L'insorgenza
antifrancese in Val Bormida durante il
periodo napoleonico (1794-1815)
LEONELLO OLIVERI
Durante gli anni dal 1794 al 1815 i francesi occuparono la Val Bormida. In essa
| Carcare nel 1824 |
si svolsero anche notevoli fatti d’arme, come la battaglia di Dego (21 settembre 1794) e quelle di Montenotte, Cosseria e Dego (12-15 aprile 1796) durante la 1a campagna napoleonica in Italia.
Scopo del presente post è tentare di ricostruire i rapporti fra la popolazione locale e le truppe francesi, e soprattutto gli atti di resistenza o ribellione (i francesi la chiameranno « insorgenza ») che videro come protagonisti i contadini, da una parte, e le truppe di occupazione dall’altra. L’ambiente geografico oggetto d’indagine è strettamente limitato alla Val Bormida.
All’inizio la popolazione locale non accoglie male le truppe francesi, anzi assiste alle loro battaglie con gli austriaci quasi come uno spettatore neutrale (e in effetti molti paesi appartengono alla « neutrale », ma disarmata, Repubblica di Genova, altri sono solo da pochi decenni sudditi di casa Savoia), e le maggiori preoccupazioni sono per i danni alle colture. Indicative al riguardo alcune annotazioni esistenti nell’archivio parrocchiale di Carcare in margine alla registrazione del decesso di un soldato francese e uno piemontese avvenuto nel locale ospedale. La prima (7-12-1795) ricorda che « Francesco Raphale, soldato francese, è morto ieri per una ferita ricevuta dai suoi nemici », la seconda, posteriore di pochi giorni (6 gennaio), riguarda « Michele Mellini di Millesimo, soldato del re di Sardegna, morto ieri perle ferite ricevute dai suoi nemici »: la guerra è ancora una faccenda che riguarda i soldati e non i carcaresi, sudditi della neutrale, anche se irreparabilmente invasa, Repubblica di Genova. Anche i villaggi dipendenti dai Savoia - e quindi in guerra con la Francia - credono all’inizio di poter restare estranei in una guerra che, come molte altre, non li riguarda. Leggiamo infatti in un’annotazione dell’archivio parrocchiale di Cosseria che «li 19 settembre 1794 morì Giacosa Bernardo. Il suo cadavere fu sepolto nella chiesa di Carcare perché tra la casa di Bernardo e questa chiesa di Cosseria c’era il pericolo di qualche offesa ostile essendo le fanterie di Francia e dell’Imperatore Francesco II in guerra»: il buon arciprete di Cosseria, d. Lorenzo Piazza, poteva ancora illudersi che si trattasse di una guerra d’altri. Ma le illusioni dureranno poco e ben presto requisizioni, saccheggi e rappresaglie renderanno evidente che nessuno poteva sperare di restare fuori dalla tempesta. .
Ben presto la situazione divenne intollerabile, e iniziarono gli atti di ribellione, sporadici e disorganizzati nei primi anni, più frequenti nel 1799. Di essi,
relativamente alla
Val
Bormida, si
sa ben
poco essendosi svolti in periodi nei quali più che tribunali e registri funzionavano i plotoni di esecuzione. Proprio la
frammentarietà
delle informazioni
che abbiamo non ci permette di capire se si trattasse di resistenza organizzata o di episodi non derivanti da un concordato piano di lotta. Dobbiamo limitarci a registrare i pochi dati frammentari che scaturiscono quasi incidentalmente da
varie fonti, anche francesi.
Scopriamo così che atti antifrancesi
sono avvenuti a Mallare, dove alcuni abitanti, sorpreso un soldato francese isolato con un carico di pane, lo uccisero per prendergli il cibo. Altre notizie, pur nella loro frammentarietà, sono più esplicite. Un manoscritto relativo alla battaglia di Cosseria, redatto poco dopo i
fatti da un cittadino
di Millesimo di nome Fassino ricorda che due abitanti del paese, F. Mellini e G. B. Motta, si recarono a Montezemolo, al campo del gen. Colli, per pregarlo di venire in aiuto ai granatieri piemontesi assediati nel castello di Cosseria, dando così testimonianza di una collaborazione, non sappiamo però quanto diffusa, tra civili e truppe piemontesi. Lo stesso manoscritto testimonia atti di guerriglia di « paesani» contro le truppe francesi: ricorda infatti che « la armata francese era spicciolata dalle varie bande di paesani
armati che
uccidevano tutti quelli che rimanevano indietro ». Anche le fonti francesi
testimoniano l'esasperarsi della lotta. Scrive infatti il gen. Laharpe l'indomani della battaglia di Dego dell'aprile '96, condannando gli eccessi cui
si erano abbandonati i suoi soldati: «Il soldato ora può arrogarsi le ruberie e uccisioni ( .. .); assassinano i soldati i paesani e i paesani i
soldati» ([1]).
La situazione precipita nel '99, parallelamente ai
rovesci militari che i francesi subiscono ad opera delle truppe austrorusse della II coalizione.
E’ questo un anno tragico per la Val Bormida e il basso Piemonte.
I francesi cercano di organizzare in forma più stabile i territori
conquistati appoggiandosi sui « giacobini » locali, che talvolta però funzionano da elemento di divisione anziché da intermediari. Si hanno così le prime fratture tra elementi giacobini (o « patriotti ») e sostenitori del passato regime, o anche semplicemente della
situazione precedente. Ben presto le posizioni si esasperano anche perché i sostenitori della monarchia sabauda soffiano
sul fuoco, e si
arriva ad episodi di vera e propria guerra civile.
L 'albero della libertà, simbolo del nuovo corso o per alcuni, più semplicemente, di coloro che requisiscono e saccheggiano, è abbattuto in molti paesi.
E’ il caso, in Val Bormida, di Rocchetta Cairo, Piana, Cagna, Lodisio e Dego.
Proprio sull'episodio di Dego abbiamo un'interessante
testimonianza che il parroco di allora,
d. Damiani, vicario foraneo a Dego Castello dal 1777 al 1816, lasciò fra le pagine
di un registro dell'archivio parrocchiale.
Ricorda il parroco: «In
gennaio (1799) si piantò l'albero della libertà a tre colori con bandiera
tricolorata in questo castello, con l'intervento del Commissario avvocato Bruno di Strevi, il
quale fece un assai bello discorso che fu seguito da un altro recitato da questo
giudice avv. Anfossi
e si
cantò pure una canzone patriottica composta da me scrittore e quindi il Te Deum in
parrocchia con la benedizione del Venerabile. Dopo alcuni giorni se ne piantò un' altro nella contrada di Bormida anche
con solennità e gioia. Ma circa la metà
di Quaresima il tutto restò sconvolto e perturbato. Cominciò la rivolta in Strevi ([2])
che ebbe per protesta la riunione del Piemonte con la Francia, giacché alcuni giorni prima si
portarono per la provincia alcuni commissari a raccogliere i voti della
municipalità, i quali furono per la massima parte favorevoli a tale unione.
Alcuni rivoltosi ebbero
anche per
pretesto la religione, benché il Vescovo e tutti li buoni parrochi li
assicurassero che non era questa in alcuna cosa intaccata e che secondo le
leggi di Francia e dei veri principi di libertà mai verrebbe nella sua
sostanza intaccata. T al fuoco perciò si estese sino a Dego e quindi da alcuni
furiosi ed ubbriachi alla sera del 28 di
febbraio furono atterrati e bruciati
li detti due alberi cominciando da quello della Bormida. La Municipalità
restò stordita in vista massime che cominciarono ad armarsi i malcontenti e che ad essi si unirono molti
di Brovida ([3])
e molti
altri di questo luogo costretti per lo più con minacce di morte e di fuoco dai primi. Vedendo essi la timidità della Comune, la
quale però non
tralasciò di informare il Governo
Provvisorio di quanto accadeva, andarono ad atterrare
il suddetto albero in Piana, Cagna, Lodisio e Rocchetta presso Cairo. Fra tanto giunsero i francesi coi patrioti piemontesi in Acqui (per
stroncare la rivolta nella città) con due cannoni. Strevi fu incendiato ed Acqui poté a
pena scansare il saccheggio. (. . .). Dalla città di Acqui 50 e più francesi si portarono in Dego con molti altri
patrioti di Spigno. Addì 6 marzo
giunsero ancora 100 svizzeri (?) con molti patrioti di Cortemiglia dalla parte di Brovida. Appena giunti i
francesi coi spignesi attaccarono i
rivoltosi a Vermenano (fraz. di Dego) e
ne uccisero tre; gli altri fuggirono
ascendendo il monte S.
Lucia per la parte dei boschi dove furono
inseguiti buon tratto di strada. Dopo tre giorni i francesi e tutti i patrioti si ritirarono ma seguirono poscia
molti arresti. In una notte furono arrestate cinque persone in Dego e molti
altri vivono lontano dalle loro case
temendo pur di venir arrestati perché ebbero parte nei suaccennati disordini benché la maggior parte più per timore
che per malizia» ([4]). Come
si vede si tratta di una pagina interessante. È
evidente l'intenzione del parroco (che scrive quando il dominio francese sembrava più saldo e duraturo che mai) 'di minimizzare l'accaduto svuotandolo di ogni contenuto politico ed insurrezionale.antifrancese (usa però il termine « rivolta » e « rivoltosi »)
attribuendone la responsabilità a pochi « furiosi ed ubbriachi ». Sembra però altrettanto evidente che
ci troviamo di fronte ad un vero e proprio atto di rivolta antifrancese (o antigiacobino), che precede quelli più diffusi del maggio '99 (forse più 'direttamente legati agli insuccessi militari francesi), e a conseguenti episodi di guerra civile (contro i rivoltosi sparano anche « patrioti piemontesi»), atto di rivolta cui parteciparono abitanti di Dego che forse non avevano dimenticato il saccheggio dell'aprile del '96. Da queste stesse pagine possiamo inoltre capire che, almeno in Val Bormida, il clero non era aprioristicamente contrario agli ideali, e anche agli uomini, della Rivoluzione francese ([5]).
Gli episodi di Dego godono del singolare (e raro in un
contesto spiccatamente locale) privilegio di essere raccontati anche da
un’altra fonte “ideologicamente” opposta. Ecco infatti quanto leggiamo al
riguardo in un documento della Municipalità di Spigno ([6])
“Correva il
giorno 10 ventoso di quest’anno felice, settimo della Repubblica Francese, e
primo della Libertà Piemontese, quando circa le ore venti alcuni
malintenzionati di questa comune (Spigno) presa l’occasione, in cui la
maggior parte di questa popolazione si
trovava dispersa ai lavori di campagna, inaspettatamente si accinsero ad
atterrare li due Alberi della Libertà stati in essa piantati colle maggiori solennità, e non giovarono
punto le buone parti allora fatte da alcuni Municipali, e specialmente da
questo Cittadino Giudice, quale non omise di andare all'incontro del Francesco
Diverio ( [7]) di Gio. capo degli
insorgenti, e di procurare, che si prescindesse dal commettere sì
grave delitto, e da1 Communicipale Cittadino Emanuel Scatti, che per avere
tentato d'indurre gl'insorgenti al dovere, fu minacciato nella vita, mentre detti
Alberi m mezz'ora furono atterrati, fatti in pezzi ed abbruciati.
Nello stesso
giorno i ribelli presero le armi, e si misero in guardia: all'indimani si
appropriarono il tamburro della Comune, e cercarono d'indurre anche con
minaccie altri individui di questa, ed unirli seco loro proclamando, che insorgevano
ora a favore dell'ex-re ora della Repubblica Piemontese, non volendo
questa Nazione unita alla Repubblica Francese, come di ciò tutto ha questa
Municipalità subito informato il Governo Provvisorio co' verbali trasmessigli.
Era però notorio, che il loro scopo non era tale, ma bensì quello di
appropriarsi nella turbolenza gli effetti dei buoni, ed onesti Cittadini.
Intanto tante erano sì gravi le minaccie di morte, e di combustione, che facevano,
perché abbiano incusso timore in chicchesia, e perché questi locali aventi le
loro abitazioni disperse, non osassero far fronte, che anzi alcuni dovettero
seco loro unirsi.
Ne' giorni
susseguenti essi insorgenti si unirono con altri della Comune di Brovida da
questa poco lontana, e divenuti così più forti andarono ad atterrare, come
atterrarono gli Alberi della Libertà nelle Comuni di Lodisio, Piana, e Cagna
affinchè il giorno quattordici restituitisi tutti ben armati in questo Luogo
fecero la perquisizione nelle case delli Cittadini Notajo Bertone, e Speziale con
animo di arrestargli, intenzionati pure di uccidere il Cittadino Rolando Beltramo,
perché avesse nel suo cantone radunata qualche forza contro essi, motivo per
cui i due primi dovettero darsi alla fuga, ed abbandonare la Patria.
Il giorno di jeri
il prefato Cittadino Giudice spedì espresso in Acqui con lettera, in cui
informò quel Comandante di quanto occorreva, chiedendo della
forza armata, ma chi era incombenzato di portar la lettera, nel passare che
fece in Spigno, avendo riconosciuto essere colà arrivata Truppa Francese, la
ricapitò al Comandante Core Capitano Ajutante Maggiore della Piazza di
Savigliano fungente le veci di aggiunto allo Stato Maggiore Generale Serras Comandante
la Divisione del mezzodì del Piemonte; quindi osservatosi, che gl'insorgenti
erano radunati in questo Luogo, tanto li Municipali, quanto li Cittadini
Giudice, e Paroco, Notajo Toso, e Segretaro Cazuli infrascritto si portarono
nella loro adunanza, dove non lasciarono ogni mezzo per ridurli al buon ordine,
e fagli deporre le armi, e perfino il Paroco scongiurandoli colle ginocchia a
terra, sembrava, che fosse per riuscire l'intento, ma svanì ben tosto la
speranza per avere gli insorgenti di Brovida data una risoluta negativa, dopo
la quale andarono tutti al Luogo di Rocchetta Cairo, dove atterrarono anche
l'albero portando seco lire quattrocento sessantasette soldi due di questa
Comune, che si erano fatto rimettere mediante ricevuta dall'esattore della
medesima.
Accortosi il
zelante Giudice, che conveniva porre pronto rimedio ad ulteriori eccessi tosto spedì
al Comandante predetto due Cittadini onesti con lettera, in cui partecipava a
quello, che questi lo avrebbero sinceramente informato della forza degli
insorgenti, e di quanto avevano operato,affine avesse dato le
disposizioni più opportune.
Corrispose all'aspettazione quel
bravo Comandante, e fece sentire qualmente questa mattina si sarebbero
avvanzati verso questo Luogo con una competente forza mediante che gli avesse
spediti due Cittadini fidati all'incontro.
Incoraggiti i
buoni Patriotti piantarono sul far del giorno un altro Albero di Libertà, ed il
Giudice dopo averne affidata la custodia ai medesimi, s'incamminò ad
incontrare la Truppa Francese verso Spigno, della quale avuto l'incontro, dopo
aver spiegata al prelodato Comandante, che del giorno precedente gl'insorgenti erano in detto Luogo di Rocchetta, se ne
ritornò addietro colla Truppa.
Pendente l'assenza del Giudice resi
più animosi gl'insorgenti vennero dalla
Rocchetta ad attaccare quelli, che custodivano il nuovo Albero, e dopo d'essersi alquanto battuti, per difetto di munizione dovettero
questi cedere, e quelli ebbero campo di abbattere, come abbatterono nuovamente
l'Albero, ed inviperirono contro le famiglie della contrada, in cui venne piantato, cioè dei Cittadini
predetti Giudice, Paroco,
Bertone, e Segretaro Cazuli minacciando di dar fuoco alle loro abitazioni, e si appropriarono la carne di un vitello, che la Municipalità aveva fatto macellare per la Truppa
Francese.
Giunse opportunamente la notizia
alla Truppa, che veniva in soccorso di tale temerità, e del sito preso poi dagl'insorgenti, e perciò affrettato il passo, e prese le migliori disposizioni dal
saggio Capitano condottiere, che avea seco la Guardia Nazionale di Spigno, si venne all'attacco da due parti e si distinsero
con tanto valore le Truppe Francesi, che sebbene gl'insorgenti avessero presa
la posizione d'una collina, gli inseguirono, e
fugarono coll'uccisione di diversi, fra quali di due dei capi, cioè uno di questa Comune per nome Giuseppe
Barbero, e l'altro del luogo di Brovida detto per
sopranome Bambino,
Non ha questa Municipalità uno stile
adequato per esprimere le ottime disposizioni date dal savio Comandante, ed il
suo coraggio, il valore dimostrato da' suoi subalterni e soldati, come pure il giubilo,
che venne quindi a recare a questa popolazione nell' averla liberata dalla
furiosa anarchia”.
Questa lunga pagina è forse noiosa, ma ben rende il clima confuso
di quei giorni e le incertezze delle diverse municipalità, strette fra
l’incudine dei Francesi (e patriotti)
e il martello degli insorgenti). Avrà inoltre un peso non indifferente per la sorte del Diverio lì ricordato.
A questi episodi altri se ne aggiungeranno in
seguito, con una frequenza sempre maggiore, fino a destare preoccupazione nelle Amministrazioni locali. E’ indicativa a proposito
una richiesta di informazioni che l’« Amministrazione degli Ulivi» (Porto Maurizio) rivolge a quella di Savona il 24 maggio del 1799 per sapere se fossero
vere le notizie relative a« tumulti eccitati da malintenzionati in Monferrato» e relativi incendi da parte delle truppe francesi di « alcuni villaggi nei quali gli insorgenti sono stati trovati con armi alla mano »: e ciò per poter «chiudere la bocca a chi osasse sparger notizie incoerenti »! ([8])
Dunque i contadini
(alcuni) prendono le armi contro i francesi. E’ la famosa « insorgenza italiana del '99 », « tremenda e fanatica perché scatenata a difesa dell' altare e del trono», come scrive uno storico ([9]).
Tremenda lo fu certamente, ma forse fu anche in difesa di qualcosa di
più immediato dell'altare e del trono, e per il quale non ci voleva molto fanatismo. Noi non vogliamo analizzare compiutamente le cause (certo molteplici) dell'insorgenza antifrancese, bensì ricordare
semplicemente alcuni suoi episodi che
ebbero come teatro la Val Bormida, sottolineando che. indubbiamente i
sostenitori della monarchia sabauda soffiavano sul fuoco, ma che comunque 1'«
insorgenza» dei contadini valbormidesi
fu anche in
difesa della propria sopravvivenza fisica: liquidarla
attribuendola solo a fanatismo - di trono o di altare - ci pare un poco
sbrigativo ([10]).
Per comprendere meglio quanto
successe è forse utile ricordare i principali avvenimenti di quei mesi.
Il '99 fu un
anno duro per i francesi in Italia. Mentre Bonaparte è in Egitto scendono in Italia le truppe austrorusse della 2a
coalizione. Sotto la guida del gen. Souvarow esse riportano alcuni successi
occupando Milano
e sconfiggendo i francesi a Novi
Ligure (15 agosto): Questi ultimi serrano le file,
aumentano anche le requisizioni (in ciò imitati dai loro avversari): Cairo
è tassata dalle truppe francesi di 100 brente
di vino, 190 rubbi di farina, 70
mine di meliga, 100 rubbi di fieno ([11]); Calizzano il 31 maggio
deve consegnare 2.000 libbre di pane «
e questo fra due o tre ore
sotto pena », due giorni dopo
altra richiesta di 3.000 libbre di castagne, fieno per
700 cavalli, legna e paglia per 1.500 uomini e ciò «con la massima sollecitudine sotto pena di saccheggio », precisano
i francesi, «perché siamo impossibilitati a contenere una
divisione affamata » ([12]).
Anche l'archivio comunale di Millesimo
ricorda requisizioni, come quella del luglio del '99, allorché i francesi « non appena giunti in questo disgraziato
paese, composto di (poco) più di 1.000 abitanti a forza di minacce di morte, colla pronta provvista di pane per
10.000 (!?!) persone e foraggio per
una gran quantità di cavalli, con la tanto decantata libertà
costringevano i popolani a chieder l'elemosina di un pezzo di pane. Qui si trattennero per giorni 19 » ([13]).
Non è certo assurdo pensare che siano state proprio
queste requisizioni, che buttavano la popolazione nella miseria e nella fame, a
spingere i contadini a ribellarsi, anche incoraggiati dagli insuccessi militari
dei francesi. Ma ad ogni tentativo di resistenza risponde la rappresaglia, che
a sua volta innesca nuove ribellioni. Avvengono così sollevazioni di interi paesi e scontri tra
rivoltosi (sparare e poi sparire: e poi i villaggi subiranno le rappresaglie francesi) e le
truppe d'oltralpe, che non facevano distinzioni tra insorti e civili. Ci è nota
la sollevazione che ebbe per protagonista ancora il riottoso Dego, di nuovo in
armi contro i francesi, e di nuovo piegato, il dato è di fonte francese, con la
morte di 200 rivoltosi. L'episodio accadde il 19 maggio del '99 e ci è
tramandato da una fonte francese. « Il
19 maggio - scrive E. Gachot nel
suo libro Souvarow en Italie, p. 176 - i francesi del gen. Victor (in
ritirata davanti agli austro- russi) sono a Dego. Contro le sue porte, barricate,
i soldati usano delle asce; 200 rivoltosi, attardatisi in questo paese,
vi periscono; il fuoco divora 10 case, vendetta dei soldati esasperati
che non hanno mangiato da 24 ore». L'elevato
numero di morti, probabilmente non tutti di Dego, testimonia l'asprezza degli
scontri. Questo
fatto è ricordato anche dal parroco di Dego che così scrive sui suoi registri
ricordando le uccisioni di uomini e donne per mano dei francesi ([14]): «E questi infortuni (sic! ) precisamente
sono accaduti perché vari abitanti di questo luogo e di altri vicini presero le
armi per impedire ai francesi il viaggio di ritorno da Alessandria a Savona.
Purtroppo io li avevo consigliati di non fare tali cose e piuttosto mandassero
me a Spigno per placarli. Ma questi abitanti indipendentemente hanno respinto
il mio parere preferendo impugnare le armi; (..) i francesi se la
cavarono con pochi feriti ed uccisi, conoscendo ottimamente l'arte del guerreggiare
mentre i contadini e i nostri tutti della valle la ignorano affatto ».
Questo episodio. di resistenza, attuato dagli abitanti di Dego, gode del
singolare privilegio di essere ben documentato. Oltre alle due citate precedentemente c'è infatti una ulteriore fonte francese che lo
ricorda. Si tratta di una di quelle « Memorie
statistiche e militare» di cui parleremo in questo blog : questa risale al 1804, è anonima, conservata al « Servizio Storico del- l'Armata francese », e così ricorda Dego: «La Rivoluzione
vi ha fatto nascere una gran quantità di vagabondi (vagabonds) di cui molti
hanno figurato all' epoca del passaggio
del gen. Victor nel 1799, e sono stati di- strutti poi dal Governo francese ». In questo modo, a « pacifìcazione»
avvenuta, gli insorti di Dego sono
diventati « vagabondi» prodotti
dalla Rivoluzione (ormai siamo in epoca
«imperiale») «distrutti» dal governo francese.
Dopo le imprese compiute a Dego l'armata francese del gen. Victor giunge davanti a Cairo: sono le dieci di s'era. Una violenta
fucileria l'accoglie; lasciamo ancora la parola al Gachot (op. cit., p. 177): «Respinti, i francesi bivaccano
davanti al paese, che nella notte viene evacuato» dai piemontesi che lo
difendevano). All'alba i soldati francesi possono entrare nell'abitato: « Qualche abitante, continua il Gachot, viene punito per la sua compiacenza verso gli insorti ». Poco
più avanti lo storico casi conclude: «Un'altra colonna francese entra di nuovo ad
Acqui,' Bistagno e Cairo (. . .) dove la
cittadinanza paga ben caro il sangue (francese) versato ». Quanto caro ce lo dice un'annotazione dell'archivio
parrocchiale che riporta, in quel tragico 20 maggio, i
nomi di quattro cairesi fucilati dai francesi: Girardi
Domenico di 35 anni, Botta Bartolomeo di 45, Scarrone Giovanni di 25 e Bartolomeo
Rebufello di 50 ([15]).
Lo stesso giorno la colonna francese, che prima di lasciare Cairo vi aveva
incendiato il convento dei francescani, fondato nel 1214, arriva a Carcare. E subito scorre nuovo sangue, G. B. Fontana, di 32 anni, « a
militibus gallis occisus »([16]).
Dego, Cairo, Carcare non sono i soli paesi della Val Bormida a conoscere il furore della guerra e delle
rappresaglie. Anche
altri videro cadere vittime civili. Uno di questi fu Roccavignale. Qui, come riporta una delle citate relazioni francesi conservate
presso Parigi al « Servizio Storico dell'Armata », e risalente al 1808, «
la popolazione diminuì di 200 anime nel 1799 per le vicende della guerra (perché) per
essersi rifuggiati dei ribelli nella Comune quella popolazione dovette soccombere »: e
quel dovette soccombere» è
agghiacciante nella sua concisione. Più oltre la stessa relazione continua: a Roccavignale « vi furono nel 1799 varie
scaramucce contro i ribelli
comandati da Roccavina (già ex ufficiale
dell'esercito austro-sardo?) che si
erano annidati nelle regioni di Piangranone e La Crocetta (. . .); il paese è stato il rifugio dei ribelli,
dovette sopportare tutti li
eccessi
della guerra, in cui li vennero saccheggiate le loro proprietà,guastate le loro campagne, date in preda alle fiamme tutte le loro
abitazioni.
Furono
gli abitanti messi nella estrema miseria e tuttora il popolo geme sui miseri avanzi lasciati dalle vicende della guerra» ([17]): è
un quadro di
desolazione
che non ha bisogno di
commenti.
Qua e là dagli archivi
parrocchiali emergono altre scarne informazioni, frammenti di un mosaico impossibile da ricostruire ma
che ci lascia almeno intuire i nebulosi
contorni di quanto successe, sotto forma di tristi elenchi di nomi. A Cairo altri cittadini, dopo quelli del tragico maggio
del '99, cadono vittime della
guerra: nel mese di agosto Torre Carlo di 60 anni, Bellino Giovanni di 30, Rodino Giorgio di 80 e Meirana
Filippo, iam senex come annota il parroco, ma di fronte alla morte l'età
non conta; a settembre ancora una vittima dei plotoni di esecuzione, Bartolomeo
Crosa di 55 anni, e un'altra ancora alla :fine di
novembre, Grenno Lorenzo, di 60 anni ([18]); ad Acquafredda (Millesimo), i francesi avrebbero ucciso un fornaciaio
scaraventandolo - pare - nella sua fornace ([19]);
a Cosseria il 21 giugno nella sua casa viene ucciso B. Giacchello di 30 anni e il 22 luglio sono in sei a cadere
per mano francese: i fratelli
Francesco e Bartolomeo Cigliuti, Angelo Calleri e
il figlio 20enne Giulio, Pietro Patetta di
40 anni, Francesca Garello e Angela Costa di 70 ([20]): certo almeno quest'ultime non erano
guerrigliere armate, chissà quale misterioso episodio nasconde questa strage.
A novembre ancora un morto a Cosseria, F. Ferrari, di 60 anni, e alla fine dell'anno .il parroco di questo sfortunato paese può scrivere che i civili cosseriesi caduti a causa della
guerra sono 15: «Nell'anno 1799 quelli che sono stati sorpresi dal nemico
sono stati uccisi in numero di 15 » si legge in un registro
dell'archivio parrocchiale; a ragione quindi una scritta a vernice vista ancora
dallo scrivente quando, diciamo, era ..un po’ più giovane su un muro di una casa a Marghero (Cosseria),
oggi purtroppo cancellata, ricorda il 1799 come « anno ignis », anno del fuoco. E nell’abitazione
vicina sono ancor oggi evidenti le ( probabili) tracce dell’incendio in alcune
vecchie travature.
La rivolta dilaga, per i francesi il nemico è ovunque: «Nelle campagne, ricorda il Gachot (p. 171), il contadino invita il soldato dalla porta della sua casa e gli offre da mangiare. Se il soldato francese, spesso affamato, lo ascolta, era fatto entrare e sgozzato (.,) ». Nella campagna fra la Bormida, lo Scrivia e l'Orba i contadini danno la caccia ai
francesi e, come scrive il Ruggero ([21])
« di solito li colpiscono alla testa, per non guastare la giubba,
che è molto ricercata ». L'aggravarsi della situazione è evidenziato
dalle stesse fonti francesi. Scrive infatti verso la metà del '99 il
maresciallo francese de Grouchy, cui era affidata la difesa
del Piemonte: «Era divenuto indispensabile comprimere le insurrezioni che dilagavano in
tutto il Piemonte. Guidati da ufficiali piemontesi (..) gli insorti tagliavano tutte le comunicazioni dell' armata con la Francia, le toglievano i mezzi di
sussistenza, i convogli, infine, la tenevano come bloccata da tutte le parti, le facevano alle spalle una guerriglia ben condotta» ([22]).
Col 1800, dopo la vittoria di Marengo, i francesi possono
buttare contro i contadini tutto il peso della loro armata, accresciuta da
quanti si arruolano nelle loro file. Sotto l'urto la resistenza poco alla volta si affievolisce. Si hanno ancora
episodi sporadici, che coinvolgono ormai pochi ribelli. Molti infatti sono
stati uccisi o deportati, ([23])
i più, spesso piegati anche dalla
fame, ritornano a casa; vengono inoltre meno gli aspetti più crudi
dell'occupazione francese, che si avvia a diventare organizzazione, spesso
efficiente e moderna, e che comincia a coagulare intorno a sé un certo consenso.
Rimangono pochi, i più disperati o compromessi. Da parte francese, però, la
preoccupazione per possibili ribellioni durerà a lungo: ancora nel 1810,
infatti, una circolare del prefetto Chabrol indica alla gendarmeria una serie
di persone ed attività potenzialmente pericolose e quindi da tenere sotto
controllo. Oggetto di attenzione in particolare i venditori ambulanti di stampe
e libri: «Nessuno dubita, assicura la circolare risalente al 17 novembre, che per mano di
questi uomini si divulgano le opere più immorali e contrarie all'ordine
stabilito. (. . .) Ve ne sono altri
che distribuiscono parecchi scritti fanatici tendenti a mutare l'opinione su
certi avvenimenti pubblici (. . .) e a togliere i sudditi all'amore e alla fedeltà che
essi devono all'Imperatore» ([24]).
I risultati della « normalizzazione
» che i francesi attuarono in V al Bormida nei primi anni del 1800 sono
chiaramente visibili in alcune relazioni ufficiali che vennero inviate da
funzionari francesi a Parigi per illustrare la situazione dei comuni siti nel
territorio di loro competenza ([25]).
Fra il 1804 e 1808 i funzionari francesi possono così scrivere che a Murialdo «
l'opinione degli abitanti è sempre
stata di ubbidire a chi comanda », a
Biestro « la gente è facile da
contenere », a Plodio « lo
spirito degli abitanti è docile, non
hanno opinioni politiche », a
Mallare « gli abitanti nascondono
con gran cura le loro opinioni politiche »,
a Castelnuovo «lo spirito degli abitanti è sottomesso, non si sente mai nessuna idea di rivoluzione », perfino a Dego « gli abitanti sono
rispettosi e sottomessi alle leggi dei loro governanti ». Uniche eccezioni in questo coro consenziente
Pallare, dove « non è che dopo aver
messo in opera tutti i mezzi per sottrarsi (alla coscrizione militare) ([26])
che la popolazione ubbidisce alle intenzioni del governo» e Cosseria,
dove « gli abitanti non possono dissimulare il loro scontento: sono tuttavia
trattenuti e si contentano di predire i cambiamenti che essi desiderano ».
Insomma,
se non la felicità almeno l'ordine regna in Val Bormida.
Un ‘ultima annotazione: la lettera della Comune di Spigno
che abbiamo citato ricorda un contadino di Dego, il “Francesco
Diverio ( [27]) di Gio. capo degli
insorgenti”. Costui è citato diverse volte come capo degli insorgenti locali, ancora all’inizio del luglio del
’99, quando “si venne dal Capitano Diverio a parlamento del comandante
Francese” ([28]) e poi
alla fine dello stesso mese, quando “il
famoso Diverio” era ancora
presente, “con pochi combattenti”¸ sempre a Dego ([29]).
Ma con
pochi combattenti non si poteva certo
far fronte alle truppe francesi, per di più appoggiate in sede locale dai
giacobini. Fino ai primi mesi dell’800 il nostro Francesco riesce a restare
libero, anche grazie alla crisi che attraversavano in quel periodo i francesi
in Italia. Nella primavera di quell’anno, il
25 marzo, riesce anche a sposarsi, nella chiesa di Rocchetta di
Cairo, con
la giovane Domenica ([30]).
.Ma dopo la battaglia di Marengo la situazione cambia.
Non
sappiamo quando Diverio venne catturato dai francesi, ma il “due brumale
anno nono della Repubblica Francese una ed indivisibile” (23 ottobre 1800)
la “Commissione Militare
straordinaria sedente in Torino” condanna a morte “Francesco
Diverio del fu Giovanni di Dego, di 27 anni, lavoratore della terra, accusato
di tutti i delitti, perché tutti a lui famigliari, ma soprattutto d’essere stato (..) il Capo e il Bonaparte dei
Briganti che hanno pregiudicato tanto la Comune di Dego e i di lei contorni”.
La sentenza fu pubblicata in un manifesto bilingue una copia del quale è ancora
conservata nell’Archivio Comunale di Millesimo.
Ci sembra opportuno pubblicarla integralmente nelle parti che
riguardano il nostro lavoratore della terra:
Ecco il testo del manifesto:
LIBERTE EGALITÉ FRATERNITÉ
SENTENZA
(omissis) che condanna alla morte FRANCESCO DIVERIO Comandante in capo, e sotto il nome di Bonaparte, di què Banditi che infestano il Piemonte.
Questo di, due brumale, anno nono della Repubblica Francese (23-10-1800) una ed indivisibile, a 9 ore
della mattina, la Commission Militare straordinaria sedente in Torino,creata per i Decreti del Generale in capo dell'Armata d'ltalia in data degli 8 termifero, e del 14 frut. anno 8, composta dei Cittadini Molard, Capo di Brigata, Presidente; Portis, Capo di Battaglione; Laveran, Capitano; Faroppa, Capitano; Chaix, Tenente; Monaco, Sottotenente; Jammes, Sergente; tutti nominati dal Luogotenente Generale Soult, Comandante il Piemonte, assistiti dal Cancelliere Cittad. Peruzzi, si è riunita, in seguito di un ordine del detto Generale, nel Vescovato, luogo ordinario di sue
sedute, ad oggetto di decidere della sorte di sua competenza dei quali il primo chiamato (omissis). Il secondo nominato Francesco Diverio, del fu Gioanni di Dego, luogo di sua nascita e domicilio, di anni 27, lavorator di terra, accusato di tutti i delitti perché tutti a lui famigliari, ma specialmente di essere stato e prima e dopo l'entrata dè Francesi in Piemonte, il Capo e il Bonaparte dè briganti che han pregiudicato tanto la Comune
di Dego e i di lei contorni.
Presa perfetta conoscenza dei fatti e processi a carico degli accusati fattile comparir dinanzi liberi e senza ferri, e uditili nelle lor difese non men che nelle risposte, che eglino hanno date alle interrogazioni fatte loro mediatamente per il Presidente, dessa è passata al solito scrutinio
segreto, terminato il quale, ed eseguito a norma delle leggi veglianti: (omissis) Considerando che il cosìdetto Bonaparte Francesco Diverio convinto
dimostrato colpevole) d'esser stato veramente il Comandante in capo di quell'aggruppamento armato, che svelse il giorno dieci ventoso anno 7 (28/2/1799) gli Alberi di Libertà in Dego e suoi contorni; che il 14 dello stesso mese ha fatto ogni sforzo per uccidere alcuni repubblicani: che impadronitosi nell'istesso mese dè fondi esistenti
nella pubblica
cassa di Dego, saccheggiò poi in pratile dell'anno 8 nè
giorni 4 e 15 (23 maggio e 3
giugno
1800) le case
Largheri, Molinari e Giacomardi; che infine infestando fino al momento
dell'arresto
del Diverio le vie pubbliche del Piemonte, ha intertenuti e derubati i viandanti: Ella lo
ha condannato, e condanna a morte:
prescrivendo così la Legge dei 29 nevoso
anno sesto (omissis).
La Commissione ordina che la presente Sentenza minutata per il
Cancelliere e segnata per i Membri che la compongono, non escluso lui, venga subito letta ai condannati e comunicata in seguito al Generale che comanda il Piemonte, perché eseguita dentro le
24 ore, sia poi stampata nelle due
lingue e affissa in tutto il Piemonte.
Fatta, ultimata e pronunciata in seduta permanente il giorno, mese ed anno suddivisati.
Sottoscritti Jammes, sergente; Monaco, sottototenente; Chaix, tenente; Faroppa, capitano;
Laveran, capitano; Portis, capo di
battaglione; Molard, capo di Brigata Presidente.
Francesco Diverio, per gli occupanti (e i loro sostenitori) brigante di strada, per altri combattente per la sua terra, che lo ha dimenticato.
| Il manifesto con la sentenza di morte di Francesco Diverio "di anni 27" |
Leonello Oliveri
Propr. lett. riservata
Riprod. vietata
[1] ) C. BOTTA, Storia d'Italia dal 1789 al 1814, Torino, 1932, vol. I, p.339
[2] ) Sull’”insorgenza” di Strevi (Al.) v. L’insorgenza di Strevi del 1799 ,a cura di G .Luigi Bovio Rapetti della Torre, in Atti del Convegno, Strevi 2000
[5] ) Abbiamo del resto anche altre testimonianze dell'adesione e partecipazione, in Italia, di religiosi agli ideali della Rivoluzione francese e agli avvenimenti che ne seguirono, anche a livello «gestionale ». In taluni casi tale adesione fu non molto spontanea, v. per esempio quanto riportato dal Botta (op. cit., IV, p. 20) e dal GACHOT, Souvarow en Italie, Paris, 1903, p. 168; altre volte invece
meno coatta. Significativo a tal proposito il manifesto promulgato a Casale dal vescovo Vittorio Ferrero l'll Nevoso «anno 7 repubblicano e 1° della libertà piemontese », diretto ai parroci.
Scrive il vescovo: «Moltissimi sono tra i fedeli che hanno ritrosia ad ubbidire e a prestarsi al nuovo ordine delle
cose ed anche ve ne sono di quelli che vorrebbero ricondotto l'ordine primiero facendo unioni a tal fine senza curarsi di mettere a repentaglio così la pace e tranquillità della, patria, la reputazione e salvezza
propria e
delle famiglie ( .. .). I recenti fatti di alcune vicine
contrade mentre
servono ad esempio per le cattive conseguenze avvenute; somministrano
l'occasione di rendere cauto ogni ecclesiastico a ben guardarsi dall'alienare il popolo dall'amore all'attuale legittimo governo che Iddio ci ha dato e di
animarlo piuttosto ad impegnarsi con le
sue [orze a persuadere i dubbiosi ed
i pusillanimi e portarli alla concordia e fratellanza» (Torino Biblioteca
Civica, fondo
Bosio, ~ Casale »).
[6] ) C. Prosperi, ai margini dell’insorgenza strevese del 1799, in Atti del Convegno L’insorgenza di Strevi nel 1799¸ Acqui Terme, 2000, p.173 sgg.
[7]) Per Francesco Diverio, ventisettenne «lavoratore della terra»,v. oltre
[8] ) Arch. Stato, Savona, Rep. Dem. Ligure, cart. 10, fasc.1
[9] ) E. BARBADORO, La storia nei licei, Firenze, 1964, II, p. 440.
[10]) non essendo
nostra intenzione analizzare le caratteristiche e le motivazioni generali o specifiche delle
«insorgenze» dei contadini nel '99, per la
qual cosa sarebbe indispensabile allargare il
campo di osservazione ad un'area ben più
vasta, ci proponiamo di fornire solo un quadro, fra
l'altro frammentario ed incompleto, di quanto successe in Val Bormida, sottolineando le precarie condizioni di vita della zona in
quei mesi, condizioni che certo non furono
estranee, portando spesso la popolazione
contadina alla morte per fame, ad atti di rivolta e di sollevazione. Ci pare comunque utile quanto
afferma in un suo articolo (Le rivolte contadine in
Piemonte nell'età Giacobina, in «Boll. della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provo di Cuneo », 1981) N. Nada: «L'opinione corrente è che
le insorgenze
contadine e il brigantismo siano state una
reazione alle violenze dei francesi ed alle intemperanze
dei giacobini,
reazione manifestatasi
sotto lo stimolo di ecclesiastici fanatici e di qualche nobile
o ex ufficiale animato da accesi sentimenti monarchici. Questa opinione ha senza dubbio valide fondamenta ma non è sufficiente
». Per quanto riguarda la Val Bormida è forse possibile e legittimo sospettare che nessuna rivolta si sarebbe
effettuata se i contadini non fossero stati esasperati dalla fame,
violenze, requisizioni, saccheggi e coscrizione obbligatoria. Certo
ci fu chi soffiò sul fuoco, ma tale fuoco doveva già covare.
[11] ) Corrispondenti circa a 4.930 litri di vino, 1.751 kg. di farina, 8.155 «litri» di meliga, 922 kg. di fieno
[12] ) 737 kg. di pane e 1.106 kg. di castagne. Il
brano è riportato da P. SUFFIA, Curiosità
su Calizzano 1750-1850, Savona, s.a.
[13] ) G. FRACCHIA, Storia di Millesimo, Ginevra, 1975, pp. 73·74 ..
[14] ) T. DA OTTONE, op.
cit., p. 7. 234
[15] ) Cairo, Arch. parrocchiale, Liber mortuorum, ad annum: 20 maggio: «Girardi Dominicus 35 annorum morte damnatus decessit », «Botta Bartolomeus extremo supplicio damnatus obiit », «Bartolomeus Rebufello 50 annorum ultimo supplicio damnatus obiit », «Scarrone ]oannis 25 annorum morte damnatus obiit”
[16] ) Su questo episodio v. in questo blog
http://storiadellavalbormida.blogspot.it/2017/09/maggio1799-arriva-victor-si-salvi-chi_83.html#more
[17] ) Memoria statistica e militare della Commune di Roccavignale fatta a
Roccavignale li 24 giugno 1808 dall'Ing. geogr. Sismondi, Paris,
Chateau de Vincennes
[18] ) Cairo, Arch. parrocchiale, Liber mortuorum, ad annum: «Bellino
[oannis, Torre Carolus, Rodino Georgius, Me;rana Philippus mense augusti tempo re
belli occisi sunt »;26 settembre: «Bartholomeus Crosa pena mortis damnatus sequenti die
sepultus est »; 23 novembre: «Grenno Laurentius a militibus occisus sepultus est”
[19] ) B. MAZZONE, Cosseria descritta nel 1925, Ceva, 1926, p. 77.
[20] ) Cosseria, Arch. parrocchiale, ad annum.
[21] ) M. RUGGERO, L briganti del Piemonte napoleonico, Torino p.10
[22] ) E. De GROUCHY, Mémoires du Marechal de Grouchy, Paris; 1873, vol. II,
p. 103.
Non è qui il caso di parlare
diffusamente delle
insurrezioni che ebbero luogo in Piemonte
e che nei «Barbetti» e nei «Branda» ebbero
due momenti interessanti anche se assai diversi. Su
essi, e
sul fenomeno del brigantaggio, almeno in parte
collegato ad istanze insurrezionali, utili informazioni sono contenute nel già ricordato volume del Ruggero.
[23] ) la deportazione era uno sbrigativo e poco appariscente metodo per condannare in pratica a morte gli indesiderati: ecco due documenti di polizia dell’epoca riguardanti individui valbormidesi considerati in qualche modo pericolosi e condannati alla deportazione, pur in mancanza di prove:
“O****** Luigi di Murialdo Dipartimento di Montenotte, età 19 anni, Vagabondo,
mendicante valido. Fu arrestato con una pistola carica e avendo diverse monete
da dix franchi ed una borsa nascosta su di lui cosa che fa sospettare che lui
possa essere uno degli autori di un furto sulla grande strada commesso presso
Carignano, ma tutte le domande per farlo confessare sono risultate inutili.
Visto la sua malvagia qualità e le circostanze soprattutto dell'arma di cui
egli era in possesso sl momento del suo arresto la Corte ha ritenuto di
condannarlo alla misura della DEPORTAZIONE.
Torino 27 marzo 1806 - Bertolotto
Presidente
O****** Agostino a quanto pare nativo di Murialdo di 21 anni, nullatenente e senza domicilio.
Fu arrestato il 27 giugno u,s.
in questa città per ordine del commissario di polizia Anselmi con due donne chiamate l'una Luisa B**** l'altra Luisa *****, essendo sospettato
di furto di volailles (
pollame) nelle campagna e di biancheria e di abiti sul mercato. Nonostante
tutte le ricerche che sono state fatte soprattutto riguardo un furto di tela
sui confini di Vigone di cui era sospettato, non è stato possibile verificare se il detto Agostino O***** è o meno colpevole di qualche reato
specifico. Comunque l'insieme delle informazioni lo presenta come un vero
vagabondo e per il precedente istituito contro Ludovico (?) O****** , suo
fratello, messo più volte a disposizione del Governo, risulta che nel 1805
tutti e due i fratelli furono arrestati a Racconigi come individui frequentanti
le fiere e i mercati e sospetti di furti di tutte le specie e come tali essi
furono tradotti nelle prigioni di Polizia nella città di Cuneo. Non essendo stati
provati a sufficienza i loro delitti, si giudicò di metterli in liberà
consegnandolo al capitano della legione Piemontese per essere arruolati, ma
mentre andavano al loro Corpo da Cuneo essi sono evasi. Così dato che il detto Agostino O****** risulta un
soggetto molto pericoloso e dato che l'arruolamento in un corpo militare non
sarebbe per lui che una nuova occasione di abbandonarsi al suo antico sistema
di vita vagabonda e sospetta la Corte ha stabilito che lui debba essere messo a
disposizione del Governo così come è stato per il fratello: Arrestato da noi
Presidente e Promotore Generale Imperiale nella Corte di Giustizia Criminale e
speciale stante a Torino 1O marzo 1807.
Firmato
Bertolotti Presidente
[24] ) Citato da F. NOBERASCO - L SCOVAZZI, Savona, storia di una vita bimillenaria, Savona, p. 103, vol. II.
[25]) Si tratta di diverse relazioni esistenti al «Service
bistorique de l'Armée de terre» allo
Chateau de Vincennes presso Parigi già ricordate in questo blog.
[26] ) la coscrizione militare obbligatoria determinata dalle guerre napoleoniche rappresentò per la Val Bormida (ma si può dire per mezza Europa) un autentico dissanguamento, con migliaia di giovani strappati alla loro terra e mandati a morire lontano. Pochi ritornarono. Fra questi ricordiamo due valbormidesi, uno di Murialdo e uno di Biestro, che tornati a casa ricordarono quanto loro successo con due tavolette ex voto conservate nel Santuario del Deserto di Millesimo.
Ecco i testi:
"Io Lorenzo Ghisolfo, agricoltore, di Murialdo, trovandomi in qualità di soldato nel quarto reggimento Fanteria leggiera al servizio del scaduto Governo Francese nella piana di Colme paese del
la BOEMIA, in agosto del l8l4, dove seguì una violenta battaglia tra le truppe francesi e russe, mi sono raccomandato alla Santissima Vergine del Deserto, e poco dopo avendo ricevuto un colpo di schioppo nel petto con mia sorpresa osservai che la palla altra lesione non mi fece fuorchè passò l'abito e restò framezzo questo e la camiccia; memore di questa grazia ritornato essendo in patria andai a ringraziare la detta Vergine; per la grazia ricevuta vi lasciai nella sua chiesa una piccola tavola rappresentante il fatto".
"Io Antonio Maria Santo del luogo di Biestro, essendo stato levato in qualità di coscritto nell'anno l808, prima di partire per l'Armata francese mi raccomandai alla SS. Vergine del deserto esistente sul territorio di questo luogo di Millesimo. Essendomi trovato presente alla battaglia di Chimene nella Servania de Renda (SPAGNA) seguita in agosto nell'anno l81l,dichiaro che una palla di schioppo mi colpì al petto e mi gettò a terra, e alzatomi osservai che penetrò le due bandoliere, l'abito e sotto l’abito essendosi fermata la palla alla camicia, nè avendomi punto leso. La quale liberazione io l'attribuisco a protezione particolare di Maria Santissima”
[28] ) C. Prosperi, cit., p. 236
[29] ) ibidem,
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