ABBA, ECO E IL CIMITERO DI PRAGA
Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione vietata
Penso che molti lettori conoscano, almeno per sentito dire, il nome di Umberto Eco:
romanziere, saggista, semiologo, studioso di linguistica e dei fenomeni contemporanei. Fu l’autore de Il nome della rosa, a mio giudizio il suo romanzo più bello e uno dei più belli ed avvincenti che io abbia mai letto.
Poi di suo lessi il Pendolo di Foucaud e Baudolino, che invece mi piacquero meno.
Come insegnante mi piacque anche moltissimo un suo piccolo saggio su un famoso presentatore televisivo, intitolato, se non ricordo male, Fenomenologia di Mike Bongiorno. Sempre a causa del mio “mestiere” lessi poi un piccolissimo, ma avvincente “gioco letterario” di Eco, dedicato al Promessi Sposi: un “esercizio di stile “ alla maniera di Queneau, un brevissimo riassunto dell’opera manzoniana realizzato utilizzando esclusivamente parole inizianti con la lettera M. Confesso che tale lettura fu alla base di analoghi compiti assegnati poi ai miei allievi, e dagli stessi svolti, con mia sorpresa, con entusiasmo e con risultati talvolta veramente notevoli (e divertenti).
Poi ho letto una delle ultime fatiche letterarie di Eco, “Il cimitero di Praga”.
Si tratta della ricostruzione
romanzesca della nascita e diffusione di un famoso falso storico, quello dei
cosiddetti “Protocolli dei Savi di Sion”.
Confesso che, questa volta, il romanzo di Eco non mi è piaciuto molto: l’ho trovato di faticosa lettura: ma questa è evidentemente una mia opinione personale che vale quel che vale.
In esso ho però trovato qualcosa che mi ha colpito: precisi ricordi, quasi si potrebbero definire “citazioni”, di un’opera di Abba, precisamente le “Noterelle di uno dei Mille”. Abba stesso viene diverse volte citato nel romanzo.
C’è subito da premettere che Eco nella sua opera ricorda che “Il solo personaggio inventato è il protagonista, (…) tutti gli altri personaggi sono realmente esistiti e hanno fatto e detto le cose che fanno e dicono in questo romanzo”. (..) Al protagonista “sono state attribuite cose fatte in realtà da persone diverse”. In questo contesto le citazioni di Abba e i “riassunti” di due suoi brani appaiono quindi perfettamente legittimi e coerenti.
Ed ecco quali sono i ricordi di Abba confluiti nelle pagine di Eco.
Alla p. 145 dell’ed. Bompiani, de Il cimitero di Praga Eco così fa parlare Abba:
“Abba ha fatto un gesto (..) senti piuttosto questa, che è bella. Arrivando in città, il generale aveva ordinato di impadronirsi del telegrafo e spezzarne i fili. Mandano un tenente con alcuni uomini e vedendolo arrivare l’addetto al telegrafo fugge. Il tenente entra nell’ufficio e trova la copia di un dispaccio appena inviato al comandante militare di Trapani:”due vapori battenti bandiera sarda sono appena entrati in porto e sbarcano uomini”. Proprio in quel momento giunge la risposta. Uno dei volontari che era impiegato al telegrafo di Genova, la traduce: “Quanti uomini e perché sbarcano?” L’ufficiale fa trasmettere:” Mi scusi mi sono sbagliato; sono due mercantili provenienti da Girgenti con un carico di zolfo”. Reazione da Trapani.” Lei è uno stupido”. L’ufficiale incassa tutto contento, fa tagliare i fili e se ne va”.
Ed ecco il brano che Abba dedica a questo episodio in “Da Quarto al Volturno. Noterelle d’uno dei Mille”, Barion editore, Milano, 1926 p. 36:
“Grazioso. Ieri l’altro, appena sbarcati, alcuni dei nostri occuparono il telegrafo.
L’ufficiale, fuggendo, aveva lasciato lì un foglio sul quale c’era scritto: Due vapori sardi sbarcano gente: era un dispaccio mandato al comando militare di Trapani. E da Trapani appunto: Quanti sono? Cosa vogliono?Allora i nostri: “Perdonate, mi sono ingannato, i legni sbarcano zolfo”. Da Trapani secco secco:”Imbecille”! Poi un taglio dei nostri al filo telegrafico e silenzio.”
Più avanti, a p. 153 del Cimitero
di Praga, il protagonista, Simonini, ricorda così un episodio capitato
durante l’impresa di Mille: “Dimesso l’abito talare (nel romanzo il
protagonista andava talora travestito da abate) e girando per la città in
camicia rossa ho scambiato due parole sulla scalinata di una chiesa con un
monaco, padre Carmelo. Dice di avere 27 anni ma ne mostra 40. Mi confida che
vorrebbe unirsi a noi, ma qualcosa lo trattiene dal farlo. Gli chiedo che cosa,
visto che a Calatafini c’erano anche i frati-
_Verrei davvero, mi dice, se
sapessi che farete qualcosa di grande. E la sola cosa che mi sapete dire è che
volete unire l’Italia per farne un solo popolo. Ma il popolo, che sia diviso o unito, se soffre soffre; e io non
so se riuscirete a farlo cessare di soffrire.
-Ma il popolo avrà libertà e
scuole, gli ho detto.
-La libertà non è pane, e la
scuola nemmeno. Queste cose basteranno forse per voi piemontesi ma non per noi.
_Ma che cosa ci vorrebbe per
voi?
Non una guerra contro i
Borboni, ma una guerra dei poveri contro
quelli che li affamano, che non sono soltanto a Corte, ma dappertutto.
_Allora anche contro voi
tonsurati, che avete conventi e terre dovunque?Anche contro di noi, anzi contro
di noi prima che contro ogni altro! Ma col vangelo in mano e con la croce.
allora verrei. così è troppo poco”.
Anche questa pagina ha la sua fonte in un episodio compiutamente narrato da Abba, a p. 58 delle Noterelle:
“Mi sono fatto un amico. Ha 27
anni ma ne mostra 40. E’ un monaco e si chiama padre Carmelo.(..) Vorrebbe
essere uno di noi per lanciarsi nell’avventura col suo gran cuore, ma qualcosa
lo trattiene dal farlo.
-Venite con noi, vi vorranno
tutti bene.
-Non posso.
-Forse perché siete frate? Ce
ne abbiamo già uno. E poi altri monaci hanno combattuto in nostra compagnia,
senza paura del sangue.
-Verrei se sapessi che farete
qualche cosa di grande davvero: ma ho parlato con molti dei vostre e non mi
hanno saputo dire altro che vogliono unire l’Italia.
-Certo, per farne un grande e
solo popolo.
-Un solo territorio… In quanto
al popolo, solo o diviso, se soffre soffre; ed io non so che vogliate farlo
felice.
-Felice! Il popolo avrà
libertà e scuole.
- E nient’altro, interruppe il
frate: perché la libertà non è pane e la scuola nemmeno. Queste cose basteranno
forse per voi Piemontesi: per noi qui no.
-Dunque che ci vorrebbe per
voi?
-Una guerra non contro i
Borboni, ma degli oppressi contro gli
oppressori, grandi e piccoli, che non sono soltanto a Corte, ma in ogni città,e
in ogni villa.
-Allora anche contro di voi
frati, che avete conventi e terre dovunque sono case e campagne!
Anche contro di noi. Anzi, prima che contro ogni altro!Ma col Vangelo in mano e con la croce. Allora verrei. Così è troppo poco”.
Come esplicitamente dichiarato da Eco, al protagonista “sono state attribuite cose fatte in realtà da persone diverse”: ma forse sarebbe stato preferibile attribuire l’episodio direttamente all’Abba, che lo ricorda nelle Noterelle, anziché al Simonini.
A p. 147 Eco così fa parlare Abba:
“E i francescani che
combattevano per noi?Ce n’era uno, magro e sudicio, che caricava un trombone
con manate di palle e pietre, poi si arrampicava e scaricava a mitraglia. Ne ho
visto uno, ferito alla coscia, cavarsi la palla con le manie tornare a far
fuoco”
Ed ecco come Abba stesso ricorda, a p. 43 delle Noterelle”, quello stesso episodio:
“Macchiette nel grande quadro, veggo quei francescani che combattevano per noi. Uno di essi caricava un trombone con manate di palle e pietre, poi si arrampicava e scaricava a rovina (..) Ne vidi uno, ferito in una coscia, cavarsi la palla dalle carni e tornare a fare fuoco”.
Confesso che la presenza di queste citazioni e ricordi di Abba nell’opera di un nostro grande romanziere contemporaneo mi hanno fatto molto piacere: è consolante vedere che l’”Aedo dei Mille” viene ancora letto, ma…. diamo a Cesare quel che è di Cesare.
Leonello Oliveri
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