sabato 22 febbraio 2025

13 14 APRILE 1796: LA BATTAGLIA DI COSSERIA

Leonello Oliveri
Proprietà letteraria riservata
Riproduzione Vietata

La battaglia di Cosseria (detta anche, ma impropriamente, di

Assalto alla porta del castello

Millesimo), che si svolse fra il 13 e il 14 aprile del 1796 intorno alle rovine dell'antico castello dei Del Carretto, fu quella che aprì a Napoleone le porte del Piemonte durante la Campagna d'Italia del 1796: con essa il generale corso diede l'avvio ad una brillante carriera che avrebbe fatto di lui, fino ad allora oscuro generale della più scalcagnata delle armate francesi, l'Imperatore dei francesi, colui che fece tremare i troni d'Austria, Inghilterra e Russia.

Con la battaglia di Montenotte (11 aprile 1796) , Bonaparte era riuscito a valicare la catena alpino-appenninica scendendo nella valle. Inoltre aveva fatto arretrare l'esercito austriaco da Montenotte a Dego. Pochi chilometri, ma sufficienti ad interrompere te comunicazioni tra le truppe austriache e quelle piemontesi, che da Ceva arrivavano fino a Millesimo e Cosseria. Fra i due schieramenti si insinuano come un cuneo le truppe francesi.

Dal disegno di Martinel/Bagetti il Campo di Battaglia di Cosseria

Per allargare questo spiraglio il 13 aprile Bonaparte spinge le sue truppe verso Millesimo. Intanto le truppe dei generali francesi Augereau, Menard e Joubert, che non avevano praticamente preso parte agli scontri di Montenotte, si dirigono verso Cosseria, Millesimo e Montezemolo.


 Jubert con 1800 uomini risale dalla chiesa delle Grazie presso Cairo il vallone di Cummi in direzione di Cosseria, respinge i posti di guardia dei Croati al bric Pattaria e alla cappella di S.Damiano facendoli ripiegare al bric del Cavallo e interrompendo così in modo definitivo le comunicazioni con le truppe austriache attestate intorno a Dego.

Le truppe francesi entrano a Millesimo

Menard con 900 uomini della 8' leggera e 2400 della 39a brigata (gen. Beyrand) risale da Carcare la valle del torrente Nanta lungo la “strada del Cornarè" (frazione di Carcare in direzione di Millesimo), respinge un piccolo gruppo di Cacciatori austriaci (Milizie Della Rocca) appostati al bric Orgin sopra la Colla, a sinistra di Montecala, e occupa la chiesa parrocchiale di Cosseria.

Sotto la spinta dei francesi un corpo di 500 croati, guidati dal generale Provera, ripiega nel castello di Cosseria ed è subito assalito dal nemico. All'improvviso le truppe francesi verso Millesimo vengono attaccate alle spalle. E' il 3o battaglione dei Granatieri piemontesi, comandato dal tenente colonnello Filippo Del Carretto, marchese di Camerano. Questo battaglione, composto di sei compagnie (due del rgt. Monferrato, due del Marina, due del Susa), in tutto 548 soldati e 21 ufficiali, era stato inviato in ricognizione dal generale Colli, comandante le truppe piemontesi accampate oltre Montezemolo.

Il castello sul monte nella stampa coeva di Martinel/Bagetti


Oggi

Appena passato Millesimo, forse un poco imprudentemente, senza farsi procedere da un velo di pattuglie, si trova di fronte forze francesi molto superiori. Vedendo in difficoltà i Creati di Provera, il Del Carretto ordina alle due compagnie del Monferrato (180 uomini) di assalire alla baionetta le linee nemiche più esterne.

Aggredite all'improvviso e con determinazione le truppe francesi, spesso in difficoltà quando non dispongono dell'iniziativa, hanno un momentaneo sbandamento. Il comandante piemontese, approfittando della sorpresa, fa filare alternativamente a scaglioni le sue compagnie dietro al provvisorio riparo costituito dalle mura del castello: quattro si ritirano e due fanno fronte al nemico; l'operazione viene ripetuta fino a che tutti i piemontesi sono all'interno del recinto del castello, che era appartenuto agli avi del loro comandante. Così almeno raccontano le ricostruzioni ottocentesche della battaglia.





Con i Croati sono circa 1100 uomini (1) : all'alba del aprile, oltre 6000 francesi si buttano all'attacco, ha inizio la battaglia di Cosseria.


L'assalto francese si sviluppò su tre colonne, comandate dall'aiutante generale Banel dalla parte, assai scoscesa, della Braida (2), con la 51a brigata e un battaglione della 39 a, da Joubert (al centro, lungo la pianeggiante ma stretta cresta del bric della Guardia) con la 3 a leggera, e da Quenin, a ovest, lungo il contrafforte del brie Alberi con la 18 a brigata: probabilmente questa colonna dovette costeggiare un lungo tratto delle mura del castello, esposta ad un fuoco di infilata, prima di giungere alla sua porta, mentre le altre due si riunirono davanti al settore nord del castello, dove il muro di cinta era quasi totalmente crollato. Questo fu il settore dove più vivaci si svilupparono gli assalti, essendo l'unico sufficientemente ampio per permettere agli assalitori di spiegarsi. Era anche l'unico settore in cui il terreno era pianeggiante e il dislivello fra esterno del castello e interno non troppo notevole (3).


Vi furono tre assalti.

Il primo intorno alle 8 del mattino del 13, al momento del primo contatto fra le truppe francesi e quelle piemontesi, un secondo verso le 11, lanciato dai francesi contro le truppe asserragliate all'interno del castello, ed un terzo, dopo un cannoneggiamento durato più ore nel pomeriggio, dalle 16 al tramonto dello stesso giorno (4). In nessuno di essi i francesi riuscirono a superare i trinceramenti che le truppe piemontesi e croate, disposte su tre file, avevano improvvisato: arrivati finalmente a contatto con la prima fila dello schieramento avversario (disposta lungo la cinta più esterna, crollata fino alla base) i francesi cercarono perfino di aggrapparsi alle baionette dei granatieri piemontesi per romperne lo schieramento, ma furono bloccati.

Il prato all'interno del castello dove era schierata la prima
linea di difesa

Solo sette assalitori riuscirono a superare la fila più esterna, mettendo piede all'interno del pianoro del castello, ma furono tutti abbattuti (5).

Per i francesi fu uno scontro ben diverso, e assai più sanguinoso, rispetto a Montenotte. Condotti con grande determinazione, in colonne serrate (6), in un luogo aperto e privo di ogni protezione, contro avversari altrettanto determinati, gli assalti si mutarono in un terribile massacro per i francesi, ammassati davanti alle rile nemiche: "En moins d'un quard d'heure 300 morts et 600 blessès jouncent le sol", ricorda una non sospetta fonte francese (7). Un'intera brigata, quella comandata da Joubert, dovette essere ritirata dal combattimento perché falcidiata dal fuoco piemontese.



I francesi persero oltre 1000 secondo alcune fonti,  (8). La violenza dei combattimenti è testimoniata dal fatto che furono uccisi o feriti tutti i comandanti delle colonne attaccanti: Banel e Quentin morti (il primo, ferito alla testa "vicino alla cassina Braida”, a settentrione del castello fu trasportato in una casa a Marghero dove morì e - secondo alcuni - fu sepolto (9), il secondo "ucciso sul campo da una balla che trapassolli il petto alla testa di sua colonna presso la cascina Bosio sulla colla di Millesimo", Joubert ferito da una pietrata (10) . Gli austro-piemontesi persero 150 uomini, fra cui il loro comandante, Filippo Del Carretto, che fu il vero animatore della lotta, avendogli il Provera - superiore di grado - ceduto il comando (11).
Castello di Cosseria: è possibile che i caduti della battaglia 
riposino ancora nella parte terminale del fossato


L'enorme numero di perdite francesi (pari almeno al 3% dell'intero corpo di spedizione in Italia e al 17 % delle truppe attaccanti) secondo molti storici non fu probabilmente né compensato né richiesto dall'importanza tattica della conquista: il castello di Cosseria e i suoi 1000 difensori (la cui resistenza non ebbe del resto risultati pari ai sacrifici sostenuti) avrebbero probabilmente potuto essere presi da un costo molto minore con altri mezzi; le stesse fonti francesi definiscono la battaglia un inutile massacro ricordando che Napoleone era "peu meager du sang de ses soldats"(12). I piemontesi si arresero solamente la mattina del 14 quando, caduto il Del Carretto, esaurite le munizioni (ma v. oltre) ed ottenuto l'onore delle armi dalle truppe francesi, possono affermare "avec raison qu'ils ont assez fait pour l'honneur des armes sardes ". Invano avevano atteso per tutta la notte e parte della mattinata l'aiuto del generale Colli, le cui truppe erano attestate a pochi chilometri, a Montezemolo, in grado di vedere (e probabilmente anche sentire) lo scontro di Cosseria.

Inutile fu anche il tentativo di cittadini di Millesimo che si recarono fin da lui per informarlo su quanto stava succedendo a Cosseria: Colli non venne in aiuto del suo battaglione.

Le trattative per la resa  sul pianoro
all'esterno del castello

Proprio la condotta di questo generale, che alcune fonti dicono facesse la guerra “sempre indietreggiando” -forse perché ossessionato dalla paura di essere aggirato (tramite la strada da S. Giacomo di Murialdo a Castelnuovo di Ceva i francesi avrebbero potuto sbucargli alle spalle in caso di eccessiva avanzata) e/o per portare i francesi in Piemonte anziché, lui suddito dell'Austria, nell'austriaca Lombardia?- lascia aperti interrogativi su una guerra a proposito della quale il Barrili scrisse che "politici maneggi troppo influirono sulle sue sorti" (13).



La resa


A mezzogiorno del 14 i superstiti del 3 o btg. Granatieri e dei Croati lasciano quelle mura oltre le quali, finché c'era una ragione per resistere, nessun francese era potuto passare. La scena della resa ebbe un lontano testimone oculare, l'ufficiale comandante le due compagnie del rgt. Saluzzo inviato dal Colli in soccorso. Arrivato sulla riva sinistra della Bormida, dalla parte di Roccavignale, "il rumore del tamburo che dal castello batteva il suo cupo segnale della resa gli fece levare la testa e si accorse che era arrivato troppo tardi perché riconobbe -il sole già cominciava a colorare questa montagna testimone di tanto eroismo e tinta dal sangue di tanti coraggiosi che stavano per soccombere, che le truppe evacuavano il castello. Si arrestò due ore in quella posizione poi ritornò a Montezemolo"(14). Gli stanchi granatieri sfilarono tra le truppe francesi che resero gli onori militari e deposero quelle armi che nessuno era riuscito a strappare loro "in un pianoro ad ovest del castello": li aspettava la prigionia e il “codardo oltraggio” di quanti, eroi della retroguardia e dell'ultimo minuto, erano già passati dalla parte dei vincitori". Gli ufficiali furono invece rimandati liberi a casa “sulla parola” .



Questa è la ricostruzione precisa e nota della battaglia di Cosseria.


In realtà tale ricostruzione lascia aperti due interrogativi.
Il primo concerne l’origine stessa della battaglia, che in molte ricostruzioni sembrerebbe quasi essere nata per caso: il gen. Provera nella sua ritirata capita a Cosseria, il col. Del Carretto nella sua avanzata si imbatte nei francesi e ripiega casualmente nel castello di Cosseria.
Il secondo interrogativo riguarda i motivi della resa, fra i quali viene ricordato l’esaurimento delle munizioni.

Ora nuovi documenti (o meglio, vecchi documenti un poco trascurati, fra i quali uno sorprendente), permettono di definire meglio il quadro, anche con risvolti sorprendenti e inattesi.

Per quanto riguarda il primo problema, la pubblicazione (già nel lontano 1914!) dei documenti dello Stato Maggiore piemontese relativi agli scontri del ’96 (presentati nella nota 13) dimostra chiaramente che sia il Provera che il Del Carretto avevano ricevuto disposizioni precise di raggiungere il castello di Cosseria.

Per quanto riguarda la mancanza di munizioni come uno dei motivi della resa, questa motivazione non mi ha mai convinto pienamente.
Le truppe piemontesi partivano in ordine di battaglia, generalmente, con almeno 40- 50 cartucce per soldato ( i francesi ne portavano 80). Inoltre nel castello erano stati introdotti anche due muletti carichi di munizioni. I granatieri presenti a Cosseria non erano stati impegnati a scontri a fuoco prima del 13 aprile, e quindi dovevano avere le provviste di munizioni intatte. Non è molto facilmente comprensibile che truppe esercitate e disciplinate come quelle sprechino 40- 50 colpi per ogni soldato per fronteggiare tre assalti nemici, in cui verosimilmente neppure tutti i soldati erano sulla linea di fuoco (le truppe erano scaglionate su tre quote diverse) e i soldati delle prime file non poterono certo tirare (anche vista la conformazione del terreno) più di tre- quattro - scariche prima di arrivare al contatto fisico col nemico, che veniva poi risolto all'arma bianca. Alla mattina dei 14 aprile, dopo tre assalti (che si svolsero prevalentemente su un solo lato del castello), e pur considerando l'effettuazione di tiri di interdizione nelle pause fra gli assalti, i soldati dovevano avere ancora buona parte del munizionamento individuale. Semplicemente –questa era la mia opinione già nel 1996 - gli ufficiali piemontesi e croati capirono - caduto il del Carretto e vista la mancanza di soccorsi da parte del Colli - l'assoluta inutilità di un ulteriore spargimento di sangue e l'opportunità di iniziare trattative di resa avendo ancora una "forza contrattuale" (rappresentata da una residua capacità di fuoco) da far pesare. Il che, ovviamente, non toglie nulla al loro valore, anzi, lo fa diventare meno disperato e più produttivo.

Decorati per la battaglia

Il "Disertore" di Cosseria

Ora ho finalmente notato un documento (pubblicato nel lontano 1914!) che in un certo senso dà ragione ai miei dubbi e rivela un aspetto molto umano nella psicologia dei soldati asserragliati dentro il castello, che –comprensibilmente- non avevano certo troppa voglia di farsi ammazzare.



Si tratta di un documento pubblicato nel 4° volume dell’opera Campagne de l’Armée d’Italie 1796-97 di G. Fabry alla pag. 204. Si intitola “Rapport d’un diserteur pièmontais desortè de la redoute” , è datato al 26 germinal-14 april- (Il rapporto proviene dalla Corrispondance de l’armèe des Alpes et d’Italie all'Arch. Guerre. La numerazione della pagina (204) si riferisce alla sezione Documents registre de l’Etat – Major Piémontais messa in calce al libro nell’indice dopo pag. 249).
Esso rivela un particolare molto interessante e riassume quanto questo “disertore” avrebbe raccontato ai francesi.

Chi fosse questo “disertore” non è dato a sapersi. Sappiamo però che nella notte tra il 13 e il 14 aprile un granatiere piemontese (caporale del rgt. Susa) fu inviato fuori dai trinceramenti piemontesi, vestito con una divisa francese, per cercare di raggiungere le truppe piemontesi a Montezemolo e chiedere aiuti. Di lui non si seppe più nulla. E’ quindi possibile che sia stato catturato dai francesi e che – per salvare la pelle (era in divisa del nemico, motivo più che sufficiente per un plotone di esecuzione)- si sia fatto passare per disertore anziché per messaggero inviato alla ricerca di rinforzi, o che come tale lo abbiano sbrigativamente identificato i francesi. Se le cose stessero cosi (ipotesi più che possibile) il termine “disertore” sarebbe veramente improprio.

Ecco il testo del rapporto, tradotto dal francese: “ Nella ridotta di Cosseria ci sono sei compagnie di granatieri di cui due del Rgt. Monferrato, due della Marina e due del ?Sara? ( illeggibile: probabilmente deve leggersi Susa) : 400 uomini. Ci sono poi circa 1200 Croati o Austriaci di diversi corpi . Non c’è né pane né viveri di alcuna specie, né acqua. Questa notte volevano andarla a cercare, ma gli avamposti (francesi) lo hanno impedito. Ci sono molte poche munizioni da guerra. I granatieri non hanno più munizioni, essi hanno gettato nel fuoco quelle che restavano loro. I muli entrati ieri erano carichi di cartucce. Il colonello Caretti, comandante dei granatieri, è stato ucciso ieri sui trinceramenti”.

Stando quindi comunque alle rivelazioni del “disertore” (uscito dal castello dopo la morte di Del Carretto e prima della resa, quindi nella notte fra il 13 e il 14) i granatieri, senza viveri (ancora l’8 aprile il Re aveva proibito di distribuire lardo e legumi ai soldati che non fossero nei posti avanzati..) considerata ormai inutile la resistenza, avrebbero buttato nel fuoco le loro munizioni residue per rendere inevitabile la resa.

Come ho detto, avevo avanzato l’ipotesi che il “disertore” fosse in realtà il soldato piemontese inviato in divisa francese per cercare aiuti. Anni dopo la pubblicazione del mio articolo, ho trovato una conferma in un secondo testo. Si tratta di un autore francese assai autorevole, il Gachot.

Ebbene, nel suo articolo Le siège de Cosseria –documents inédit (Paris, Musée de l’Armée, H, 98, 2) a pag. 362 troviamo scritto: “Un caporal des grenadiers de Suse consentit à remplir cette mission pèrilleuse ( chiedere aiuti per gli assediati). Il prit la prècaucion de revetir l’uniforme d’un soldat francais mort. Mais le résultat de son entreprise resta ignoré de nous. Le caporal piémontais, ne connaissant pas le mot d’ordre, tomba aux mains des Français. Il fut classé comme deserteur, interrogé et Augereau tira de lui ce rapport qui contient des exagerations : « Il y a dans la redute de Cosseria six compagnies de grenadiers, dont deux du régiment de Montferrat, deux de la Marine, deux de Sardes, soit 400 hommes ; il y a environ 1200 Croates ou Austrichiens de differents corps ; ils n’ont ni pain ni vivres d’aucune espèce, ni eau (..) ; les grenadiers n’ont plus de munitions ; ils ont jeté dans le feu celles qui leur restaient (..). ».(15)

C’è infine da osservare che anche il Martinel nelle sue Istruzioni per la 2° vista di Cosseria, 26 germinal an 4 (13 aprile 1796) annotava : “I granatieri piemontesi animati dai loro capi non disperano di resistere in una posizione così formidabile e sono al posto più minacciato; si vedono sulla sommità i soldati austriaci pronti a combattere se lo si ordina loro ma sperano che il loro capo si lascerà imporre dalla fermezza del generale francese”


Qui non vogliamo disquisire sull’esattezza o meno del termine “disertore”, quanto sottolineare il comportamento dei granatieri che, (ovviamente stando al documento francese) avrebbero buttato nel fuoco le loro munizioni.

Come dobbiamo valutare questo comportamento? Una sorta di “ammutinamento“ soft? No di certo, semplicemente un atto diremmo di “autotutela” che dà un volto umano (e una personalità e una volontà) a questi ignoti soldatini, finora considerati solo numeri, e che invece non avevano, come comprensibile e naturale, troppa voglia di farsi ammazzare senza motivo e senza speranze, in nome di un re che di lì a poco sarebbe scappato (già allora!), di una “patria” per la quale erano solo sudditi e carne da cannone, di ufficiali che presi prigionieri, sarebbero stati rimandati a casa “sulla parola” (mentre i poveri soldatini verranno imprigionati in Francia), e che, in qualche caso, avrebbero poi continuato la loro carriera magari anche agli ordini di Napoleone.
Ma le munizioni avrebbero potuto essere buttate nel fuoco per non farle cadere in mani francesi al momento della resa.

Ovviamente queste sono solo mie opinioni personali, e come tali opinabili.


Dopo la battaglia: i soldati deportati, gli Ufficiali mandati a casa


Ma cosa successe dopo la battaglia ai Piemontesi sconfitti?
I soldati furono concentrati a Carcare, assieme ad altri prigionieri nella chiesa del Collegio. Di lì avviati, ovviamente a piedi, alla prigionia in Francia. Quanti di loro  avrebbero rivisto il Piemonte, non lo sappiamo.
Ben diverso, alla faccia dell'egalitè, il destino dei signori   ufficiali, che, liberi sulla parola, ottennero il permesso di ritornare alle loro case.
Quindi i 17 ufficiali piemontesi vengono condotti a Carcare dove,
Il Q.G. di Napoleone a Carcare

nell’edificio della "piazzetta", Bonaparte aveva installato il suo Quartier Generale. Cosa successe dopo ce lo racconta (in “Antologia Italiana, giornale di scienze, lettere, arti”, a. I, tomo II, Torino 1847,p. 632 sgg.) un testimone oculare e combattente nella battaglia, il gen. Carlo Birago, allora sotto luogotenente del Rgt. della Marina, Ia comp. Granatieri.

Nel Q. G. di Carcare incomincia una vera gara di cortesie: “gli uffiziali venero condotti a Carcare (..) il gen. Bonaparte ci invitò a far parte della sua cena che non era certo un banchetto (,..) tutti gareggiarono in cortesie spinte a segno da non profferire mai una parola intorno alla splendida giornata di Dego per aver riconosciuto che la nostra uniforme era quella delle due brigate di Monferrato e della Marina che, nonostante la lor bella difesa, avevano dovuto arrendersi".

Durante la cena Bonaparte nota che il Birago aveva l’uniforme della brigata della Marina e ricorda che, andando a Dego subito dopo la fine degli scontri aveva trovato “per via un ufficiale pieno di ferite ed ben malconcio da’ suoi soldati (..) ed aver saputo esser quegli capitano. Queste particolarità mi fecer fremere perché io avea un fratello capitano in quella brigata”.
Bonaparte, in mezzo a tutte le preoccupazione delle prime fasi della sua travolgente galoppata in territorio piemontese, nota l’ansia e la preoccupazione del Birago e decide di intervenire: “io vi darò un aiutante di campo perché ve ne agevoli la ricerca e se vi sarà dato di rinvenirlo io vi permetto di condurlo seco voi in Piemonte”: o gran cortesia dei cavalieri antichi, direbbe l’Ariosto.

Il Birago parte alla ricerca del fratello ferito, e si apre così un realistico squarcio sul dopo battaglia, con un’ansiosa ricerca fra le varie chiese (tra le quali quella del Collegio di Carcare) e le rimesse: “dove ammontavansi gli uni sopra gli altri i feriti”. Birago non trova il fratello che cercava, ma una altro fratello, capitano del rgt. Monferrato, caduto prigioniero a Dego, con alcune ferite leggere e “affatto ignaro della sorte dell’altro nostro fratello”. La ricerca del Birago, sempre accompagnato dall’ aiutante di campo, prosegue e finalmente “ entrai in una scuderia e ve lo trovai percosso da tre palle e da due colpi di baionetta, vergine ancora d’ogni soccorso e privo di ogni cosa perché lo avevano pienamente depredato”: drammatica e realistica testimonianza di quello che doveva essere la spietata realtà di un assalto alla baionetta e della sorte dei feriti.

A questo punto interviene l’aiutante di campo: “Quel buon aiutante di campo mandò subito per un chirurgo e gli ordinò di curarlo”. Ma le condizioni del ferito sono troppo gravi per permetterne il trasporto immediato, allora “il chirurgo mi assicurò che lo avrebbe curato con la massima diligenza”. La vicenda del fratello del Birago si conclude bene : “ io seppi che dopo alcuni giorni quel chirurgo essendo stato eletto medico in capo dell’ospedale di Savona vi condusse il mio fratello il quale, mercé l’ingegno e le cure di quegli, si ridusse fra pochi mesi nel seno della famiglia e, benché storpiato, visse fino al 1814 nel qual anno, riapertesi le ferite, dovette morire”. Dubitiamo che gli altri anonimi feriti abbiano avuto le stesse attenzioni.

A questo punto, conclusasi la vicenda personale del Birago, l’attenzione del nostro autore ritorna ad occuparsi delle vicende degli ufficiali, ai quali Bonaparte aveva promesso un salvacondotto affinché potessero ritornare alle loro case passando da Savona e Genova, onde non attraversare i luoghi degli scontri successivi.

Ma i passaporti non arrivano e i nostri ufficiali, dotati evidentemente di spiccate attitudini al comando, non si scoraggiano: “sdegnati andammo in buon numero direttamente al quartier generale. Trovatasi soltanto una sentinella, noi penetrammo fino alla camera del generale che pigliava alquanto di riposo”. La vicenda diventa quasi paradossale, con gli ufficiali piemontesi che piombano nella stanza dove dormiva Bonaparte: “al rumore dei nostri passi si scosse dal sonno e ci domandò con premura “Che volete?” “il passaporto promesso” Allora ei soggiunse: “E’ giusto, ed andrò a darvelo io stesso”. Però, un bel ritratto di un ufficiale gentiluomo. 
Ovviamente sempre che il racconto sia fedele.

Allora finalmente i 17 ufficiali piemontesi, liberi sulla parola, si incamminano, con tanto di passaporto e scorta, verso Savona “dove facevamo conto di imbarcarci per Genova” per tornare a casa".

E intanto gli altri, i poveri soldatini piemontesi e croati vinti a Cosseria, si trascinavano pietosamente a piedi verso la prigionia in Francia. Il Merla (O bravi guerrieri, p. 344), riporta la lettera del 16 aprile di un informatore da Vado: “I prigionieri a tutt’oggi fatti dai francesi in tutti gli eventi di Voltri, Montenotte, Sassello, Dego, Cosseria e Montezemolo sono passati da qui da seimila circa, compresi setto o ottocento piemontesi”: per loro l’Esercito della Rivoluzione non forniva né cene né passaporto. Non erano aristò, ma solo poveri cristi. E l'egalitè?

I nostri 17 ufficiali arrivano quindi a Savona: “il nostro arrivo in quella prima città fu un successo,”, ricorda l’autore, “perché nessuno poteva darsi ragione di vedere tante uniformi piemontesi con le loro armi” (agli ufficiali era stata lasciata la sciabola). Prima preoccupazione, prenotare un pranzo in un albergo, dopo di che si presentano al “ comandante militare ( francese) per fargli i nostri rispetti”. Poi all’albergo per un “desinare che fu un vero godimento”. Ma un problema inaspettato: arrivano in albergo anche “alcune ciarpe (sciarpe) tricolori (..). Era il rappresentante del popolo che a nome della legge veniva ad interpellare se tra noi fosservi emigrati”. Teniamo presente che i Francesi erano a Savona dall’anno precedente, e che nel frattempo il “partito francese” (o rivoluzionario) aveva fatto proseliti nella città.

La domanda suscita preoccupazione, in quanto tra gli ufficiali “ trovavasi il cavaliere Bonadonna, emigrato francese” e quindi passibile di pena di morte. Ma gli ufficiali non si lasciano intimorire, anzi, dopo che uno di loro riconosce nel rappresentante del popolo “uno dei nostri rivoluzionari” c’è una reazione: il povero rappresentante, “percosso da una grandine di piatti e bottiglie fin nella via”, deve darsi alla fuga con il suo seguito. Il pranzo continua tranquillamente (immaginiamo con nuove stoviglie..), interrotto però da una lettera del comandante francese che avvertiva come “dietro il disgraziato caso il rappresentante del popolo percorreva la città ragunandolo nel luogo del nostro imbarco per aizzarlo contro di noi”. Avvertiva inoltre di non avere forze sufficienti per garantire loro l’incolumità, e che quindi li avrebbe personalmente accompagnati all’imbarco per fornire una protezione quanto meno nominale: “questa nobile e leale condotta vivamente ci commosse”, ricorda il Birago.

Terminato il pranzo, gli ufficiali con il Comandante francese si dirigono al porto “formando una massa, ed il nostro franco contegno ne impose talmente al popolo che nessuno osò insultarci!”: Al porto però la situazione rischia di precipitare. “Ci furono vibrate alcune pietre con minacciose grida. Allora noi- così scrive il Birago- tratte fuori le armi corremmo sopra quella massa di popolo che secondo il solito gli uni agli altri addossandosi non pensarono più che a salvarsi”. E’ quindi possibile imbarcarsi: “allora le masse ritornate indietro ci scaricarono contro qualche moschetto e qualche pistola che non ci cagionarono maggior male delle loro imprecazioni”
Ci pare che questa parte dei ricordi del Birago sia particolarmente interessante, sia perché è un esempio di quella frattura fra la popolazione che la Rivoluzione Francese portò, dividendola fra fautori ed avversari, sia perché evidenzia –ma questa è ovviamente una mia opinione personale- il disprezzo verso “la massa di popolo” e l’altezzoso orgoglio di appartenenti ad una classe privilegiata che non aveva capito l’esigenza di nuovi rapporti.

Gli ufficiali quindi si imbarcano su “una detestabile feluca” che li sbarcò nei dintorni di Pegli. Passata la notte, accolti con la “massima cortesia” in un convento di cappuccini, l’indomani il gruppo andò a Cornigliano nella villa del marchese Durazzo. Anche qui furono accolti con grande simpatia e “conosciutosi il totale difetto di ogni cosa”¸ ricevettero offerte di denaro. Ne accettarono però solo una parte, divisa fra tutti, e con l’impegno, da parte di due di loro, di restituirla appena possibile, “restituzione che non venne fatta da noi perché il re, appena saputa questa circostanza, fece rimborsare esso stesso la suddetta somma”.

La testimonianza del Birago si chiude poi con il ricordo di un fatto successo dodici anni dopo, quando Bonaparte, ormai non più generale in capo ma imperatore, passando a Torino “volle vedere tutta la nobiltà e tutti i notabili raccolti nel palazzo dei suoi re”. Dopo essersi informato della situazione della famiglia del Del Carretto caduto a Cosseria -concesse una pensione alla vedova e “si incaricò dell’educazione del figliolo” che se non andiamo errati morirà poi combattendo nelle truppe napoleoniche in Spagna ad Andujar (Andalusia ?) come ricorda l’Abba-, l’Imperatore “ che tutti interrogava” vide un giovane . “Chi siete voi? E dopo averne udito il nome gli domandò: Avete voi servito? -Sì, ed a Cosseria, o Sire,- gli rispose quello. -Perché non servite più? –Perché una madre di età molto avanzata richiede tutte le mie cure”. L’imperatore scuotendo le spalle passò oltre. Ma l’indomani il giovane (che riteniamo fosse il Birago stesso) fu chiamato dal generale Menou che gli comunicò che l’imperatore gli aveva dato ordine di offrirgli un grado nell’armata.

E così con questo finale in cui la testimonianza scivola nell’affettuoso ricordo e l’Imperatore è ormai un personaggio da leggenda da raccontare ai nipoti (il Birago scrisse queste note - quasi un racconto _ oltre 50 anni dopo la battaglia), si chiudono le righe che abbiamo dedicato, sperando di non avervi annoiato, all’after the battle di Cosseria.


Ma ancora una curiosità: gli ufficiali piemontesi presi prigionieri furono rimandati a casa, secondo una prassi in uso allora, “sulla parola”, ovvero con la promessa di non partecipare più alla guerra fino alla fine delle ostilità. Ebbene, il Codice Penale Militare di Guerra, tutt’ora in vigore in Italia, ovviamente in caso di conflitto (ma -se non ricordiamo male- fu anche applicato per un periodo ad alcune missioni “di pace” italiane all’estero), e la cui lettura –insieme all’analogo di Pace- può suggerire riflessioni interessanti, all’articolo 217, “Liberazione sulla promessa di non partecipare alle ostilità”, punisce con la reclusione militare da tre a cinque anni “il prigioniero di guerra italiano che, impegnando la parola d’onore di non partecipare più oltre alle ostilità, ottiene dal nemico di essere liberato dalla prigionia di guerra”.

NOTE
Cosseria 1996: Nel bicentenario della battaglia un reparto della Legione Straniera Francese
 partecipa alle celebrazioni



1 ) BOUVIER, Baparte en Italie en 1796,Paris, 1899, p.270

2) Corrispondente alla cresta della collina che inizia al di sopra della località denominata 'Calleri".

3) In questo settore il dislivello fra il pianoro esterno al castello e quello interno è solo di 3-4 metri: le macerie delle mura crollate avevano formato, ormai da secoli, un ripido ma corto pendio fra la base del muro stesso, non più alto di un metro, e il pianoro sottostante: fu in questa riva pietrosa di pochi metri che avvenne la carneficina più terribile fra gli assalitori.

5) Stando alle famose stampe del Bagetti i cannoni erano collocati presso la Braida: ma ciò appare poco verosimile, vista sia la distanza sia il notevole dislivello, sia l’impossibilità di vedere il castello da tale postazione. Molto più convincente e verosimile una relazione

Qui fu collocato un cannone: il castello (ruderi)
è in fondo alla strada

francese dei 1804 ( Mémoire militaire et statistique du Champ de Bataille de COSSERIA remis au chef de section Martinel le 1er vendemiaire an 13 (22 settembre 1804) par BENTABOLE sous lieut ingenieur geographe ): Essa ci dice che i francesi "si avvicinarono a 100 passi dal castello e con due grandi botti che avevano preso alla cascina della Braida (immaginiamo la gioia del contadino proprietario: oltre tutto era aprile, e quindi probabilmente le botti erano anche piene ... ) e che avevano riempito di pietre e sabbia costruirono un trinceramento dietro al quale piazzarono l'artiglieria che iniziò un fuoco vivo, ma la perdita di diversi cannonieri che quel trinceramento non metteva al coperto fece loro abbandonare quelle botti e ne fecero uno nuovo di fascine”. I cannoni francesi utilizzati in quella circostanza erano pezzi da quattro libbre a canna liscia che tiravano fino a 700 metri una palla di ferro del diametro di cm. 7, pesante kg. 1,450 ca. Fu inoltre utilizzato almeno un pezzo di calibro maggiore, con palle da kg. 1,9 e diametro di cm. 8,1.

5) Bouvier, op. cit., p.274 sg,

6) In particolare diverse testimonianze ricordano impressionate la colonna guidata da Banel composta da effettivi della 39a e 51a demie-brigade che "marciava in silenzio, arme sul braccio sotto le trincere" (Mémoires militaires et statistiques de la Commune de MILLESIMO fesant partie du Champ de Bataille de Cosseria rémis au chef de section Martinel par le sous lt. Simondi le 30 vendemiaire an 13 (22 octobre 1804).

7) Bouvier, op. cit., p. 275. A sua volta lo storico francese ha ripreso il dato dalle citate Mèmoires militaires di Millesimo. I feriti furono riparati presso "l'ospedale volante" organizzato a Carcare nella chiesa delle Scuole Pie.

8) BOUVIER, op. cit.,p. 281. L'ampiezza delle perdite francesi può essere resa evidente dalla constatazione che una brigata, la 18a, subì da sola 116 morti e 206 feriti (ibidem). Resta sconosciuto il luogo di sepoltura di questi caduti.

9) "Il valoroso generale Banel per un colpo di palla nella testa cessò di vivere e fu seppellito al piede dei castello" (Memoires militaires et statistiques de la Commune de CARCARE fesant partie du Champ de Bataille de Cosseria remis au chef de section Martinel par BRAMBILLA Lieut.e Primo Vendemiajo an 13 (22 settembre 1804) Il luogo di sepoltura potrebbe essere il cimitero anticamente esistente di fronte alla locale cappella di S. Filippo (loc. Marghero).

10) Joubert "ferito da due colpi di pietra che dalle trincere facevano rottolare" (Memorie militari e statistiche del Comune di Millesimo, etc., cit.) verrà condotto prima a Biestro in casa Gamba, poi a Carcare in casa Bolla.

11) Sulla figura di questo ufficiale piemontese, che per aggressività e dinamismo avrebbe potuto veramente controbattere l'invasore francese ad armi pari, v. L. OLIVERI, "Chi era Filippo Del Carretto", in Alta Val Bormida, XXV, n. 6, 1984, p. 3. L'episodio della battaglia di Cosseria, della difesa dei granatieri piemontesi e della morte dei loro comandante nel castello che fu dei suoi avi, rimase profondamente infisso nella memoria degli abitanti della zona entrando a far parte, per così dire, dei patrimonio "mitologico" locale. Celebrato nel secolo scorso dal Carducci (La bicocca di S. Giacomo) dall'Abba (Montenotte, Dego e Cosseria, ristampa GRIFL, Rocchetta di Cairo, 1992), dal Canata ( P.A. CANATA, "Il castello di Cosseria", in Versi a cura di L Leoncini, Torino 1889, pp. 272-283), dal Barrili ("La difesa di Cosseria", in P. VALENTINO, Memorie storiche del Santuario di N.S. del Deserto e cenni su Millesimo, Savona 1904., pp. 420-437), È ancor oggi ricordato, a Millesimo e Cosseria, da rievocazioni, monumenti, strade, perfino da una scuola, dedicati ai granatieri o a Filippo Del Carretto

12) BOUVIER, op. cit., p. 271. Non sono completamente d'accordo sulla scarsa utilità - da parte francese - della battaglia di Cosseria. A mio avviso la necessità strategica dello scontro fu notevole: la campagna di Bonaparte fu incentrata sulla velocità, i francesi non potevano lasciarsi alle spalle (metà dell'armata francese era schierata a Dego) truppe nemiche ancora in grado di combattere ed era essenziale che tutte le truppe inviate contro di loro o tornassero indietro rotte e scoraggiate (v. Montenotte) o non tornassero affatto.

13) A.G. BARRILI, "La difesa di Cosseria etc.", in V. PALADINO, op. cit., p. 412. Per meglio chiarire l'operato dei Colli può essere utile la conoscenza degli ordini che impartì in tali circostanze. Ecco i principali, come li riportano E. AMO, Da Montenotte a Cherasco,, Ceva 1972, p.48 sgg. e G. Fabry, Campagne de l’Armée d’Italie 1796-97 di G. Fabry, Parigi nel 1914, pgg. 30 e sgg.: 8 aprile Colli a Provera: “Cairo non deve essere custodito che come posto avanzato che deve ripiegare su Cosseria”; 9 aprile, Colli a Provera”Voi occuperete in forze le posizioni fra le due Bormide(..) per sostenere in forze il posto importante di Cosseria; 10 aprile, Colli a Provera: “Il posto di Cosseria è essenziale per coprire le Langhe fra le due Bormide (..). Le truppe leggere di Cairo devono tutte ripiegare su Cosseria”; 12 aprile, Colli al generale Bellegardc: "Farete marciare subito il battaglione dei granatieri del col. Del Carretto a Cosseria ..) dovrà difenderla ad ogni costo) ; 12 aprile, ore 22, Colli al gen. Provera: "Se il nemico avanzerà verso Cosseria invierò altre truppe a Cengio per sostenervi”; 12 aprile, Colli a Bellegarde: “Farete marciare il btg. dei granatieri del cav. Carretto a Cosseria(..) egli deve difendere Cosseria jusqu’à l’extremité”; ; Colli a Provera, 12 aprile ore 10 di sera. “io faccio marciare a Cosseria un battaglione di granatieri piemontesi ; 13 aprile ore 20, Colli da Ceva a Beaulieu: "Ho ordinato al gen. Provera di sostenere Cosseria ad ogni costo (...) il nemico ha attaccato stamattina il gen. Provera che ha difeso Cosseria con grande bravura. Ho assistito A questo attacco dalle alture della Crocetta (Montezemolo). Gli ho inviato subito un battaglione (!) di granatieri per la Rocchetta di Cengio ed ho fatto attaccare il nemico che era sulle alture poste di fronte alla Crocetta, ma tale diversione che si proponeva di far desistere il nemico dall'attacco non stata sufficiente (..). Con altre truppe farà attaccare il nemico a Millesimo"; 13 aprile, Colli al cav. Da Tour: "marcerete con la centuria dei granatieri reali e coi vostro mezzo battaglione per Cengio. Proseguirete sulle alture che portano al castello di Cosseria (..) vi riunirete agli altri e attaccherete bruscamente il nemico"; ore 20:Colli al maggiore Strassoldo: "Riunitevi al col. Du Tour che ha l'ordine di fare ogni sforzo per liberare il gen. Provera"; ore 21, Colli al gen. Crist: "Il gen. Provera è rimasto bloccato a Cosseria e difficilmente potrà essere liberato"; Montezemolo, 14 aprile ore 6, Colli al comandante del rgt. Vercelli: "Marcerete per la cresta che va verso Cosseria. Si attaccheranno i posti nemici per facilitare l'uscita delle truppe di Provera" ore 6, Colli al cav. Da Tour: “Il mio proposito è di far giungere aiuti a Provera mediante un attacco notturno. Ciò lo deciderà a effettuare una sortita”; ore 10, Colli al comandante del corpo destinato a marciare su Cosseria: "Cosseria caduta. L'operazione diviene inutile. Ogni corpo dovrà riprendere la propria posizione". Come si vede alle ore 20 del 13 Colli comincia a radunare le forze - poche, centurie e mezzi battaglioni contro una divisione! - per un attacco in difesa di Cosseria, attacco che però programma per la notte fra il 14 e il 15. In quel momento i francesi avranno già vinto anche la battaglia di Dego!

14 Mémoire statistique, historique et militaire de la Commune de ROCCAVIGNALE. Fait a Roccavignale le 24 juin 1808 par SIMONDI, sous heut.te ingénieur géographe ». Questa pagina, di un ufficiale francese, è il miglior omaggio al "leggendario valore disperato" dei difensori di Cosseria, tanto più importante perché reso da un soldato.

15A metà degli anni ’80 del secolo scorso (che effetto definire così il 1984!) fu condotta una piccola campagna di scavo nel castello di Cosseria. Negli strati superficiali intorno ai resti della torre furono trovate diverse colate di piombo fuso. Ricordo forse di tale fatto?


Il castello oggi

















E ovviamente all'interno del castello, dove c'errano i Granatieri piemontesi, 
oggi non può mancare l'onnipresente ripetitore telefonico
(travestito da albero, ma coi rami all'insù!)
E poco sotto, la sua casetta



Questa è invece la poco appariscente e molto discreta torre costruita
per permettere una "vista panoramica" dal castello


 





Leonello Oliveri
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