Leonello Oliveri
Studiare la storia della
propria terra significa anche riscoprire le lente, sofferte tappe attraverso le
quali coloro che ci precedettero arrivarono nel tempo a costruire per sé e per
iCosseria 1491
propri figli una vita di uomini liberi.
La conquista
della dignità di un uomo, dei diritti civili e sociali, fu un lento travaglio
iniziato (o meglio, iniziato di nuovo) nel Medioevo e che mai può dirsi
concluso, perché non solo la libertà ma
anche i diritti fondamentali, primo fra
tutti l’indipendenza dalla povertà, non sono un bene che si conquista una volta
per tutte:
e ciò è tanto più attuale oggi, in un
periodo nel quale talora -con il pretesto delle precarie condizioni di
sicurezza ed economiche in cui si vive- i nostri fondamentali diritti civili e
sociali sono tutt'altro che considerati intangibili. Quanto si è conquistato con secoli di lotte può essere
riperso, in un attimo o per lenta erosione, e per riconquistarlo occorrono nuovamente secoli.
C’è un esempio illuminante al riguardo: nel 287 a.
C. con la lex Hortensia ([1])
la plebe romana ottiene una conquista importantissima: le sue deliberazioni
diventarono legge per tutti, patrizi e
plebei. In quell’anno si conclude un
iter di lotte iniziato oltre 200 anni prima, e i plebei conquistano
l’uguaglianza giuridica nei confronti dei patrizi: da allora tutti i
cittadini romani ebbero (teoricamente) gli stessi diritti ([2]).
Tale uguaglianza verrà persa 300 anni dopo, quando la Repubblica diverrà
Impero. Ebbene, per riconquistare tali diritti, e prima di tutti quello di
voto, occorreranno duemila anni di lotte: perché tutti (i maschi liberi e
maggiorenni) potessero riottenere il diritto di voto in Italia bisognerà infatti
aspettare fino alla riforma elettorale del 1912 (suffragio universale
maschile). Insomma, la plebe di Roma aveva più diritti 2000 anni fa di quanti
ne avessero i nostri bisnonni all’inizio del secolo ([3]).
Può essere quindi interessante ripercorrere
le prime, incerte tappe che nel medioevo ormai avanzato
segnarono per i nostri antenati valbormidesi la riconquista dei loro primi e
più importanti diritti. Ovviamente non parleremo di quelle libertà garantite oggi
dalla Costituzione, impensabili nel Medioevo, ma dei diritti fondamentali, primo fra tutti l’indipendenza dalla povertà,
In realtà il termine di diritti può essere, in questi casi, improprio: nei secoli XIII e XIV, infatti, il rapporto tra l'autorità - il feudatario- e il suddito non era certo paragonabile a quello attuale: il suddito era appunto suddito, non poteva certo pretendere sulla base di un diritto naturale ma solo chiedere. Maggior, rispetto meritano quindi le conquiste di allora proprio per la notevole distanza tra il "cittadino" e il signore e dietro le benigne concessioni di quest'ultimo c'erano, spesso, secoli di sopraffazioni, sofferenze, attese e delusioni.
In questo nostro articolo vogliamo brevemente ripercorrere alcuni di questi momenti, incentrando in particolare la nostra attenzione su un documento risalente al 13 settembre del 1253.
Con esso il marchese Giacomo Del Carretto
concede agli abitanti di Millesimo il diritto di pascatico, cioè la possibilità di far pascolare le loro bestie su di un ampio prato di sua
proprietà che si stendeva lungo le sponde del Bormida, dal prato del monastero
di S. Stefano da una parte e il torrente Zemola dall'altra, fino al "Rivum
Frigidum", Riofreddo.
Poca cosa, si dirà.
In realtà la concessione, operata dal
figlio di quell'Enrico Del Carretto che aveva rifondato -cioè rivitalizzato e
rilanciato - Millesimo nel 1206, è importante nella ricostruzione della lenta
conquista dei diritti da parte degli abitanti del paese: è infatti ovvio
che tale concessione, in un periodo in cui l'agricoltura rappresentava la
principale fonte di vita, rappresentava un passo indispensabile per il
costituirsi di un territorio comunale che fosse gratuitamente fruibile dagli abitanti per una destinazione in senso lato agricola
(in questo caso il pascolo del bestiame) senza che gli stessi fossero obbligati al pagamento di un canone, o
comunque soggetti al beneplacito del feudatario. Nella dialettica Comune (o
meglio, Comunità)- Signore questo documento assume quindi un'importanza
notevole, garantendo l'acquisizione da parte degli abitanti di Millesimo di un elemento
indispensabile per la realizzazione di quella indipendenza economica senza la
quale era impossibile sia una dignitosa condizione di vita sia una
rivendicazione dei propri diritti civili.
C'è ovviamente da notare che la
concessione viene fatta dal feudatario non perché lo stesso riconoscesse ai
suoi sudditi il diritto di usufruire della
terra, ma solo in ringraziamento del buon servizio che egli ricevette e
spera di ricevere ancora dagli abitanti di Millesimo: un dono graziosamente
elargito, quindi, e non una conquista sulla base di un diritto.
Ma da allora quello del pascatico resterà per la Comunità millesimese un
diritto irrinunciabile.
Ecco, di seguito, e tradotto in italiano, il testo del primo documento
ricordato in queste brevi note, quello del 13 settembre 1253:
"Donazione
fatta dal Marchese Giacomo Del Carretto di parte di pascolo ivi descritto a
favore degli uomini e Comunità di Millesimo
-13 settembre 1253.
In
nome di Dio Amen. Alla presenza dei testimoni sottoscritti il sig. Giacomo Del
Carretto Marchese di Savona per sé e per i suoi eredi, gratis e per
riconoscenza, dona a Enrico Giudice di Finale, accettante al posto e a nome
della Comunità degli abitanti di Millesimo, per il buon servizio che dagli
stessi abitanti ha ricevuto e spera di ricevere (tutto il dominio utile) da una
parte e dall'altra del fiume Bormida dal prato del Monastero di S. Stefano da
una parte e dal torrente Zemola dall'altra fino a Rio Freddo, in modo che gli
stessi abitanti di Millesimo e i loro eredi in perpetuo possano e debbano far
pascolare le loro bestie senza alcuna contraddizione da parte dello stesso sig.
Marchese o suoi eredi promettendo per parte sua e dei suoi eredi di considerare
e tenere la predetta donazione ferma in eterno e di non revocarla mai né
personalmente né tramite altri. A memoria di tale decisione e per sicurezza
degli abitanti (il Marchese) ordinò che venisse
redatto questo pubblico documento.
Fatto
a Finale, nella sala grande del palazzo nell'anno 1253 il giorno di sabato 13
del mese di settembre. Testimoni Bernardino Giudice , Giacomo Battista Giudice
e frate Anselmo dell'ordine dei Minori.
Io
Bernardo di Varazze notaio scrissi per ordine del Marchese"
Quello di pascatico era un diritto fondamentale, per il quale le comunità si erano battute già da tempo, dovendo lottare sia col Feudatario, sia con le comunità vicine.
Al 1080 risale, per esempio, una delle
prime convenzioni, quella tra gli uomini di Cairo (tam maiores quam minores)
e quelli di Savona ([4]),
riconfermata nel 1194 ([5]).
Nel 1136 saranno i Deghesi a stipulare
un’analoga convenzione sempre con
Savona ([6]), nel 1227 ([7])
gli uomini di Millesimo e Cosseria, nel 1256 ad ottenere tale diritto saranno gli
uomini di Carcare, Bogile, Altare ([8]).
A queste concessioni altre se ne aggiungeranno nel corso degli anni.
Il 22 febbraio 1270 i figli di
Giacomo, i marchesi Corrado I ed Enrico
III, rinunciano in parte alla riscossione di alcune tasse di successione,
compravendita, donazioni, mentre l'anno successivo, il 14 gennaio, il giudice
Marenco sentenzia che ogni "bandita"
(cioè ogni proibizione fatta dal
feudatario di accedere a determinati boschi) sul territorio di Cosseria, Cengio
e Roccavignale non doveva pregiudicare i diritti di boscatico‚ legnatico,
pascatico (la possibilità cioè di
raccogliere legna e far pascolare le bestie) già goduti dai millesimesi: segno
inequivocabile, questo documento, che
la Comunità ha ormai raggiunto una maturità tale da poter ricorrere alla
Magistratura nella difesa dei propri diritti di fronte alle pretese dei feudatari.
Altra conquista di grande importanza è
quella relativa al diritto di successione.
A
Cairo una concessione di tal tipo risale al 1225 ([9]),
diritto riconfermato nel 1307 ([10]).
A Cengio tale diritto è confermato nel 1440, allorché i rappresentanti della
comunità riescono ad ottenere da Corradino ed Ottone del Carretto che, qualora
qualcuno morisse senza aver fatto testamento e senza figli, i suoi beni
andassero ai suoi fratelli e sorelle e non, come prima, al feudatario ([11]).
E’ interessante notare che i “diritti” che
vengono così conquistati, e per i quali furono necessarie continue riconferme,
riguardano esclusivamente aspetti per così dire “economici” e non le fondamentali
libertà costituzionali quale la
intendiamo noi: per queste bisognerà aspettare ancora almeno fino alla Rivoluzione Francese.
Ed è altrettanto ovvio che proprio la necessità
di continue conferme per diritti ormai acquisiti testimonia che, in realtà,
tali acquisizioni dovevano essere continuamente difese.
E questa è una lezione da non dimenticare.
Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria riservata
[1]) La Lex Hortensia De Plebiscitis fu
promulgata a Roma in seguito ad uno dei tanti conflitti tra patrizi e plebe. Con tale legge le decisioni prese durante i concilia
plebis erano vincolanti per tutti, patrizi e plebei. Di conseguenza i plebisciti (le decisioni dei concilia
plebis tributa), furono equiparati alle leges rogatae, emanazione dei comitia centuriata
dove la nobilitas aveva la maggioranza.
[2] ) Ovviamente tale parità di diritti era solo teorica: lo Stato romano viveva a spese delle popolazioni sottomesse, i plebei (di Roma) potevano sì votare ma la loro incapacità economica li rendeva clientes dei loro patroni, con tutte le conseguenze del caso, specie appunto in occasione delle votazioni (che si svolgevano solo a Roma). Perché i diritti connessi con la cittadinanza romana venissero estesi a tutte le province bisognerà aspettare 400 anni, fino alla Costituzione Antoniniana di Caracalla del 212 d.C.
[3] ) Del resto i diritti (secondo alcuni i privilegi) sul campo lavorativo e sociale di cui godevamo anche solo una ventina di anni or sono non erano forse maggiori rispetto agli attuali ?
[4] ) 5 maggio 1080, Savona gli uomini di Cairo e Savona stipulano una convenzione:
Conventio inter homines de Cario tam maiores quam minores ad pascendum a iugo usque mare sine scadica et pascatica. Et si avenerit ut bestie illorum dannum fecerint per negligentiam pastorum, tum illi homines emendent damnum. Preedicti homines de Cario sponderunt quod in predictis silvis nullum laborem faciant nisi habitaciones ad pastores et bestias eorum.(Atti
e Memorie Società Savonese Storia Patria – AMSSSP-,XXI,1986,56)
[5] ) 11 gennaio 1194 Savona il Comune di Savona e gli uomini di Cairo stipulano una nuova convenzione:
[6] ) 25 marzo 1136, I consoli di Savona e gli uomini di Dego fanno una convenzione:
[7] ) 5 maggio 1227, Savana Amedeo di Savoia,vicario imperiale concede franchigie agli uomini di Millesimo e Cosseria:
Carta inter comune Saone et homines Cruceferriae. Amedeus concessit Henrico Calcebovi de Cruceferrea et Raimondo Flore, Willielmo Taliecerro, Andrea Bynico etc. de Meleximo recipientes vice homines de Cruceferria et de Meleximo et omnium hominum domini Henrici de Carcheribus, et Bocili et Altaris habere libertatem et franchitatioem in Saona tali modo quod non teneantur dare pascaticum, pedagium, gabellam nisi tam quam aliqui cives Saone et pro hac datione et concessione supradicti Henrico et Raimundo (promiserunt) adiuvare, difendere et mantenere civitatem Saone et omnes homines habitantes in ea tam per pacem quam per guerra (sic!) et contra omnes homines preter contra quem suum dominum vel dominos
| Cengio 1440 |