Leonello Oliveri
Proprietà letteraria riservata
Riproduzione vietata
![]() |
| G.C. Abba |
Abba ritorna quindi al suo luogo natio, ma "qui
ritrovò il suo borgo ancora immerso in tenebre quasi medievali che permettevano
prepotenze e soprusi non più sopportabili dalla gente nuova che aveva diritto
ad un po' di libertà di pensiero e di azione. Ma urtare direttamente coi
signorotti del luogo non era possibile, e pensò allora di illuminare il popolo
traendo a sé alcuni giovani operai ed
eccitandoli a costituirsi in Società di Mutuo Soccorso. Non parlò al deserto e
il 1 aprile (1861) veniva fondata la prima Società Operaia delle Langhe.
Fatto sconvolgente, in quell’aria reazionaria che si
respirava in provincia, e infatti “l'annuncio della società nascente
mise in armi tutta la donrodigaglia di
allora", come ricordò in una lettera.
..il Governo adoperò le manette..
Abba
restò nella relativa quiete di quello che
era allora un villaggio contadino fino al 1880, iscrivendosi alla Massoneria
nel 1869, occupandosi della vita provinciale in cui lui, intellettuale con alle spalle l’impresa di Sicilia, non poteva
certo restare anonimo. Lo troviamo così occupato nell’amministrazione del paese
di cui fu consigliere e, per nove anni sindaco: in tale veste si
interessò all’edilizia pubblica, alla creazione della locale
Società di Mutuo Soccorso, all’istruzione elementare, alla fondazione di un istituto di credito per i concittadini.
Anche
la politica non poteva non attrarre il
nostro ancor giovane reduce: per due volte presentò la propria
candidatura al Parlamento
ma entrambe fu sconfitto: “l’aedo
dei Mille” non era ancora conosciuto come tale e non riuscì a raccogliere
le poche decine di voti allora sufficienti per l’elezione.
Furono
anni appartati, ma soprattutto di delusioni e di crolli delle speranze.
Già alla fine dell'impresa dei Mille, in quella che avrebbe dovuto essere “una guerra non contro i Borboni, ma degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli, che non sono solo a Corte, ma in ogni città, in ogni villa”, e che si era invece trasformata in un’annessione, Abba aveva capito che i veri problemi sarebbero incominciati allora, e che il futuro sarebbe stato, per chi aveva nel cuore gli ideali garibaldini, tutt'altro che roseo: "e mi par che cominci a tirar un vento di discordie tremende", scriveva allora nell'ultima pagina.
Dopo le “leggi Siccardi” e l’incameramento dei beni
ecclesiastici si pronunciò per una più attenta ed equa distribuzione delle
terre tolte alle soppresse corporazioni religiose, con le quali, se vendute in
piccoli lotti, si sarebbe potuto creare un mezzo milione di piccoli proprietari
–coltivatori : “quello era il modo più
efficace di cominciare a fare gli italiani, appena finito di fare l’Italia”.
Invece i terreni confiscati furono venduti in lotti enormi, finiti ovviamente
nelle mani di ricchi aristocratici.
E anche di fronte alle prime proteste operaie la sua
posizione è netta:
già nel 1863 aveva colto e registrato in questo modo uno dei primi scioperi a
Torino: "una forma d'azione e
parola quasi sconosciuta in Italia.. e alla maniera che si reprimevano le
manifestazioni politiche violente… il Governo adoperò le manette”.
Analogamente si pronuncia in favore dell’istruzione pubblica obbligatoria e gratuita: “credo che il grido testé venuto dall’Inghilterra: “educhiamo i nostri futuri padroni!” debba persuadere i ricchi che l’istruzione e l’educazione soltanto potranno far scomparire la plebe e renderne impossibili le allegre vendette”. Forse la motivazione era un poco obliqua, ma lo scopo era certo nobile: teniamo presente che quando, dieci anni più tardi, nel Parlamento Italiano si stava dibattendo la promulgazione di una legge a favore dell’istruzione pubblica obbligatoria e gratuita, il Papa Pio IX inviò, il 3 gennaio 1870, una pressante richiesta a Vittorio Emanuele II con la quale supplicava il Re a non realizzare questo progetto: ““Maestà,(..) Vi unisco poi la presente per pregarLa a fare tutto quello che può affine di allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice, relativa alla Istruzione Obbligatoria. Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le scuole cattoliche, soprattutto i seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla religione di Gesù Cristo! Spero dunque che la V. M. farà si che, in questa parte almeno, la Chiesa sia risparmiata. Faccia quello che può, Maestà, e vedrà che Iddio avrà pietà di Lei. Lo abbraccio nel Signore
..dalla parte che doveva reprimere..
![]() |
| Mario Abba carabiniere a Massaua nel 1895 |
| gli arrestati vengono condotti in tribunale |
Poco per volta, mentre i suoi compagni della Sicilia
spariscono uno dopo l’altro (non prima però che i 1000 di Garibaldi
fossero diventati, ai fini “pensionistici”, molte migliaia), l’Abba
diviene comunque un simbolo dell’Italia eroica, chiamato
nelle principali
città a commemorare Garibaldi: nel 1907 è a Roma, per pronunciare
in Campidoglio l’orazione ufficiale a ricordo dell’impresa
dei Mille, e fra i suoi ascoltatori c’è il Re.
Nel
1910, infine, a coronamento della sua vita, arriva la nomina a Senatore del
Regno: trenta anni prima l’aveva ripetutamente cercata senza ottenerla,
ora -invano (così almeno scrisse)- vorrebbe rifiutarla.
Cinque
mesi più tardi, il 6 novembre, Giuseppe Cesare Abba muore all’improvviso in una
strada di Brescia. La sua tomba è nel cimitero di Cairo.
E alla fine della sua vita, una frase che ha il
valore di testimonianza del fallimento dei sogni di una generazione intera: "L'Italia l'ho veduta farsi e so
com'è: essa è venuta su quale doveva essere: il feudo di una classe di furbi,
viventi di mutua assistenza e di mutui salvataggi " .
Per fortuna oggi, come ben sappiamo, non è più
così..
APPENDICE
Quando Abba scoprì di essere morto….
Non a tutti capita di leggere il proprio necrologio
Pensiamo
che G. C. Abba abbia fatto un bel sobbalzo sulla sua poltrona, quando lesse il
VI fascicolo di “”Natura ed Arte, rassegna quindicinale italiana di scienze,
lettere ed arti” del marzo 1901. Arrivato alla pag. 432, nella rubrica
(dall’incoraggiante titolo) Gli
ultimi scomparsi), dopo il necrologio della vedova di Urbano Rattazzi, “donna di grande ingegno ma trasse vita
disordinata ed avventurosa”, e quello di L. Chirtani “critico prezioso
per i giovani ancora incerti e cercanti ansiosi la nuova via da battere”, si
annunziava infatti la dipartita di “G. C. Abba, noto insigne
collaboratore, patriota,
scrittore ammirato ed amato. Chi non ricorda il suo bellissimo libro Da Quarto al Volturno? E le Noterelle
garibaldine? E Alle rive della Bormida? E tanti altri lavori, tanti altri
deliziosi lavori di piccola mole? Nato a Cairo Montenotte nel 1838, andò con Garibaldi
a Marsala: e nei brevi riposi dei bivacchi di quella meravigliosa spedizione
scriveva i versi ai quali poi riuniti diede forma di poema e pubblicò col
titolo Arrigo. Fu all’Università di Pisa dal 1864 al ’66: e in quest’anno tornò
sotto le bandiere di Garibaldi e, a Bezzecca, guadagnò la medaglia al valor
militare. Era da parecchi anni insegnante di letteratura italiana a Brescia.
Anche a lui la nostra ammirazione e il nostro sincero rimpianto”.
Parole lusinghiere, invero: ma alquanto intempestive, visto che il poeta era ancor vivo e vegeto.
Immaginiamo che Abba, dopo qualche gesto scaramantico, abbia preso carta e penna e chiesta una rettifica, assicurando di essere ancora tra i miseri mortali.
E la comunicazione ebbe il suo
effetto, tant'è vero che il numero successivo di Natura ed Arte pubblicò
la doverosa rettifica: “ Nel precedente fascicolo, seguendo un errore della
stampa quotidiana milanese, annunziammo la morte del chiarissimo nostro
collaboratore G. C. Abba, preside del Liceo di Brescia. Da una cartolina
pervenutaci, a pubblicazione compiuta, apprendemmo invece che l’insigne
letterato e patriota è vivo e vegeto, e non possiamo che congratularci con Lui,
sinceramente, come sinceramente l’avevamo pianto fra gli scomparsi. E ad multos
annos, carissimo Professore”.
E così l’Abba ebbe anche il privilegio, comune a pochi mortali, di leggere il proprio necrologio comodamente seduto in poltrona, e magari con un sigaro in bocca!
La morte lo coglierà a Brescia nove anni dopo, il 6 novembre del 1910. E questa volta senza possibilità di rettifica.
Leonello Oliveri
Proprietà letteraria riservata
Riproduzione vietata


