tempi: fra tutte ricordiamo gli Statuti di Cairo (riformati nel 1604), di Pallare (1539), di Calizzano (1600), e di Altare (1573

46) La prima rubrica degli Statuti del 1602 fa riferimento ad un "soprascritto decreto" che in realtà non è riportato nè nella copia conservata nella Biblioteca Reale di Torino né in quella servita per questo lavoro. E' possibile che tale decreto fosse l'atto ufficiale col quale veniva deciso, o presentato; questo nuovo corpus statutario.

47)"Generale riforma de Statuti, capitoli et ordinamenti del luogho di Calizzano dell'anno 1600'; stampati a Balestrino, 1704. Ci pare interessante riportare per intero il "Proemio" di tali Statuti: "Conviene, et è proprio d'un vero Prencipe, investigar e desiderar in ogni tempo li commodi dei suoi clari et fedeli Sudditi, anzi desiderar non leve fatica per apportar perpetua quiete al suo diletto et amato Popolo, del che non scordevole l'Eccellentiss. Sig. Sforza Andrea Del Carretto, Prencipe et Marchese del Finale, Signor di Calizano, etc. di felicissima memoria conoscendo per sua vecchiezza avvicinarsi a render il debito di natura (e li suoi cari, e diletti Sudditi da prencipi circomncini esser sperati a quisa di smarrite e perdute pecore), mosso da paterno affetto risolse di raccomandarli et appoggiarli alla Maestà del Potentissimo e Catbolico Philippo III Re di Spagna, bara benignissimo nostro Signore, aciò li difendesse da violenza, et protegesse. Et havendo a nome di detta M. C. l'Iliustriss. et Eccelientiss. Sig. Conte di Fuentas, Governatore e Generale Luogotenente nel Stato di Milano, per detta Maestà mandato l'Illustriss. Sig. D. Pietro de Toledo Governatore nel Marchesato di Finale prendesse il giuramento di fedeltà dalli Huomini di Calizano come in effetto è seguito con infinita allegrezza e desiderio del Popolo, et all'incontro promesso, che S M. o sia S.E. confirmerà li Statuti, Conventioni, Privileggi, Prerogative, Immunità, buone usanze e consuetudini concesse, avute et seguite fra l'Illustriss. Sig. Carretti et Huomini di Calizano. Per questo (seguono i nomi dei Consiglieri di Calizzano) consiglieri ai quali spetta proveder e consultar all'indennità del publico e ricercar l'utile e servitio alla Communità (..) hanno con consenso di tutto il popolo aboliti, corretti, riformati e di latino in lingua italiana tradotti et ridotti li antiqui Statuti di questo luogho nel presente volume”(. . .).
Gli Statuti di Calizzano sono stati ristampati anastaticamente dal GRi.FL. di Rocchetta Cairo nel n. 4 della collana di "Studi e documenti valbormidesi".

48) Ne esiste una copia, per es. sia all'Archivio di Stato di Savona, sia alla Biblioteca Reale di Torino.

49) Le varianti principali tra la copia pubblicata e quella torinese (d'ora innanzi identificata con BRT) verranno evidenziate nelle note in calce al testo.

50) Cairo (1604), Bardineto (1479), Monesiglio (1492), Altare (1573), Pallare (1539).

51) Per un confronto più puntuale v. per es. dell'A. "Gli Statuti di Millesimo, aspetti di vita medioevale valbormidese", Comunità Montana "Alta Val Bormida", Millesimo 1987.

52) Negli Statuti di Bardineto le norme attinenti alla campagna occupano il 41% del totale, in quelli di Cairo il 34, ad Altare e a Millesimo il 30, a Carcare negli Statuti del 1433 il 33%.

53) Ricordiamo che proprio al passaggio dei nostri territori alla Spagna è dovuta la venuta a Carcare di san G. Calasanzio e la conseguente fondazione, nel 1621, del "Collegio delle Scuole Pie che tanta importanza avrà poi per l'intera Val Bormida, non solo in campo religioso, ma anche in quello sociale e culturale: la stessa attuale esistenza e Carcare di un liceo classico (e conseguentemente scientifico) è una diretta conseguenza di tale presenza.

54) Anche in questo caso gli Statuti carcaresi, non prevedendo una pena prefissata, si mostrano più elastici e flessibili (nonché più: rispettosi delle autonomie locali) rispetto a quelli dei centri vicini.

55) Come si è detto, Carcare era diviso in due "borghi" o contrade. quello "verso Savona'; corrispondente all'attuale via. Castellani, e quello "verso Cairo" (v. Garibaldi).

56) La terribile epidemia di peste che si abbatté sull'Italia settentrionale nel 1631 fece, per portare un indicativo esempio 170 morti a Carcare e oltre 500 a Cairo (v. qui  https://leonelloblog.blogspot.com/2024/01/la-peste-del-1631-in-val-bormida.html#more

57) E’ questo un commento interessante, dovuto al buon senso di chi ritiene indispensabile spiegare il perché di una legge certo rigorosa ma, per il tempo, necessaria. Questo tipo di interventi di "commento", incentrati su un comune buon senso, si riscontra con una certa frequenza negli Statuti carcaresi.

58) Sempre che tale presenza non venisse contemplata, nel 1602, da qualche "bando campestre" a noi non noto.

Tale frase si ritrova identica negli Statuti di Calizzano (r. 51).

E' difficile stabilire il valore attuale di scudi, fiorini ed altre valute ricordate dagli Statuti. A titolo puramente indicativo possiamo ricordare che a Cosseria, in quegli anni, un manovale guadagnava in media un fiorino e mezzo al giorno, mentre lo scudo poteva valere, a seconda dei tipi ora 9 ora 40 fiorini (quello d'oro). Un sacco di grano valeva dai 4 ai 7 scudi (di quelli da 9 fiorini, cadauno ), un "bronzo" (pentola in bronzo ancora presente nelle nostre cascine, una volta usata per preparare il cibo per gli animali) valeva 90 fiorini, cioè poco più di due scudi.
Non si contava in esse il periodo delle cosiddette 'ferie" che erano i giorni non del riposo ma del lavoro più pressante, destinati a mietere il grano e alla raccolta delle castagne. Entrambi questi periodi duravano 25 giorni.

62) E' ovvio che la ripartizione delle rubriche di uno statuto secondo categorie moderne (codici civili, penale, etc.) è alquanto soggettiva, sia perché le denominazioni utilizzate sono - ovviamente - personali, sia perché la stessa norma può essere compresa in campi diversi. Se però si estende tale metodo comparativo a più raccolte statutarie, esso può avere una sua utilità almeno intrinseca.

63) Per stabilire un confronto con Statuti più o meno contemporanei di paesi vicini, possiamo ricordare che quelli altaresi del 1573 riservano a quello che abbiamo definito "codice civile" il 36% delle loro norme, quelli di Millesimo il 28%: Bardineto il 20, Cairo il 27%. Negli Statuti carcaresi del 1433 Il codice civile costituiva il 32% delle norme.

64) A questo proposito gli Statuti di Millesimo e Cosseria del 1580 salvaguardavano anche "i buoi et strumenti per lavorare la terra".

Anche in questo caso gli Statuti di Carcare ci sembrano tutelare maggiormente la parte più debole (nella fattispecie il debitore) rispetto a quelli contemporaneamente in vigore nei paesi vicini, per esempio a Millesimo ove era semplicemente previsto (r. 46) l'obbligo per il creditore di "custodire a proprie spese il debitore" senza fissare con precisione il quantitativo minimo di cibo che era tenuto a passare all'incarcerato.

67) Ricordiamo che l'economia della zona si basava allora, escluse alcune ferriere, quasi esclusivamente sulla campagna.

68) Nella Val Bormida medioevale e post-medioevale appare generalmente limitato il latifondo (a parte eccezioni costituite da terre in mano ai feudatari o a grosse fondazioni monastiche) e la proprietà immobiliare è ampiamente frazionata. Da ciò deriva l'importante effetto che, nel medioevo, l'economia della zona, quasi esclusivamente agricola, vedeva la grande maggioranza dei contadini proprietari del pezzetto di terra che gli stessi coltivavano: fenomeni come la mezzadria e il bracciantato agricolo sembrano quindi assai limitati in Val Bormida con tutte le conseguenza positive che da tale assenza derivano. Radice di questo fenomeno, che dovrebbe essere verificato ed adeguatamente studiato, potrebbero essere cercate, a mio avviso, proprio nella tutela della proprietà offerta dagli Statuti e nel meccanismo dell'enfiteusi, che con i suoi lunghi tempi poteva - di fatto - sbriciolare le grosse proprietà, specie quelle ecclesiastiche. La situazione cambierà in peggio, soprattutto per alcuni paesi, dopo la guerra dei 30 anni, (1618-1648) e in seguito alla gravissima crisi conseguente all'invasione napoleonica.

69) Ad Altare 8%, a Millesimo 14%, a Cairo 13%, a Bardineto 11%, a Carcare (negli Statuti del 1433) 7%.

70) Ovviamente su questioni locali e di tipo principalmente amministrativo.

71) C'è però da sottolineare che l'esistenza di una norma di legge non garantiva affatto che essa venisse poi, sempre e comunque, applicata: molto spesso la realtà era assai diversa, non solo era possibile I'incarcerazione senza eccessive formalità, ma si usava anche la tortura per strappare confessioni più o meno sincere

72) V. gli Statuti di Millesimo e Cosseria in cui, per portare un indicativo esempio, il furto di un grappolo d'uva era punito con la multa di due soldi, quello di due grappoli con un 'ammenda di un grosso, oltre i 4 grappoli 1 fiorino di multa "e se si tratti di uva moscatella paghi il doppio" (r.95)

73) La berlina uno strumento di punizione consistente in una tavola con tre fori net quali si facevano passare testa e braccia del condannato, che veniva poi esposto alla derisione della gente nella piazza per un certo periodo di tempo: si trattava quindi di una punizione più morale che fisica ma, forse, non meno bruciante. Gli stessi Statuti, alla rubrica 40, ricordavano che "la Comunità sarà tenuta a far fabbricare le berline ed attaccarle in le due piazze del mercato in luogo evidente". Da questa norma veniamo incidentalmente a conoscere l'esistenza di due piazze (e di due mercati) a Carcare: probabilmente una era situata ai Piedi del castello, grasso modo dote si trova tuttora la piazza principale del paese, l'altra - forse - a Bugile.

74) All'inizio del 1600 Carcare si trovava sotto. la Spagna insieme a Pallare, Bormida e Calizzano; Altare e Cairo facevano parte del Marchesato. del Monferrato (il confine correva lungo il torrente Nanta); Millesimo, Plodio e Cosseria erano feudi imperiali sotto i Del Carretto. Carcare era quindi un crocevia fra Stati, naturale luogo di transito per tanti banditi, ladroni a disperati.

75) A partire dall'alto medioevo, quando incominciò a decadere la via Aemilia Scauri, e fino .all'epoca napoleonica divenne in pratica impossibile andare in carrozza, per esempio, da Carcare alla costa a da Millesima a Ceva. Nel 1666 gli Spagnoli realizzarono. una grande strada .(la "strada Berreta") da Finale ad Alessandria attraverso Bormida, Carcare, Cairo ma già dopo non molti anni il sua tratto appenninico non era più carrozzabile per mancanza di manutenzione.

76) Gli Statuti di Carcare sana assai sintetici anche in questa settore, specie se confrontati con quelli contemporanei di Millesimo e Cosseria. In questi paesi "li ritrovati in adulterio" erano. condannati, la prima volta, ad una multa di 5 Scudi: se ci riprovavano la pena era raddoppiata Se poi "qualcuno maritato stuprasse vergine", multa di 25 scudi più l'abbligo, per lo. stupratore (ma meglio. sarebbe definirlo seduttore, in quanto il temine "stupro" si estendeva a qualsiasi atta sessuale compiuto - fuori dal matrimonio - anche con una fanciulla consenziente) di costituire una congrua dote per la ragazza. Multa e obbligo di dote valevano però se non ci fosse stata violenza da parte dell'uomo, cioè nel caso in cui lui ''con preghiere e lusinghe l'avrà fatta cascare". Se invece al posto di preghiere e lusinghe fossero state usate le maniere forti, al violentatore sposato "li sii tagliata la testa", mentre per quello non sposato si aprivano due alternative: a sposare la ragazza, beninteso. "sempre che essa lo chiami", altrimenti doveva costituirle una dote "e non di meno gli sia tagliata la testa” (r. 132).

A Calizzano, invece, gli Statuti del 1600 facevano distinzione, nel casa di violenza, fra donne “per bene” (violenza punita con la vita) e pubbliche meretrici (violenza punita "all'arbitrio del Sig. Governatore"). . 77) La bestemmia era punita (almeno teoricamente: non sappiano. se poi avvenisse anche in pratica) in modi più a meno analoghi anche in altri centri della Val Bormida. a Bardineto. frustate e marchiatura a fuoco, berlina a Millesimo. Ad Altare erano invece previste pene diverse a seconda dell'indirizzo della bestemmia: 5 soldi per chi avesse bestemmiato “Dio o la Beata Vergine", 2 per "colui che biastemerà li altri Santi". Sempre ad Altare era previsto l'esilio per colui che non avesse potuto pagare. A Calizzano la punizione consisteva in "tre tratti di corda o due ore di berlina", a Cairo. in una triplice immersione nel fiume "ubi fuerit grossus". stessa pena a Carcare negli Statuti del 1433.

78) Le osteria erano. off-limits anche a Calizzano, almeno per quelle persone che "per il vitio della crapula spendono nelle taverne tutto quello che con molta fatica guadagnano, con il quale doveriano agiustare e sovenire sue povere moglie e famiglie" (r. n. 100).

Tali norme erano presenti anche a Carcare negli Statuti del 1433,

In questo paese gli Statuti del 1600 impedivano anche di tenere in casa delle concubine (oggi si chiamerebbero amanti), pena la multa di 50 scudi e "se sarà ostinato si ponerà in prigione",

81) Alta è infatti la percentuale dei capitoli riguardanti espressamente la campagna e la sua tutela: i136%. delle rubriche negli Statuti carcaresi del 1433, iI 30% in quelli di Altare e Millesimo, il 34 a Cairo, il 14 a Calizzano, i141 negli Statuti di Bardineto. Sugli Statuti di Cairo v. C MIGLIARDI Notizie sugli statuti di Cairo Montenotte, Cairo 1929 pp. 1 -l8; E. ZUNINO, Cairo e le sue vicende nei secoli, Cairo 1929, pp. 115-131; su quelli di Calizzano C. LASAGNA, Le origini della Comunitas di Calizzano e i suoi statuti, in Atti della Società savonese di Storia Patria, 1957; su quelli di Bardineto G. BALBIS, Bardineto: una comunità liguremontana alla fine del Medioevo, in Rivista Ingauna ed Intemelia ns. XXVIII/XXX, 1/4, Bordighera 1978, pp. 19-45 e F. CICILlOT, Val Bormida tra medioevo ed età moderna, in Atti del P Convegno storico Valbormida e riviera Millesimo, 1985, pp. 65-72.

82) E' facile immaginare quanto dovesse essere dura, spesso provvisoria, la vita per una popolazione che traeva il suo sostentamento principalmente dai campi in un'epoca in cui non solo la resa agricola era molto bassa (non si raccoglieva, quando andava bene, più di quattro volte la quantità seminata) ma anche alcuni prodotti agricoli di origine americana erano assai poco diffusi (mais, pomodori) altri ancora - come le patate - del tutto sconosciuti, Facili quindi le carestie in un'economia agricola basata principalmente su castagne, vite e poco grano.

83) A  proposito della "condizione femminile" negli  statuti può essere utile sottolineare come queste norme, che - per es- - limitavano nei fatti la possibilità per una donna di accedere all'eredità paterna, norme per altro comuni in pratica a tutti gli Statuti valbormidesi e derivanti più o meno direttamente dal diritto comune  (A Millesimo, per es., la donna una volta ricevuta la date non poteva più avanzare ulteriori pretese sull'eredità; sposandosi passava dalla tutela del padre a quella del marito, che doveva dare ti suo assenso ad ogni contratto dalla stessa stipulato. A Calizzano. le norme erano. uguali: la donna non poteva far contratti senza l’intervento di marito a parenti che "giurino non essere in fraude della donna" (r. 25) e una volta dotata non poteva pretendere altro (r. 37); norme analoghe, infine, anche negli Statuti di Cosseria ed Altare.) - non sembrano essere basate tanto su una più o meno consapevole volontà di discriminazione della donna in quanto tale, quanto sulla prioritaria preoccupazione, caratterizzante tutti gli Statuti della zona, di garantire la proprietà, il mantenimento nell'ambito della stessa famiglia dei beni privati (leggasi campi, prati e boschi) impedendo che essi potessero passare, per via di eredità in mano ad un'altra famiglia. Non quindi, almeno nelle intenzioni, una conclamata disuguaglianza giuridica della donna perché donna, ma solo un forte accento messo sulla salvaguardia della proprietà privata. E non è da dimenticare come già in precedenza sottolineato, come questa proprietà privata, costituita quasi esclusivamente dal possesso della terra a fini agricoli, fosse in Val Bormida generalizzata (magari proprio anche in conseguenza di questi Statuti?) determinando, come si è detto, l'esistenza di un forte strato di contadini - proprietari: (v. n. 68), Più tardi situazione cambierà in peggio, a tal punto che a Mallare, per riportare un indicativa esempio, nella 2a metà del '800 si canteranno quasi 500 "nullatenenti".

84) A Carcare una norma del tipo esisteva negli Statuti del 1433, per i quali la vedova che si fosse risposata perderà il diritto a godere dell'eredità del marito.

85) In questo paese venivano puniti con pene corporali i seguenti reati: giurare il falso (marchiatura a fuoco), uso di false misure (''paghi nel corpo ad arbitrio degli Ill.rni Sig.ri"), furto. (fustigazione e marchiatura a fuoco), furto con scasso (amputazione della mano destra), furto su strada (impiccagione), recidiva per furto su strada (squartamento del reo), omicidio (pena di morte), stupro (pena di morte ), falsa testimonianza ( amputazione di naso e/o orecchie), falso in atto pubblico (amputazione di un membro a scelta del giudice), falsificazione di monete (pena di morte a amputazione di una mano).

86) Qui venivano perseguiti con pene corporali i seguenti reati: lesioni (due tratti di corda in pubblico), turbata proprietà (tre tratti di corda), gozzovigliatori e scioperati (tre tratti di corda), bestemmia (due ore di berlina o fustigazione ), condotta "inhonesta" da parte di donne (fustigazione), falso in atto pubblico (pena corporale "ad arbitrio del Sig. Governatore"), stupro (pena di morte), procurato aborto. ( 'decapitazione), omicidio (pena di morte), omicidio a scopo di rapina (squartarnento del reo)

87) Statuti di Millesimo, r. 124, Calizzano, r.86

88)  A Millesimo esistevano, nel 1583, divieti di accesso e di transito per i carri in certe strade.

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TESTO  DEGLI  STATUTI  DI  CARCARE  DEL  1602

STATUTO DELLE CARCARE

1602

 

1. Del Podestà e suo officio

E prima hanno riformato e statuito. conforme al soprascritto decreto, che il Podes, che per l'avenire sarà elletto a tal officio per l'eccellenza di detto Sig. Ill. mo, ò successore di quella biennale, debba giurare l'officio suo innanzi il  Consiglio del luogo, in absenza di ([1])  ò successore, et di far  rettamente ad honore di Iddio, dei supperiori a ([2]) quiete e buon vivere di tutti con osservare gli infrascritti Statuti et in appresso la Legge Commune, et prometterà di stare a sindacato, dando sigortà nel presente luogo idonea, ò luoghi vicini del Dominio, sotto pena di scuti cento, applicanda per metà alla Camera Dominicale, e per l'altra mettà all'Università, stando in sindacato giorni otto fin in quindeci innanzi il sindacatore deputando da SE. ò successore, il quale procederà publicato prima il sindicato nel luogo, attesa la sola verità, et de plano, in detto tempo, e finirà ogni caosa pertinente detto sindicato senza reclamazioni et appellazioni, eccetto in caso d'ingiustizia notoria et quando non fosse successore in detto officio il detto sindacatore in tanto farà l'ufficio di detto Podestà in tutto come sopra, a carico de quali sarà respettivamente possibile per oviare ad ogni disordine e procedere di giustizia in tutte le occasioni che occorrono in detto mercato, senza figura di giudizio et de plano.

2. Delli Giurati e loro officio

Inoltre ogni anno l'Università al solito elleggerà quatro Giurati et otto di Conseglio d'età d'anni venticinque almeno, i quali innanzi i predecessori suoi, in mano del Podestà, e sopra gli Evangeli, giureranno d'esser fedeli a SIG. ILL. MO. e suoi successori, far l'officio loro rettamente, et potranno tali Giurati, et ciascuno di loro, comparare in giudicio, domandandolo ed essendo conuenuti, in le caose dell'Università, senza altro mandato, et potranno imponere le taglie, al solito deliberarle, et incantarle al solito, et saranno obbligati ([3]) in solido con quelli a chi delibereranno dette taglie, che s'intenda ancora in la deliberazione della biada dovuta al castello. Dichiarando che essendo cbiamati i Giuratori e Consiglieri, et che di tal citazione consti per scrittura, che quelli, che compariranno o saranno presenti in numero di otto almeno, possino con le due terze parti de' voti deliberare e provedere in le cose spettanti al loro officio et come sopra possano e debano ogni anno accordare un maestro di scuola per 'il pagamento che a loro parerà, et elleggere gli infrascritti ufficiali et altri soliti; et doveranno tenere i conti dell'amministrazione loro con buona scrittura, et potranno spendere senz'altra deliberazione dell'Università ò Consiglio fin ad uno scudo in due, anche al primo consiglio debbano partecipare tal spesa a quello et metterla in scritto, et che poi finito l'officio loro dentro a otto giorni debbano offerire et aver dato i suoi conti e reliquato del loro debito et non saranno elletti ad alcun officio che prima' non habbino dato detto conto, et pagato; et che poi per quattro anni a venire non possino esercitare simile ufficio, come anco si intenderà di tutti gli altri ufficiali pubblici e di compagnie rispetto al render conto alla persona ([4]) ed ad essere elletti di nuovo, et non facendo questo oltre l'esser sempre tenuto a offerire et pagare come sopra, cadino ciascuno di loro in pena di scuti dieci, committenda ipso iure senza remissione alcuna alla  Communità, et che non possino esser uditi né intesi in sorte alcuna, né  publica né privata, che prima non abbino pagato la detta pena e reso i detti conti col reliquato. Detti Giuratori col Podestà potranno intendere et terminare de plano e senza reclamazione il giudizio possessorio di tutte le servitù delle rovine di case tra vicini, delle finestre, accostamenti dell'una alla altra le quali non patiscono dilazione, e ricercano provisione pronta, salve le raggioni delle parti nel petitorio. E terranno in loro potere una misura, o misure, e pesi ben ordinati, alla regola de' quali tutte le altre misure ò pesi privati si regoleranno per detti Giuratori ò altri Ufficiali deputandi a quest'ufficio, a cura dei quali sarà che le misure siano, e si mantenghino senza attacchi, i quali in simili caose procederanno de plano e senza reclamazione, purcbè l'ingiustizia non sii notoria, et in tal caso il Podestà doveprovedere in dette reclamazioni procedendo de plano come sopra.

3. Degli Officiali della Sanità

Ogni anno si ellegeranno due  officiali di Sanità, i quali giureranno il loro officio, come i Giurati,  secondo gli ordini, che per il tempo saranno fatti in questo da SIG. ILL. MO. ò da successori, eserciteranno detto ufficio con tutta quella possanza che da detti ordini Le verrà data, procedendo de plano e castigando, come le sarà concesso dagli ordini, con intervento del Podestà nelle cose ardue et importanti, a quali sarà data ubidienza intiera, massime in tempo pericoloso, sotto ogni pena arbitraria a SIG. ILL. MO., ò  successore, fino alla confiscazione di tutti i beni e vita, e di più saranno riveriti sotto la pena sudetta, poicbè dove il pericolo é maggiore, tanto più é necessaria l'ubidienza e riverenza.

4. Delli Maestrali

S'ellergeranno al solito due maestrali, l'ufficio de quali giurando, come sopra, sarà il rivedere, riconoscere e dar regola al pane, e vino che si vende nel luogo, e di fare che i pesi e misure siano giuste, e potranno punire, conforme al solito, et occorendo l'occasione doveranno ricorrere al Podestà e Giurati, i quali d'accordo potranno provedere e castigare a loro arbitrio senza reclamazione.

 

5. Delli Deputati sopra le strade

S'ellegeranno al solito due ([5]), l'officio de quali, giurato come sopra, sarà che le strade, o vie pubbliche, e massime de i Borghi, si conservino, rifaccino et accomodino per ciascuno innanzi le loro case e possessioni, levando opietre et altre immondizie e portandole in luogo che non impaccino e conveniente, sotto la pena che parrà al Podestà e Giurati. E detti ufficiali quando non tenghino cura in questo diligente, possino essere castigati dal Podestà in le pene che a loro conveniva procurare che gli altri faccessero.

6. Della Dettenzione de Debitori, e sequestri delle cose d'altri, e di non acquistare ragioni de forastieri contro gli huomini del Luogho.

Ciascuno del luogho pretendente contro forastieri, ancora cbe non obligati  in forma camerale, o  cbe non fossero sottoposti alla giurisdizione del luogbo, possa dettenere tali forastieri e beni loro civilmente, conseguandoli  al Podestà subito, e dando sigurtà delle spese, danni et interessi del detenuto, ò a cui sarà fatto il sequestro ne beni, se fra giorni octo, prorogabili fino a quindeci in arbitrio del Podestà, non proverà il credito suo efficace in tutto o in parte, e in tal caso il Podestà tasserà le spese, danni et interessi de sudetti, a quali in dette caose farà giustizia espedita contro tali detentori o sequestratori, e sigurià loro con la maggior brevità che sarà possibile, e senza reclamazione alcuna. Procederà poi in la caosa sommariamente, citato il detenuto o  auisato il padrone dei beni in persona di cui haverà tali beni appresso ò per voce di grida ad assistere al giudicio e verificandosi il credito condannerà il detenuto ò espedirà il sequestro, facendo incantare e vendere detti beni sequestrati nella forma cbe si dirà di sotto in la esecuzione delle sentenze et instrumenti publici, et i debitori potranno appellare come similmente si dirà a suo luogo. E dando sigurtà potranno sempre deliberare le persone e beni loro, e l'abilità della sigurin tutti i casi sudetti sain arbitrio del Podes, il quale sarà tenuto del proprio accettando sigurtà non idonea. Alcuno del luogo in nessuna maniera accetti o aquisti cessione de raggioni da persone forastiere contro gli huomini del luogo, senza il consenso de tali huomini, e non consentendo, con volontà e consenso del Podestà, quando occorri giusta caosa di tali cessioni, e quando si facessero diversamente il Podestà in nessuna maniera ascolti o odi tal cessionario, li facci giustizia in conto alcuno.

7. Delle Cause delle Mercedi, Pensioni e Taglie e Biade

Il Podestà a tutti quelli cbe prettenderanno il pagamento delle opere, ò salarii ò crediti di bottega cbe vendi al minuto, sarà tenuto fare giustizia de plano senza scrittura, e crederà secondo la qualità delle persone, e circostanze verisimili, essendo di buona voce, condizione e fama i pretendenti, secondo il giuramento loro sino alla somma di uno scudo fino a tre, et agli osti fino alla detta somma contro gli ospiti; et in dette caose non ammetterà appellatione ma procederà all'esecutione dettenendo le persone debitrici e vendendo i beni, come si dirà in appresso; altretanto farà nelle cause di Taglie e Biade e debiti publici.

 

8. Delle Caose minime

Il Podesterminerà, udite le parti e fatte le prove, presente la parte debitrice, ò citata, le caose sino ad un scudo senza processo e scrittura, assegnando al reo termine di giorni tre a riprovare e dire tutto quello che li piacerà, e passato il detto termine fra altri tre dì terminerà dette caose senza appeliatione, o reclamazione, eccetto in caso di ingiustizia notoria.

9. Delle Caose d'un scuto sino in sei

Sopra un scudo sino in sei il ereditare farà scrivere la sua richiesta e si intimerà il debitore a rispondere fra giorni tre a bocca o si citterà ad udire la richiesta del ereditare, et ivi subito confesseo negarà. Et quando neghi il Podestà assegnarà termine di giorni otto all'attore di provare et aver provato, et al reo di riprouar dentro al detto termine ciò che le parrà; e potrà il Podestà prorogare con giusta (causa) allegata in scritto il detto termine a quello che la neccessità e convenienza persuaderà e passato il termine delle prove le pubblicherà ad istanza di una delle parti, assegnando termine commune a queste di otto giorni a dire et allegare tutto ciò che vorranno, e passato il detto termine fra altri giorni otto sarà tenuto a giudicare detta caosa o caose sotto la pena di sindacato in arbitrio di sindicatore, secondo la negligenza di detto Podestà.

10. Delle Caose maggiori

In tutte le altre caose maggiori dall'estimazione di scuti sei, l'attore offerirà il suo libello in scritto, copia del quale si manderà a sue spese al reo un termine di giorni otto a rispondere, e rispondendo si intenderà e si averà la lite per contestata, salvo sempre l'eccezioni dilatorie e perentorie et ogni altra, le quali si intenderanno riservate, e si rivervano al tempo della deffinittiva. Et il Podestà non riceverà dimanda in scritto da procuratori o da altri che interverranno nel Giudicio a nome d'altri che non presentino realmente la procura ò possanza che prettenderanno, e sarà tenuto in l'esibizione delle scritture nominare particolarmente le scritture esibite, il Notare rogato di quelle, notando il tempo del rogato e di tutto quello (che) sarà esibito, ne farà notizia alle parti con dargliene copia. Fatta la risposta suddetta si intenderà ipso iure assegnato termine d'un mese commune alle parti di provare e riprovare et haver provato e riprouato tutto quello che a loro piacerà, salva l'impertinenza nel fine della lite, e salva la prorogatione di detto termine, da farsi conosciuta la caosa e per necessità conveniente, dichiarando che chi dimanderà dilazione maggiore del mese, e non proverà ciò che pretenderà di provare, che come prolongatore della caosa et del giudicio, cada in pena delle spese di tutta la lite fatta fin a quel giorno, e passata il termine del mese, e la prorogatiane di quella come sopra, si intenda pubblicata il processo e testimoni esaminati per l'una e l'altra parte et il Notaro o Podestà senz'altra solennità possa e debba dar copia dell'attestazioni alle parti, e senz'altro fatto del Giudice. Passata il termine suddetto si intenda statuito termine perentorio alle parti di aver esibito ogni scrittura, provato circa quelle e con quelle e riprouato contra le prime prove, in termine di giorni 15. E passati questi si intendi fatta la conclusione in caosa, doppo la quale le parti possino solamente allegare in iure e domandare consiglio di savio, secondo il quale il Podestà poi babbi a giudicare, con dare la lista de confidenti suoi nella domanda che alcuna delle parti farà, e con deponere realmente il salario del Consultore, avvisando l'altra parte a dare lista de confidenti in numero di dieci dottori per parte, dentro a trenta miglia, similmente e a cautela l'una parte e l'altra darà la lista dei sospetti, perciò che non concordandosi le liste passa il Giudice mandare la caosa a cui meglio le parefuori dalli sospetti. E quando in ciò le dessero numero di sospetti eccessivo, il Padestà dove, tenendo le dette liste salve per mostrarle e darne copia a suo tempo, doppo la sentenza, sendone richiesta, mandare la caosa a conoscere a persona fuori di sospetta, Più che potrà in arbitrio suo, agravando in questo la sua coscienza, e sottomettendolo a sindicato, quando usasse malizia o frode in simili cose, e douerà scrivere al Giudice o Consultore elletto, che espedisca la caosa fra quindeci giorni, e la rimandi, ed intanto non pubblicherà il Consultore se non quando le parti si convenissero in questo. Ricevuto il conseglio l'intimealle parti, ed ad istanza di una di loro lo pubbliche, giudicando alla forma di quello, e l'intimealle parti per scrittura etiam ex officiio. Dichiarando che ad istanza delle parti il Giudice passa, e debba, finire e terminare ogni caosa, maggiore o minore, a di che qualità, se voglia; col giuramento decisivo o relativo, se non fosse caosa molto apparente e giusta, per la quale tal giuramento si possa ricusare, poiché tale via é molto facile e larga in finire et ultimare ogni differenza.

Dichiarando ancora che l'istanza di dette caose sia di mesi sei; che comincino dal giorno della prima risposta al libello. Et in dette caose tanto si osservino. le ferie delle messi dal dì che si comincierà a miettere generalmente per venticinque seguenti, et altri venticinque dal dì che si comincierà generalmente a cogliere le castagne, e così dalla Dominica di Passione fino all'ottava di Pasqua (cioè la domenica in Albis etc.) ([6])

11. Del modo di procedere contro li Contumaci

Quando nelle caose minori o sommarie il reo, citato personaliter o per tre volte in famiglia essendo al luogho in giorni separati non comparirà, il Giudice non ostante la contumaccia possa conoscere la caosa e debba condannare col giuramento dell'attore il reo, ed intimare la condanna nella famiglia di quello in scritto, il quale dentro a otto giorni non purgando la contumaccia, con pagar realmente ogni spesa fatta, resti condannato e senza rimedio. E pagando ogni spesa realmente dentro esso termine, possa di nuovo dire dette sue ragioni, e debba essere inteso alla forma de Capitoli precedenti, non ostante la suddetta condanna.

In le caose maggiori, et altre, oltre le suddette, in contumacia del reo dopo la citazione personale, ò lettere in scritto nella famiglia, si procederà alla sentenza in tutto, come sopra, et il termine a purgare la contumacia sarà di giorni venti, nel quale il contumace, e condannato, pagando le spese come sopra, sia restituito in integrum.

12. Dell'Appellazioni

Dentro a giorni otto che sarà stato giudicato et intimato come sopra, ciascheduna delle parti sarà necessitata ad appellare SIG. ILL. MO. ò il Successore, et il Giudice ò Podestà admetter(à), in quanto a sé, senz'altro l’appellazione, esclusi i casi nei quali l'appellazione é stata proibita, et in caso che fossero due sentenze conformi. Et quando SE. ò il Successore, non fosse presente nel luogho, appellerà al Conseglio di savio, et il Giudice l'ammettecome sopra, e poi ad istanza dell'appellante dentro il termine di giorni venti darà ordine che si presentino per l'appellazione ([7]) et appellato i processi loro con tutto quello che vorranno presentare con allegazioni e scritture pubbliche, e non altra cosa, sopra le quali scritture si citterà la parte con termine compettente ad opponere. Et conosciuta la caosa sopra dette scritture, quanto più brevemente sarà possibile manderà i processi per cognizione di terminazione dell’appellazione ad un dottor confidente, non sospetto, in tutto come sopra, il quale finirà, nel termine detto nel soprascritto capitolo, la caosa, avvisandolo detto Podestà in nome et a vicenda di SIG. ILL. MO. ò suo successore non essendo quello nel luogbo, et innanzi il detto Consultore sarà salva ogni eccezione dell'appellato contro l'appellazione. chiarando che non s'ammetteranno l'appellazioni da interloqutorie (sic!) reparabili per la definittiva da sentenze che riservano le raggioni in altro ufficio.

13. Dell'essecuziome delle Sentenze

Ogni sentenza innappellabile o passata in giudicato, o' quando saranno due sentenze conformi in tutto, ò in le parti, dovrà essere eseguita dal Podestà nelle persone, ò beni, del condannato, ò de quali nelle sentenze ([8]), reietta ogni nullità se bene notoria in quanto alla retardazione di detta essecuzione.

Et doppo fatta l'essecuzione si dove potrà dire di nullità della sentenza fra tre anni tanto, e passato tal termine dal dì della esecuzione fatta s'intenderà posto silenzio in perpetuo sopra di quella, tanto per via d'eccezione, come d'azione o officio di Giudice. Per essecuzione delle sentenze si detenela persona del condannato, o dell'erede che non averà fatto inventario, dandole il creditore due fibre di pane sufficiente per ogni giorno, il quale inventario si farà e dovefare con intervento del Podestà, di uomini due da bene deputandi dal detto Podestà, e giuramento loro, che credono che detto inventario sia stato fatto rettamente, citati specialmente i creditori et altri interessati certi e gli altri per gride, per certo giorno o giorni, e luogbi, ò si darà la licenza contro di loro per li beni loro respettiuarnente, reservato la casa dell'abitazione et orto, ha vendo altri beni, i quali si estimeranno per i giuratori  o per due huomini da bene d'ellegersi consiglieri per consigliare il dovere,nominandoli nell'estimo, a quali daranno giuramento. E si daranno detti beni in pagamento alla ragione di due tre per la somma principale, e denaro per denaro per le spese, con termine di mesi tre a poter redimere, pagando il principale e le spese, il che potrà fare anco il parente del condannato, et affine, fin in quarto grado secondo la legge Canonica, i quali dentro all'anno saranno tenuti a restituire al parente suo detti beni, pagando quello la sorte e spese fatte dal suo parente, e affine, guadagnando intanto il creditore alla rata ([9]) i frutti, e così il parente o affine di detto estimo. Et in diffetto di parenti ò affini possa il confine (confinante?) riavere dell'estimo nel modo di sopra, e col carico già detto, prefferendo il più prossimo, e poi l'affine, et all'ultimo il maggior confine, procedendo in simili caose di riscatti per via di precetto e senza strepito o figura di giudizio.

Quando si Pigliassero pegni mobili per l'esecuzione, nel qual caso il debitore sarà obligato a manifestarli sinceramente e realmente tutti, subito e senza dilazione, con giuramento, sotto pena di perdere il beneficio del presente capitolo, tali pegni si incanteranno tre giorni di mercato e si deliberanno a chi più li offerirà, et intanto detti pegni si custodiscano appresso di terza persona sino ad otto giorni dopo la deliberazione alla quale sarà citato il debitore; e non trovandosi le saintimata, perché possa riavere detti pegni con pagar con pagar il debito, et ogni spesa fatta, nel che il Podestà procederà attesa la sola verità e rimosso ogni processo. E poiché alle volte i creditori per patto pigliano i beni e gl'incantano,innanzi di far questo doveranno col mezzo del Podestà far che i Giuratori, o  detti huomini, rivedino et estimino, come di sopra, i beni che vorranno incantar, et non possino deliberare detti beni se non per il terzo meno che saranno stati estimati, con le spese fatte. E non trovando compratori possino gli stessi creditori farsegli aggiudicare alla ragione di due tre oltre le spese, come si é detto, e li debitori, parenti et af[ini e confini (confinanti) possino riaverli, come di sopra, et i parenti siano tenuti a restituirli alli debitori in tutto e per tutto, come di sopra. Dichiarando che i creditori non possino pignorare i debitori nelle vittovaglie necessarie a loro vita, né l'anni et istrumenti necessari alloro servizio, e vesti, mentre che troveranno altre cose in che pagarsi.

Dichiarando in appresso che le doti dovute alli mariti si paghino solamente alla ragione di denaro per denaro senza interesse alcuno se non convenuto, et il simile si farà in caso di restituzione di dote alla moglie, o altri ai quali si dovessero restituire le doti. Gli huomini del luogho fino ad uno scuto non possino essere detenuti nella persona nonostante ogni patto contrario per instrumento.

14. Delle Contradizioni all'estimi ett Essecuzioni

Quando qualche terzo, come la moglie o altri creditori contradiscono e si oppongono all'essecuzioni che si fanno da creditori, se tali terzi haveranno le loro ragioni in pronto, il Podestà conoscerà sommariamente sopra le pretenzioni del terzo, e quando tali pretensioni ricercassero maggiore discussione e cognizione che la sommaria e breve, in tal caso riservando la raggione di detti terzi tale e quale in altro giudicio, procederà il Podestà all'essecuzione tentata et alla vendizione de pegni.

15. Dell'Esecuzione de Instrumenti e Polize

L'instrumenti publici, o polize private, riconosciute dalli debitori o dai testimonii che li haveranno sottoscritte ad istanza del creditore, ò chi averà caosa da lui, habbino l'esecuzione nel modo suddetto delle Sentenze contro il debitore et eredi, e non si possa opponere eccezione alcuna, se non di pagamento, satisfazione, quittazione o compensazione d'altra partita liquida per sentenza o instrumento publico, ò scritture private riconosciute come sopra e falsità. E quando il debitore non compaia nella prima citazione di giorni quatro, si conceda la licenza comparendo et opponendo fra giorni otto debba haver provato ciò che prettende, e non provando e provando, il Podestà fra altri otto giorni debba conceder ò non concedere l'esecuzione, e farla in tutto come sopra.

Quando poi per il modo sudetto il creditore esigesse cosa indebita, il debitore possa dentro all'anno far conoscere tal essazione indebitamente fatta. E quando tal creditore, trattando del fatto proprio, o  sciente di quel d'altri, fosse in colpa, sia tenuto al doppio, e non essendo in colpa, a restituire l'esatto, tanto con le spese. L'istesso si osserverà per l'esecuzione de legati e fideicommissi fatti con scrittura, e quando non fosse stata fatta scrittura possa ciascuno legatario e fideicommissario dar giuramento all'erede, ò ad altri gravati sopra tali legati e fideicornissi pretesi, et i predetti giurino ò paghino detti legati ò fideicommissi o riferino il giuramento a cbi prettende.

Dichiarando che doppo dieci anni gli instrumenti e polize si presumeranno pagate, e soddisfatte, se il creditore é presente e maggiore non averà intanto interpellato il debitore al pagamento, il che potrà provare con dar giuramento sopra ciò al debitore o eredi, quali saranno anco tenuti a giurare sopra li Santi Evangelii d'bater pagato e se saranno gli eredi, di creder cosi, e con buona coscienza.

16. Delli Compromessi

Possi una delle parti domandare dentro il termine probatorio in ogni caosa compromesso in due huomini da bene,ed il Podestà sii tenuto sotto pena di sindicato avisare l'altra parte a nominare persona nella quale, et un'altra nominata dal'aversario se possa fare tal compromesso astringendolo a cfare fra tre giorni, et i compromissarii elletti dalle parti o dal Podestà in contumacia si astringbino, sotto pena arbitraria al Podestà, d'accettare il carico et a giurare l'o fficio, i quali senza esser tenuti ad alcuna solennità ma de bono et equo debbano finire et terminare tal controversia  dentro un mese in loro coscienza, consegliandosene o no, e volendosi consigliare le parti siano tenute, et il Podestà l'eseguisca subito per quanto a somministrare ogni spesa necessaria a detti compromissari per il detto conseglio e loro fatiche, come Più a loro parrà espediente, altrimenti saranno tenuti ogn 'un di loro in solido alle spese fatte in detta lite e che si faranno nell'avvenire. Et dalli loro arbitri non si admetti declamazione o riduzione ad arbitrio d'buomo da bene, escludendo dal compromesso le caose decise per sentenza, giuramento, transazione, testamenti e codicilli et instrumenti pubblici o polize, le quali siano eseguibili, e quando la caosa fosse altrimenti chiara in maniera che si conoscesse che il compromesso fosse domandato per calunnia.

17. De contratti delle donne

Le donne con i padri o mariti non possino far contratto alcuno, o a beneficio loro, con altri, che prima il Podestà non intendi col mezzo d'altri parenti più prossimi la caosa di tal contratto e l'approvi et ne lasci scrittura innanzi di tal contratto.

Quando faccino contratto con altri e il padre, ò il marito morto il padre li consentino e giurino ciò non essere in frode né a lesione della donna, tali contratti vaglino come buoni e fermi se la donna sarà di anni sedici, e non avendo Più padre ò marito ([10]) possino farlo col consenso di due più prossimi parenti, auendone nel luogo, ò altri vicini per miglia sei, i quali giurino tal  cosa non esser in frode o lesione d'essa donna, et in diffetto di parenti, con l'intervento di due vicini huomini da bene, laudati et approvati dal Podestà.

E quando si obbligassero d'altra maniera si presumi sempre tal obligo doloso e fraudolento, a beneficio et utile tanto delle donne et eredi e non d'altri, non ostante che avessero giurato in detti contratti et oblighi.

Escludendo dalla soprascritta provisione l'obligo che facessero per poca somma, come fino ad un scuto in due, per causa del vivere et del seminare.

18. Del modo di dotar le Donne e del modo di Succedere

Quando le donne hanno fratelli da canto Padre e Madre, o da canto Padre solamente o Figlioli de Frattelli come sopra, non succederanno nei beni paterni,  matterni e d'altri ascendenti, ma intanto che anderanno a marito saranno dalli suddetti alimentate e vestite e poi dotate secondo l'uso e consuetudine del luogo e le persone loro, avertendo tali frattelli a trattarle bene e tener conto di maritarie come conviene, percbè non facendolo e passando due anni doppo la morte del padre, oltre l'età di anni ventidue potranno domandar parte nei beni dei suddetti.   r

Et quando tali donne si maritassero, senza il consenso de frattelli o parenti più prossimi, a persone inconvenienti, in tal caso non haveranno se non la dote, che arbitrerà il Podestà con due parenti Più prossimi loro, escludendo da tal arbitrio i frattelli et altri debitori di detta dote.

Morendo poi altri parenti; vivi i frattelli, figli dé frattelli et altri parenti  del sangue fino in terzo grado secondo la legge canonica, le dette donne non succederanno, come escluse dai parenti del sangue, et morendo altre sorelle loro, et avite, si intenderà il simile, ma non gsaranno escluse dà frattelli  uterini dalla successione della madre propria, né dai parenti paterni dalla successione de i parenti materni, nelli detti due casi non parendo conveniente che siano escluse le donne dal succedere a parenti da canto donne,esclusa però la madre e sorelle stanti i fratelli e figlioli dé fratelli et altri, come di sopra.

Di Più le madri, riservata la loro legittima, non succederanno a propri figli o figlie, sopravvivendo altri figlioli o figlie o altri parenti fino in terzo grado.

19. Delle Prescrizioni

Possedendo alcuno con titolo e buona fede qualche cosa immobile per dieci anni, quelli che sono presenti nel territorio o luoghi circostanti a miglia dieci e maggiori di anni venticinque, non possino in modo alcuno inquietare detti possessori, ma siano totalmente sicuri e lasciati in pace, come anche dalli absenti del luogho, passati anni venti, escludendo dal presente capitolo la restituzione in integrum, la quale si riserva in caso della possessione longhissima con buona fede ma senza titolo.

20. Delle Gride sopra le pretensioni d'altri

Quando qualcheduno vorrà o prettenderà, assicurarsi dalle pretensioni che altri possono avere sopra qualche beni, procurerà di fare per grida publica, che S'affiggerà ne luoghi soliti e pubblici, oltre la pubblicazione d'essa in tre mercati facendone la dovuta relazione, denonciare che esso possede tal cosa comprata ò acquistata, dichiarando da chi, et il modo di tale acquisto, e che perciò ogni persona che pretende sopra di quella debba fra un anno comparire e proponere le pretensioni sue inanzi la giustizia con intimarla ad esso possessore, perché non facendolo saranno esclusi da tali pretensioni e sarà posto perpetuo silenzio sopra le cose possedute, et passando l'anno, come sopra rinoverranno tali gride in tre mercati come di sopra con la nuova affissione et appellazione di due mesi, e dipoi il Giudice procederà al perpetuo silenzio contro i presenti e circostanti a dieci miglia, escludendo da ciò i minori et absenti in maggior distanza. Et i compresi nel capitolo non saranno uditi in le pretensioni sue in modo alcuno dopo poi detti tempi ancora che tali pretensioni fossero de futuro e sotto qualche condizione, perciò che doveranno nei soprascritti tempi dedurle in Giudicio e notificarle, che altrimenti facendo saranno sottoposte al presente capitolo e disposizioni di esso.

21. Delli Occorimenti

Il Parente dell'agnazione e poi della cognazione fino in quarto grado secondo la legge canonica, e poi il confin( ante) possono occorrere et avere per se stessi e non per altri le cose alienate dagli agnati, cognati ò confini, preferendo l'agnato al cognato e questo al confine, et il maggior confine all'altro; e questi tali salva la prerogativa suddetta tra loro, intimandosi per grida pubblica in giorno di mercato l'alienazione con affiger la detta notizia alli luoghi soliti, doveranno dentro a un mese dichiarare l'animo loro, e realmente pagare ò deponere, citato l'interessato, il prezzo numerato dal compratore, e promettere e dar idonea sigurtà di pagar a luor tempi il restante al venditore in modo che questo non possa nell'avenire ricorrere con tra il compratore né i creditori di questo habbino ipoteca alcuna in tale cosa occorsa come di sopra, e non facendosi la notizia per grida di tal alienazione i sovrascritti con la prerogativa sudetta habbino tempo un anno all'occorrere compiendo per loro parte à quanto sopra. Et i compratori dentro al mese e l'anno respettivamente non passino ne debbano far miglioramenti in le cose comprate, se non neccessarii, ò sia coltivare al solito le cose comprate, per i quali miglioramenti e coltura avverranno la retensione della cosa comprata come anco la spesa dell'instrumento onesta e non p, purché facendo miglioramenti necessari l'intimino a detti parenti e confini,perché assistino a quelli per loro interesse, et in simili caose si procederà senza figura di giudicio e per via di precetti et attesa la sola veri.

Dichiarando che se si farà frode di contratto a contratto, o nella qualità del prezzo per fugire tal occorrimenti ò chi occorrerà non per se, ma per gli altri oltreché sarà luogo all'occorsione, caderanno in pena delle cose aquisite, et estimazione loro et in la somma defraudata respettivamente, nelle quali cose si procederà alla manifestazione delle fraudi di contratto, del prezzo maggiore e di aver occorso non per sé ma per gli altri, per congetture ed indizi soli, secondo la natura di simili fraudi, et in modo ancora che i tempi prefissi all'occorrimento non passino se non dopo la frode dichiarata dal Giudice, volendo che similmente si occorrino le cose date in rif[accimento et estimate in tutto come sopra, se bene non sono date sotto nome di vendita, perciò che non sia baratta o permutazione vera e semplice, haveluogo l'occorrimento. Escludendo da tali occorrimenti i beni che si danno alle figlie o donne per doti, o in pagamenti di doti alli loro mariti.

22. Delle Tutele e Cure

Restando figlioli minori senza tuttori o curatori testamentari, i parenti più prossimi; e la madre prima degli altri, siano obligati a pigliar la detta tutela e cura dando idonea sigurtà e facendo inventario e facendosi poi concedere l'amministrazione di tale tutela e cura dal Magistrato, e quando questo non faccino, e morissero talipupilli e minori, respettiuamente senza far testamento, tali parenti Più prossimi cadino dalla successione l'uno dopo l'altro, servando che ciascuno babbi tempo tre mesi, secondo l'ordine della prossimità, a domandar tale tutela e cura. Quando non fossero madre o parenti atti a detta tutela o cura, il Podestà, ad istanza di chi sia et ex officio, dia tutt'ore e per tempo curatore a detti pupilli e minori, con che faccia fare le debite promesse da quelli, dar loro sigurtà idonea a far l'inventario e domandare la detta amministrazione doppo osservate le cose suddette ad istanza d'altri, che pretendino contro i minori. Il Podestà possa e debba, in contumaccia di detti minori, darle curatore a quella lite tanto con giura- mento di tal curatore diffendere il minore e fare le cose utili senza carico di far inuentario ma d'avvisare e notificare la detta lite a parenti Più prossimi in scritto. E così facendosi non si possa opponere contro i tutori o curatori dati come sopra cosa alcuna.

 

23. Delle Cure a beni delli Assenti

Occorrendo eh 'altri siano assenti e non si sappia ove siano, ò pur siano lontano dal luogo per miglia dieci ò più, chi pretenderà contro di loro possa far cittare i parenti più prossimi e vicini della loro abitazione e far far pubblici grida affigenda a luoghi soliti che, chi vuole diffendere detto absente, (e) accettare la cura de suoi beni debba fra tre giorni comparire et accettare la detta cura, dar sigurtà idonea e far inventario e poi accettare l'amministrazione di quella, e servato come sopra il Podesfarà fare quanto sopra a chi comparirà a tal fine, e quando non darà curatore ai beni, il qual sia tenuto notificar in scritto a Parenti Più prossimi ogni lite mossa contro di lui, e va!erà ogni atto o giudicio fatto contro di esso.

24. Della Cura delle Eredità Giacenti

 Occorrendo che i beni d'alcuno morto non siano amministrati dall'erede, il creditore,o chi pretenderà in quelli, debbino far citare gli eredi instituiti, ò i più prossimi parenti ab intestato, a dichiarare fra pochi giorni, in arbitrio del Podes, se vogliono o no l'eredità, e non accettandola o essendo contumaci, fatte le gride nei luoghi soliti e consueti, opportune ([11]) procederà in la cura dell'eredità giacente a persona idonea, che facci le debite promesse, dia sigurtà, facci inventario e poi accetti la cura e l'amministrazione di quella, e vaglia (=valga?) ogni atto e giudizio fatto contro tal curatore, intimando quello in scritto ogni lite agli eredi  o estamentari ò ab intestato.

25. Dell'Eredità poche o tenui

Quando l'eredità o beni de'pupilli e minori sono tenui o poche o di poco rilievo, in tal caso le madri e parenti più prossimi non cadino in le pene comminate a loro, purché con officio di pietà abbino la cura debita alle persone di detti minori e loro beni, quantunque non si facesse discerner la cura e tutela, e facessero l'inventario come sopra.

26.Che i Tutori e Curatori con autorità del Podestà e delli Parenti passino procedere all'indennità de Minori

Non essendo SIG. ILL. MO. o il successore nel luogo, il Podestà, ad istanza de tutori e curatori ancora delli absenti o dell'eredità giacenti, con intervento di due o tre parenti più prossimi et huomini da bene, conosciuta la caosa della necessità o utilità evidente di detti minori, absenti et eredità, facendo tutto in scritto, possa concedere l'alienazione di qualche bene o datazione in solutum di quelli per quanto importerà la necessità o utilità di detti minori, absenti et eredità, e possi pagare le doti delle figlie de detti absenti o eredità, o sorelle di detti minori in quanto la necessità e consuetudine del luogo porte, e tutto quello che sarà discretamente fatto nella maniera suddetta dovessere mantenuto e conservato sempre da detti minori, absenti et eredi di dette eredità.

27. Delle Donne che in parto fanno due figli o figlie

La Communità a ciascheduna donna del luogo, et abitante, che partorirà di legittimo matrimonio (!) due creature in un parto solo, pagherà fiorini cinquantasei per ogni volta che tal parto seguirà ad ogni richiesta di quella. Et il Podestà procederà in questo per via di precetto.

28. Delle Opere dovute alla Chiesa, Via e Ponti

Ciascun abitante del luogo sia tenuto a concorrere, senza eccezione alcuna o scusa, alle fabriche della Chiesa, Vie e Ponti, e reparazioni loro, come al rimediare al danno che poresse fare il fiume, dandoli giornate che saranno tassate dalli Giuratori col Podestà e Conseglio, se bene non posse-
dono possessioni nel territorio, e nel tassare il Podestà, Giuratori e Consiglieri baueranno sempre rispetto che chi più può et ha maggior facoltà, di che qualità si siano, conferisca e contribuisca alla rata.

29.Delle Sigurtà et obligati in solido che hanno pagato o sono molestati

Se altri, come sigurtà di chi si sia, o obligati in solidum con altri,haveranno pagato ò saranno molestati in giudico per le sigurtà fatte o per l'obbligazioni in soltidum, il Podestà ad istanza dei suddetti O persone legittime sia tenuto, de plano e senza citazione, conceder l'essecutione contro i principali debitori e gli obligati in solidum per quello che saranno tenuti a chi averà pagato, e provedere all'indennità di chi sarà molestato per ogni via Più facile, non ammettendo eccezione in contrario tanto che sii sodisfatto in l'uno e l'altro caso delli suddetti ([12]), detenendo i debitori principali e sequestrando et incantando i loro beni come meglio le parerà, affinché i suddetti siano soddisfatti o rilevati.

30. De Danni campestri

Sia creduto il giuramento del padrone delle possessioni et al giuramento d'altri che possedono tali possessioni di volontà delli padroni come usufruttarii ò affittanti, ò con altro titolo possessori di quelli, di aver trovato i dannificanti in quelle sia di giorno sia di notte, specificando il nome et il
cognom
e dé dannificanti, Il tempo, giorno et il luogo speciale e particolare del danno dato, et il numero delle bestie e qualità loro, quando i suddetti siano huomini di buona condizione e fama, e non avendo trovato i possessori sia creduto ad un terzo et ancora ad altri della sua famiglia, d'anni quindeci almeno, di buona voce e condizione come sopra, e questo senza altra solennità in prestare tale giuramento e fin alla somma di fiorini venti.

E le pene dei danni saranno ciaschedun anno tassate dalli Giurati, Conseglio e sei Aggionti del lugo, con l'intervento del Podestà con le due terze parti de voti, e la detta tassa si pubblicherà per grida e se ne farà la dovuta relazione appresso gli atti, oltre la emenda di detto danno fino alla somma
sudette. E quando il dannificato pretendesse il danno esser di maggior somma, in tal caso, citato il  dannificante si facci estimare tal danno dai Giuratori ò altri huomini da bene elleggendi dalle parti, et in contumacia dal Podestà, con intervento di due Consiglieri nel modo già detto di sopra nel far l'estimi. Et in le dette caose, data la difesa agli accusati si proceda sommariamente e senza strepito giudiziale, rimossa ogni appellazione o reclamazione sin alla somma di detti fiorini venti.

Non sia l'accusante udito in tali caose che prima civilmente non abbi ricercato e fatto ricercare il dannificante se vuole soddisfare il danno dato et aspettata la risoluzione di quello per tre giorni, e facendo altrimenti cada dalla facoltà di accusare e non si possi accusare dopo il danno dato se non
fra giorni ott
o et il podestà sia tenuto eseguir l'accusa doppo la sentenza fra giorni quindeci,  passati i quali resti la sentenza senza vigore. E quando i dannificanti non havessero il modo di pagare la pena e l'emenda per il danno, saranno puniti nella maniera che si dirà in appresso per le caosa criminali.

Dichiarando che li padri e madri e frattelli maggiori saranno ([13]) per i figlioli, frattelli e sorelle che vivono sotto la custodia loro, et i padroni per i servitori, in quanto saranno debitori de loro salarii.

Quando i dannificanti fossero forastieri saranno citati rispetto alle accuse che si faranno contro di loro per grida in giorno di mercato affiggenda nei luoghi soliti, e si procederà alle condanne, essecuzioni di pene et et emende, et in ogni miglior modo. L'appellazioni in tali caose saranno conosciute per conseglio di savio, in assenza di SIG. ILL. MO. ò successore, e tal conseglio sia servato come se fosse dato da SIG. ILL. MO. ò successore nel luogo come Giudice d'appellazione, e sia aperto e pubblicato per il Podestà.

31. Delle Caose Criminali

Il Podestà a denoncia de Giurati, o querela, o ex officio, procederà in tutte le caose criminali commesse in tempo della sua Podestaria, et per un anno inanzi, procedendo i debiti indizi e visite del delitto, delle quali cose ne dovesempre constare negli atti, e sarà tenuto fare un libro a parte, nel quale tenghi scrittura di tutte le denuncie e querele che le saranno fatte, e presentarlo allo giurati con gli atti della corte nel fine dell'offtcio e detti giurati riceverlo con inventario con tutte le altre scritture, e consegnarlo poial successore in detto ufficio con scrittura et obligo di restituirle a suo tempo; et il Podestà non accetterà querela nella quale non venghi espresso il tempo, giorno et ora del delitto, nome e cognome delli delinquenti e tutte le altre circostanze più particolarmente che si potrà, con  farsi dare i nomi dell'informati non tanto dalli querelanti, quanto da altri denunciatori, e procedendo ex officvium procurerà sempre di certificare più che si potrà tutte le suddette circostanze.

Il Podestà in risse di parole, o fatti dove non sia ferita con sangue, o percossa grave senza querela, non procedeex officio eccetto se tali cose si facessero sedendo pro tribunali ò al suo cospetto fuori di quello, in modo che al tribunale possa e debba solamente rogare testimoniali del fatto con farne scrittura e procederà alle pene come si diin appresso. Di Più data la querela non procederà più oltre.

In le caose criminali leggere non farà processo, che il più delle volte é di maggior spesa che non é la pena del delitto, ma procederà de plano, bastando ch'esamini, sotto la denoncia o querela, i testimonii, non confessando i delinquenti, quelli citati con darle le loro difese, e poi procederà alla sentenza, et in tali caose leggiere non admetterà appellatione alcuna, sarà udito l'appellante, eccetto in caso di manifesta ingiustizia.

Il Podestà contro i bestemmiatori del nome SS di Dio, della Vergine Maria SS ma e Santi, alla presenza sua o a denoncia d'altri, e chi si sia, procederà quanto prima, e punirà tali  huomini, secondo la qualità delle persone, bestemmie e luoghi, e sopra tutto li soliti a simili cose, in pena pecuniaria fino in fiorini venticinque, applicanda parte a opere pie, e parte all'officio, con che se uno sarà condannato una volta in pena pecuniaria e tornerà allo stesso delitto, la seconda volta sia posto alla berlina in luogo pubblico e per tempo notabile, e se poi caderà in simile delitto, sia fustigato per il luogo, o le sia affissa la lingua con un chiodo in luogho  publico et ivi sii tenuto per il spazio d'un ora, in modo però che essendo SIG. ILL. MO.. nel luogho, ò successore, faccia relazione  di tali caose ove cada la pena corporale e si proceda di consenso di quella.

Se in rissa seguiranno parole ingiuriose, pugni, schiaffi o simili percosse senza sangue, cicatrici o livori, l'autor della rissa sarà punito in pena doppia, e l'altro, o altri, da un scuto in tre, in arbitrio  del giudice , rispetto alla qualità delle persone, luogo e fatto. Se con sangue, cicatrici o livori, la pena
sarà di un scuto e mezzo sin a cinque in arbitrio come sopra.

Se non in rissa, ma d'animo deliberato e senza sangue, il doppio, (di quanto si é detto di sopra e con sangue il doppio) ([14]) similmente, eccettuando sempre dalla pena in rissa quello che a difesa havesse fatto quanto sopra, e con armi o bastoni o pietre il percussore in rissa, se non facesse a
difesa sua propria, caderà in la pena, se senza sangue, tassata quando senz'arrni si fa sangue
, se sarà con sangue in la pena tassata nel caso antecedente con sangue, e doppia.

Se d'animo deliberato con armi senza sangue in la pena doppia del caso antecedente, se con sangue della detta pena immediata fino a scuti dieci, quindeci e venti, e personalmente ancora in arbitrio di SE ò successore, secondo la qualità delle armi, il mal proposito, et il fatto et esecuzione del delinquente.

Quando segui alcuna delle cose già dette nella piazza del mercato et in tempo di mercato, le pene si raddoppieranno secondi i casi già determinati.

L'omicidio commesso in rissa sarà punito secondo la migliore e maggior colpa pecuniariamente e col bando, e finalmente quando la colpa fosse prossima al dolo, la pena sarà afflittiva del corpo in arbitrio di SIG. ILL. MO. ò successore, si come l'omicidio fatto a necessaria difesa sarà impunibile e se non, con eccesso della difesa, sarà punita secondo il detto eccesso in arbitrio sempre di SIG. ILL. MO. ò successore presente, o del giudice, il quale farà relazione del processo al superiore in detto caso.

L'omicidio deliberato sarà punito con la morte naturale del delinquente, e se quello non sarà in le forze della Giustizia, sarà posto e condannato in bando perpetuo e morte naturale, venendo in le [orze della Giustizia, e saranno confiscati i beni salva la porzione dovuta alli figli secondo la legge cum ratio de  bonis damnatorum. E quando altri con archibuggi apposteranno e tireranno sia di giorno, sia di notte, se bene non offenderanno ò non ammazzeranno, saranno compresi nel caso immediato, se con altre arme saranno puniti in arbitrio di SE. ò successore, facendo la relazione del processo, e nei casi non espressi di sopra il giudice procederà de similibus ad similia.

32. De Furti

De furti domestici comessi da persone domestiche il giudice non procederà se non a querela e se non contro i sollicitatori, persuasori e coadittori e ricettatori di simili cose rubbate come sopra. Non procederà similmente per cose rubbate per mangiare in tempo di fame o necessità se il rubbatore non ne facesse arte e pigliasse più della necessità.

Per il primo furto di cosa di valore fino ad uno scuto la pena sarà del doppio; Da due scuti sino in quatro del triplo, da quatro scuti sopra e a chi sarà colpevole d'altri furti la pena sarà della berlina ò fustigazione per il luogo, e quando il furto sarà di maggior somma e commesso con frattura di porte o cassa o con ascendere con scale o pigliare in campagna le bestie d'altri, sarà la pena corporale ad arbitrio di SE. ò successore, facendosi la debita relazione. E tale sarà la pena dei ladri che prima saranno staticondannati per altri furti.

Ed i ladri famosi, o che con armi in strada o via pubblica rubberanno, saranno sottoposti alla pena della forca con relazione al modo suddetto.

33. Del rapto, Adulterii e Stupri

Chi per forza rapirà o conoscerà carnalmente donne vergini, maritate o vedove, caderà in la pena della vita, ed il Podestà, avendo il delinquente nelle mani, farà la dovuta relazione del fatto del processo a SIG. ILL. MO.. ò successore, e non procederà in caosa di stupri senza violenza, et adulterii, se non a querela delle stuprate, o padri, o mariti del adulterato.

 

34.Delle Falsità d'instrumenti o scritture ò di Testimonii falsi ò chi giurerà il falso in caosa propria ò delazione

Chi fabricherà o farà fabricare o aiuterà instrumenti falsi, libri o polize private, sarà il Notaro privato dell'ufficio in perpetuo e si condannerà a spese, danni et interessi del dannificato, oltre che la pena corporale in arbitrio. di SIG. ILL. MO. ò successore, alla quale saranno soggetti similmente gli altri complici come di sopra.

Quelli che daranno testimonio falso in caose civili saranno puniti come falsari in che non meritino. fede alcuna per l'avvenire, et incorreranno (in) pena dell'infamia e più saranno. condannati in arbitrio del Giudice a tutta la somma della caosa nella quale haveranno testificato falsamente; se in una caosa criminale contro. il reo, saranno soggetti alla pena del reo, se a difesa di quello, alla pena che quella merita per il delitto. commesso, in arbitrio. di SIG. ILL. MO. ò successore, facendo. sempre la dovuta relazione. Quando. altri interrogati in giudicio sopra la recognitione de loro scritture con giuramento. negassero. la man loro, e poi fossero convinti d'aver scritto tale scrittura, siano. puniti del falsa secondo i casi predetti.

35. Delli Banditi

Il Podestà sarà tenuta a notare li banditi dalla Giurisdizione in una tavoletta che terrà affissa nel luogho del Tribunale, notando in quella i nomi e cognomi loro, et il banda, e se é da morte a ad altra maniera, e cassare quelli che per avventura saranno. rimessi ò finiranno il loro. bando.

I banditi a morte si potranno. offendere impune, e tali banditi saranno incapaci d'ogni casa, inhabili d'ogni aiuto, favore, protezione, et in nome loro alcuna non sarà ammessa né udita in qualsivaglia caosa ma saranno reputati come morti naturalmente. I suddetti banditi a morte non saranno. ricevuti nel luogo, né favoriti, nè mantenuti, né aiutati nei luoghi circostanti a dieci miglia, sotto pena a chi li aiuterà, favorirà in modo alcuna dentro. le dette circostanze, di incorrere l'istessa pena in che saranno. detti banditi; in arbitrio di SIG. ILL. MO. ò successore, e quando. saranno. banditi per altre caose o peccunarie, i padri e parenti loro, et altri riccettandoli nel territorio, s'obligheranno alle pene in le quali tali banditi saranno. stati condannati. In altre qualunque persona che recetterà banditi a morte caderà nella pena di scuti cento per ogni volta che contravverà, e si intenderà haver contrauenuto tutta volta che non denoncerà subito tali banditi al Podestà, quale potrà comandare gli huomini del luogo perché contro quelli prendino l'armi e li faccina captivi al suono delle campane, offendendoli et amazzandoli impune, se resistessero. alla captura, e poi li consigneranno, ò vivi ò morti, alla Giustizia. Et il Podestà procederà contro li ricettatori, non escludendo. persona alcuna, con molto studio per ogni minima indicio che ne abbia, sotto pena della privazione dell'officio e sindicamento, e di tali caose ne farà la debita relazione.

36. Del Modo di procedere nelle Caose Criminali

Precedendo querela, denoncia o debiti inditii, il Podestà (procederà) alla captura, come é de iure, e non potendo formerà l'inquisitione contro i  querelati, denonciati o inditiati, con trasmetterla all' habitatione loro, e non habitando intimarla per gride affigendale al luogho solito con termine di
giorn
i sei a comparire, e poi non comparendo farà la seconda citazione a veder et udire pronunciare il delitto. per confesso, dandole il termine duplicato. Non comparendo il dì assegnato,  farà la prononcia, la quale intimerà al modo suddeto con termine di quindeci dì a purgare la contumacia, a altrimenti a vedersi metter banda il prossimo seguente. Fatto questo intimerà il bando al modo sudetto e citterà i predetti ad udire sentenza in la detta caosa in termine di giorni tre et successiui, e poi dala sentenza contro di loro conforme agli indizii secondo i quali formerà l’inquisizione non aggravando gli inquisiti di più di quella che gli indizi porteranno. Publicberà poi et intimerà la sentenza nel modo suddetto, e i condannati saranno dentro all'anno ammessi a nuoue difese da SIG. ILL. MO. ò successore se li dimanderanno, costituendosi, poi d'esser ammessi; in termine d'un mese in le forze della Giustizia, nel qual caso o nel primo termine di purgar la contumaccia,o del bando.ed innanzi la sentenza deffinitiva, la loro causa sarà conosciuta non ostante le case sudette.

In ogni caosa che non porti pena corporale il Podestà, esaminato che averà il reo con diligenza, lo rimetterà con sigortà idonea di pagare il giudicato. I testimoni che saranno. stati presenti al delitto, o dati per informati di quello, quando non diano sodisfazione competente si potranno incarcerare dal Podestà e contro di quelli si procederà alle pene debite, come che ascondino i delitti e commettino il fa1so in celare la verità, e non li libererà dalle carceri che in quando non si conosca se non colpevoli o non, castigandoli seconda che si é detto nel capitolo sotto la rubrica delle fa1sità.

 

37. De forastieri che facessero violenza a qualcheduno del luogo

In caso che (chi) si sia fuora dal territorio del presente luogho facesse manifesta violenza o grave ingiuria ad alcuno del luogho, e quel tale venisse in la presente giurisdizione, possa l'ingiuriato come sopra pretendere i suoi danni et interessi civilmente, e quel tale possa esser detenuto tanto che prometta di stare al giudicato et il Podestà possa, quanto a detti danni ed interessi, procedere contro detto forastiero come se quello havesse commesso la violenza ò grave ingiuria nel luogbo, dando il querelante o detinente . idonea sigurtà, come si è detto di sopra nel capitolo della dettenzione. Et il
Pod
està darà in simile caosa tempo a provare con forme al bisogno e qualità della causa.

38. Di quelli che vengono ad habitare nel luogho

Alcuno bandito d'altre giurisdizioni non possi habitare né stare nel presente luogo, similmente altri non banditi e che non possedono beni immobili nella giurisdizione di valore di scuti cinquanta non possino abitare se non daranno sigurtà di ben vivere sino alla somma di-scuti venticinque. E quando fossero huomini di mala voce, condizione, fama o condannati in altre parti per caose criminali o disonorevoli non siano accettati in modo alcuno.

 Et Giuratori e Conseglio tenghino studio e cura in intendere sopra tali forastieri et abitanti, perché o siano esclusi o diano le sigurtà sudette.

39. Delli huomini del luogho, o abitanti che non possiedono, o vivono come di sotto

Perché sono alcuni del luogho, o abitanti, i quali o non possedono, o possedendo qualcosa non esercitano virtuosamente ma attendono a giuochi, a taverne et a darsi al buon tempo e par verosimilmente non possino far questo che non offendino altri ne i beni loro, e danno mal esempio e
corrompono gli altri ben spesso, perciò il Podestà col parere e conseglio dGiuratori e Consiglieri del luogo potrà e dovrà intendere sopra tali huomini e, se SIG. ILL. MO. ò successore saranno presenti, far la dovuta relazione della loro vita e costumi e non essendo presente con le due terze parti de voti potranno deliberare che tali sbrattino il luogho fra un termine che li assegneranno, sotto pena d'esser mandati alla Gallera in arbitrio di SIG. ILL. MO. ò successore, e non partendo quelli, o non ubbidendo, li possino incarcerare et eseguire la detta pena. E quando i padri ricettino simili figlioli, doppo la detta ammonizione e  disobbedienza, incorreranno in la pena di scuti dieci fino a 25 in arbitrio di  SIG. ILL. MO. o Podes.

          40. Della Esazione delle Pene Criminali, miste e Pecuniarie

Ciascheduno condannato in pene pecuniarie per delitti, pagando la pena fra un mese guadagneranno la quarta parte, e se dentro al mese haveranno la pace dall'offesi guadagneranno un 'altra quarta parte, e non pagando dentro al mese, il Podestà, non avendo quelli dato sigortà o beni sufficienti per la detta pena, li bandirà dal luogo tanto che abbino pagato. Se padri, madri, frattelli o altri parenti gli accetteranno in modo alcuno, saranno tenuti del proprio alla detta pena. Quando simili venghino nelle forze della Giustizia doppo il bando e non paghino subito la detta pena siano posti subito alla berlina in luogho publico e per il tempo che SIG. ILL. MO. tasse, o fustigati in arbitrio di quella, et essendo absente in arbitrio del Podestà. E la Comunità sarà tenuta a far fabricare le berline et attaccarle in le due piazze del mercato in luogo evidente per essecuzione delle pene sudette e nei casi sudetti.

In Castel Govon di Finale a di 9 bre 1602

Per "quanto l'Excellenza del Conte de Fontes mio Signore, Governatore del Stato di Milano per la Maestà Cattolica, e Suo luogotenente in Italia ha confirmato i Statuti di questo Marchesato comandando s'osservino e guardino conforme il passato e come s'erano osservati in tempo dei Sig.ri Marchesi Caretti. Per tenor di quanto io, in nome di Sua Maestà, e detta eccellenza, li confermo, e conforme sono scritti si guarderanno et osserveranno, per quanto l'intenzione di detta Excellenza é che così si faccia.

Data etc.

Firmata Don Pedro di Toledo

Loco + del Sigillo

 

 

 




Leonello Oliveri



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