domenica 2 marzo 2025

Marcelin Marbot: Le memorie di un soldato napoleonico che combattè in Val Bormida

 



Leonello Oliveri
Proprietà Letteraria Riservata
Riproduzione Vietata


In qusto blog abbiamo spesso parlato delle battaglie napoleoniche combattute dalle nostre

parti dal 1793 al 1800: di Napoleone sappiamo tutto, ma chi erano questi soldatini che fra le nostre montagne e i nostri villaggi hanno sostato, combattuto, talvolta saccheggiato, spesso morirono?
Questo post è dedicato a uno di loro, Marcelin Marbot, un ussaro arrivato giovanissimo (17 anni) in Val Bormida, la cui vita attraversò tutta l'epopea napoleonica, Russia compresa.
 Jean-Baptiste Antoine Marcelin Marbot) nato nel 1782, entrato nell’esercito napoleonico a 17 anni nel 1799 come semplice ussaro, generale nel 1836, congedato nel ’40, Grand Ufficiale della Legion d’Onore, membro della Camera dei Pari, ferito a Eylau, Lipsia e Waterloo,  reduce dalla campagna di Russia, morto nel ’54: una carriera avventurosa, perigliosa ma certo interessante.
 

 Un ussaro bricconcello: trecce finte e baffi di carbone

Le notizie che vi darò sono prese da un suo libro, le "Mèmoires du Général Baron de Marbot", scritte nel 1844  in tre volumi. La copia da me utilizzata fu pubblicata a Parigi nel 1891: per giudicare il suo successo basta un elemento: il volume dedicato alla Campagna di Russia era arrivato alla 53esima edizione!





Incominciamo dall’inizio, quando a 17 anni il nostro giovincello entra nel corpo degli Ussari di Bercheny, 1° Ussari, formazione in cui abbondavano militari tedeschi ( o meglio, alsaziani) di stanza a Savona, quindi agli ordini del padre, quel gen. Marbot, già comandante della 17° divisione militare di Parigi, che nel 1799-‘800 comandava in Liguria una delle divisioni dell’armata di Massena e che morirà, per ferite e tifo, durante l’assedio di Genova (1800).

I primi giorni della vita fra gli ussari del nostro giovane ( 17 anni) furono veramente duri: abituato ad una vita tutto sommato civile, si trovò all'improvviso fra soldatacci rotti a tutto (gli Ussari erano un truppa d'elite ma dal comportamento un po’ “guasconesco”), preso in giro perché non beveva.
Tra le cose cui non era abituato, l’obbligo di dormire con un altro ussaro, non solo nella stessa camera, ma nello stesso letto, “perchè il regolamento non accordava allora che un letto per due soldati”.
Deve così condividere il giaciglio con un “escogriffe de hoyusard” ( ussaro gigantesco) che ne occupò i tre quarti. Quella notte il nostro giovincello la passò … su una botte de paille, mucchio di paglia. Protesta con il suo superiore diretto e l’indomani ottiene una camera: era il figlio del capo!

Gli ussari dovevano avere trecce, coda e mustacchi: poiché il nostro giovinotto ne era privo,
per non far sfigurare la sua squadra fu condotto dal perruquier de l’esquadron che gli fornì.. una coda e due trecce posticce! Per i mustacchi… furono disegnati con cera nera! E quando era di vedetta..il sole dell’’Italia li scioglieva. Ma tutto era accettabile: j’etais housard!

In poco tempo il nostro giovinotto diviene un ussaro accettabile, ma gli manca ancora un gradino: entrare nella clique, una sorta di confraternita composta “des plus mauvaises tetes comme des plus braves soldats du régiment”. Si distinguevano tramite un’incisione praticata nello stagno del primo bottone di destra del dolman.
Un avvenimento improvviso lo fece accettare. Siamo all'inizio del 1799, a Savona, dove il generale padre del nostro ragazzo aveva radunato la sua divisione. Il 1° Ussari era “dans une plaine appelèe La Madona” (l’attuale zona del Santuario). Il cibo era scarso, il vino abbondante. Un giorno, sulla spiaggia di Savona, il nostro ussaro entra, con un compagno, in una sorta di chiostro dove diversi soldati bevevano. E qui succede il fattaccio, tipo quelli nelle attuali discoteche.
Entrando, il lungo fodero della sciabola dell’ussaro, probabilmente non dimensionata per la statura di un diciassettenne, la cui punta strisciava sul pavimento, urta il piede di un énorme canonier stravaccato su una sedia. Lasciamo la parola al nostro autore: “Housard!... ton sabre traine beaucoup trop!.. » (la tua sciabola è troppo lunga) >. Marcellin non reagisce: J'allais continuer de marcher sans rien dire, lorsque maitre Pertelay ( era il « mentore » del nostro, colui che doveva trasformarlo in un Ussaro..), me poussant la coude, me souffle tout bas: « Réponds-lui : Viens le relever » ( vieni a prenderla: mi ricorda il μολὼν λαβέ, molòn labé, di Leonida alle Termopili, motto inciso ora su certe automatiche USA) Et moi de dire au canonnier: « Vien le relever ». « Ce sera facile », réplique que celui-ci".-E Pertelay gli suggerisce di rispondere : « C'est ce qu'il faudra voir !» (sarà quello che bisognerà vedere). A queste parole il cannoniere, ou plutòt ce Goliath, car il avait près de six pieds de haut, si alza con un'aria minacciosa ma Petelay si slancia tra Marcelin e li separa.
Una rissa non era immaginabile, ma un duello obbligatorio.
E così, sulla riva del mare savonese, il nostro ussaro e il cannoniere incrociano i ferri: un duello.
Leggendo, mi è venuto in mente il romanzo di Conrad "Il duello" (1907) e il film di Ridley Scott "I duellanti" , del 1977.

il duello- la caccia alle bistecche
Il nostro Marcelin è sulla spiaggia savonese in attesa del duello come un novello D’Artagnan.
Peccato che il padre dell’Ussaro, nonché comandante della Divisione, avesse espressamente proibito i duelli, barbare usage, prevedendo la prigione per i contravventori.
E allora, non appena iniziato il duello, arrivano (guarda la coincidenza!)  8 o 10 gendarmi col pennacchio: il cannoniere scappa, l’ussaro, meno veloce (intralciato dalla lunga sciabola?), viene preso e portato, sotto scorta, al quartier generale, al Vescovado.
Lì suo padre si trovava a colloquio col gen. Suchet. I Gendarmi conducono Marbot figlio, di cui non conoscevano la parentela col generale, davanti a Marbot padre. Grande lavata di capo, e ordine perentorio: “Conducetelo alla Cittadella!”, ovvero in prigione al Priamar.
La fortezza savonese del Priamar

E lì Marbot figlio passa la sua prima notte, in compagnia de gros rats che gli divorano la striminzita cena (una brocca d’acqua e un pezzo di pane “di munizione”).
Alla sera viene a liberarlo il vecchio servitore del padre: nuova lavata del capo da parte del Governatore della fortezza, poi le porte si aprono e il nostro giovane ussaro si avvia, dietro al servitore, verso il padre, di cui teme la terribile sfuriata.
E allora il nostro giovane impetuoso commette un altro errore: timoroso dei rimproveri del padre, pensa… di prendersi qualche giorno per dar tempo al padre di calmarsi. Con un calcio spegne la lanterna del servitore e scappa a gambe levate, cercando di raggiungere il suo bivacco à la Madone, (dove sorgeva- e sorge- il Santuario della Misericordia di Savona) progettando di presentarsi al padre passata la bufera. Al bivacco il racconto del duello e della “fuga” dal servitore del padre gli procurano non solo l’accoglienza entusiastica dei suoi compagni ma anche l’immediata ammissione, all’unanimité, alla clique, che stava progettando un bel colpo. E ovviamente il nostro ussaro sarà della banda.


"Prelevamento" di buoi a Dego
Il racconto di Marbot prosegue con la descrizione di un’altra “impresa” cui partecipò il nostro diciassettenne ussaro, il “prelevamento” di una mandria di buoi da sottrarre all’armata austriaca.
E’ un fatto che ben ci dimostra le condizioni di abbandono cui si trovava l’Armata francese, nella quale i soldati dovevano arrangiarsi per provvedere a sé stessi. Del resto tutta la campagna napoleonica in Italia fu all’insegna che “la guerra deve nutrire la guerra”. Il che significa requisizioni o saccheggi, che butteranno la popolazione alla fame (nel 1800 in Val Bormida ci saranno molti morti di fame).

A questo punto è necessaria una piccola digressione storica.
Siamo fra il 1799 e 1800. Dopo la vittoriosa campagna napoleonica in Italia del 1796, obbligato il re di Sardegna alla resa con l’armistizio di Cherasco, sconfitte le truppe austriache, gran parte del nord Italia era stato occupato dalle truppe francesi.
Fra il ’98 e il ’99 Napoleone aveva lasciato il continente per l’infruttuosa campagna militare in Egitto. Ciò aveva permesso un ritorno offensivo degli austriaci culminato nella vittoria a Novi Ligure il 15 agosto del ’99. I francesi si erano ritirati sulla costa ligure. Da allora, fino al 14 giugno del 1800 (vittoria francese a Marengo), francesi e austriaci si fronteggiarono lungo una linea di confine che correva sulla displuviale alpino-appenninica della Liguria: i francesi sulla costa, gli austriaci al di là della catena montuosa che rappresentò così per la terza volta (dopo le guerre di Annibale e le guerre fra Bizantini e longobardi) un insanguinato limes.

Torniamo al nostro ussaro cui lasciamo la parola
La nostra clique (banda) si preparava a fare una spedizione per andare fino alle porte di Dego ( prov. di Sv, al di là della displuviale, quindi in territorio ”austriaco”) per prelevare un troupeau ( mandria) di buoi appartenenti all’armata austriaca. I generali francesi (..) erano obbligati di far finta di ignorare (!) le corse che i soldati facevano al di là degli avamposti per procurarsi i viveri che non potevano procurarsi regolarmente. In ogni reggimento i soldati più intraprendenti e coraggiosi avevano quindi formato delle bande di maraudeurs che sapevano intuire, con un talento meraviglioso, i luoghi dove si preparavano i viveri per il nemico e sapevano usare l’inganno e l’ audacia per impadronirsene".
Era successo che “Un fripon de maquignon” (commerciante di bestiame briccone: la Ia Campagna napoleonica in Italia, soprattutto nella fase iniziale del superamento della dorsale Alpino/appenninica sopra Savona, ebbe successo anche grazie alla collaborazione –interessata-di guide locali) era venuto ad avvertire la clique del 1° housards che una mandria di buoi che lui aveva venduto agli austriaci pascolava in un prato a "un quarto di lega da Dego” (a circa una 20ina di km da Sv. in linea d’aria, ma le mulattiere che devono valicare gli Appennini non procedono in linea d’aria) .
Questo brano è interessante, in quanto ben ci illustra i particolari rapporti che potevano esistere tra intraprendenti commercianti – ma meglio si potrebbero definire trafficoni- locali e Armata francese: il nostro fripon de maquignon prima vende i buoi agli austriaci (che a differenza dei francesi pagavano in moneta sonante) poi avverte i francesi affinché possano ”recuperarli” gratis.
La zona delle "imprese" di Marcelin

Ma torniamo al nostro Marbot:
Allora sessanta ussari, armati solo dei loro mousquetons partirono per prelevarli. Per evitare la grande strada percorremmo diverse leghe (una lega circa 4 km.) fra le montagne su cammini contorti e spaventosi (affreux)": evidentemente gli ussari dovevano essere accompagnati da qualche guida locale, visto che non usano la strada principale, passano per i boschi e arrivano comunque proprio là dove pascolano i buoi. Qui “sorprendemmo cinque croati, cui era affidata la guardia della mandria, addormentati sotto un capannone. Per evitare che andassero a dare l’allarme alla guarnigione di Dego, noi li attaccammo e, lasciatili là, (vivi o morti?) prelevammo la mandria senza colpo ferire.
Rientrammo al bivacco stanchi ma entusiasti per aver fatto una buona niche ai nemici e per esserci procurati dei viveri".
E infine una considerazione d’obbligo da parte del giovin ussaro:
Ho citato questo fatto per far conoscere lo stato di miseria nel quale si trovava l’Armata d’Italia e per mostrare a che punto di disorganizzazione un tale abbandono può gettare le truppe, di cui i capi sono obbligati non solo a tollerare siffatte spedizioni ma di profittare dei viveri che esse procurano senza aver l’aria di sapere da dove provengono” : e questo “senza aver l’aria di sapere da dove provengono” è veramente superlativo


Raid dietro le linee ( e l’importanza del saper leggere..)
Ma le avventure di questo giovane continuano e, poche pagine più avanti, Marbot ricorda la sua prima impresa veramente militare che gli procurò la prima promozione sul campo.
Siamo nella zona di Finale, dove Marbot è stato inviato, con 50 ussari per fornire al gen. Seras un distaccamento a cavallo in grado di poter eseguire missioni di avanscoperta al di là della dorsale, ovvero in alta Val Bormida.
Il distaccamento – dotato di una cartina dei luoghi e di istruzione scritte e a voce- arriva a San Giacomo (località, in realtà una chiesetta fra i boschi, sulla displuviale fra Finale e Mallare) “Que nous trouvames covert de neige et sur lequel nous bivaquames ».

I luoghi della vicenda: boschi, boschi, boschi

Sotto la guida del marechal de logis ( oggi diremmo il furiere d’alloggio?) Canon, il distaccamento inizia la penetrazione nella terra di nessuno. Dopo due leghe di marcia (circa 8 km.: quindi probabilmente nei dintorni di Mallare: fra San Giacomo e Mallare la distanza è pressapoco quella) “nous trouvons une grande auberge” (locanda. Esiste tuttora). Interrogato, il padrone informa che un forte gruppo di austriaci (housards tres mechants, ussari molto cattivi) si trovava ad un’ora di cammino ( forse Altare). I nostri ripartono ma fatti pochi passi Canon se tord sur son cheval (si contorce sul suo cavallo), afferma di stare troppo male per proseguire, si ferma alla locanda affidando cartina, istruzioni, comando e distaccamento al suo vice. Ma costui, alsaziano, non conosce il francese e quindi non può leggere né la cartina né le istruzioni annesse. C’è quindi una paradossale scaricabarile verso il basso: tutti gli altri graduati del distaccamento aussi peu lettrès rifiutano per il medesimo motivo. A questo punto il nostro giovin ussaro timidamente confessa.. di essere capace al leggere e si offre come “interprete” ma con sua grande sorpresa “tous ces vieilles moustaches” gli chiedono di prendere lui stesso il comando. Canon dà il suo assenso e così il nostro giovincello di 17 anni si trova alla testa di 50 vieilles moustaches in territorio nemico.
Per farla breve, procedendo con grande cautela riescono a sorprendere una gruppo di cavalieri austriaci che stavano abbeverando i cavalli, li assaltano approfittando della sorpresa e riescono, con soli due feriti fra di loro (così scrive Marbot), a catturare 17 austriaci e altrettanti cavalli.
Quindi ritorno vittorioso prima alla locanda (dove nel frattempo il povero Canon, evidentemente ripresosi, era stato sorpreso “endormi au coin du feu, et ayant devant lui un enorme jambon, deux boutteilles vides et une tasse de cafè » (addormentato vicino al fuoco, davanti a un grande prosciutto, due bottiglie vuote e una tazza di caffè) da un infuriato gen. Seras: immediata rimozione dal grado e arresto: così si procedeva nell’esercito della Rivoluzione), poi all’accampamento dove, in presenza del rgt. di fanteria e dei 50 ussari, Marbot viene sul campo nominato marechal de logis. I 17 cavalli vengono venduti agli ufficiali che ne erano privi, e il ricavato (85 franchi) diviso tra gli ussari. Molto accortamente il nostro giovincello non solo rifiuta la sua parte, ma per festeggiare la sua nomina offre al suo distaccamento una banchetto: tre pecore (chissà se le hanno pagate ai poveri paesani), un enorme formaggio e vino in abbondanza con i quali il distaccamento fece una grande bombance (festa): giovane, il Marbot, ma nelle relazioni sociali ci sapeva fare. Del resto questo era l’aureo principio di Bonaparte: fare, saperci fare e far sapere, principio tutt’ora in uso in certi ambienti (ma spesso mutilo della prima parte).


Dall’aneddoto alla storia (tragica)
Qui abbiamo presentato alcune avventure di Marcelin con tono scherzoso e divertito.
Ma non dimentichiamo che quegli anni (1799-1800) per gli abitanti di queste zone (soprattutto del versante “padano” della prov. di Savona ( e in parte Cuneo) furono anni terribili: la guerra deve nutrire la guerra, abbiamo notato: ciò si tradusse in requisizioni, violenze, saccheggi contro una comunità di contadini che anche in tempi normali era poco al di sopra della pura sopravvivenza. Si arrivò, così, alla letterale “morte per fame” di tanta gente.
Se volete saperne di più, date un’occhiata qui

Una foto curiosa: un portone a Cairo Montenotte (Sv) con i segni di quelli che la tradizione popolare afferma essere essere le impronte dei colpi sferrati dai francesi con le canne dei fucili per farsi aprire la porta
 

Marcelin Marbot  si può essere uomini anche in mezzo alla guerra.

Proseguiamo nel racconto delle vicende del nostro ussaro.
Facciamo un salto di 13 anni, e piombiamo nella tragedia: siamo al 2 dicembre 1813, in piena ritirata durante la disastrosa Campagna di Russia, pochi giorni dopo il drammatico passaggio della Beresina.




Marbot ha fatto carriera, è nel 2° Corpo d’Armata, quello di Oudinot. Ricopre il grado di chef d’escadrons, (grado immediatamente inferiore al colonnello) al comando – in luogo del coll. de La Nougarède- del 23°chasseurs (rgt.) in una brigata di cavalleria leggera.
Marbot racconta un episodio che sembrerebbe quasi incredibile, capitato nel pieno furore del combattimento di Plechchénitsoui (?).

Marbot aveva nel suo seguito un giovane olandese, Van Berchem, di 16 anni, affidatogli da un suo amico perché lo avviasse alla carriera militare. Considerata la sua giovane età, Marbot cercava di non esporlo troppo al pericolo, tenendolo fra le sue ordinanze.

Durante uno scontro sono assaliti da un gruppo di cosacchi.




Marbot si butta contro di loro con la cavalleria, i cosacchi ripiegano ma, bloccati da un burrone, sono costretti a fermarsi e a far fronte ai cavalieri francesi. Si schierano così in riga con le lance puntate. Le sciabole dei cavalieri francesi si scontrano con le lance dei cosacchi che per la loro lunghezza (13-14 piedi) impediscono ai francesi di raggiungerli. Allora i francesi afferrano con la sinistra le lance, le deviano e arrivano a contatto coi cosacchi. Ma lasciamo la parola al Marbot.
In questo momento un vecchio cosacco dalla barba bianca in seconda linea mi colpisce, attraverso i suoi camerati, sotto la rotula destra. Sentendomi ferito mi butto contro lui per vendicarmi e vedo davanti a me due bei giovani di 18-20 anni con ricche uniformi. Li accompagnava un anziano, una specie di mentore (qualcosa di più di un precettore, responsabile dell’educazione, guida e protezione del giovane lui affidato), senza armi.
Il ragazzo maggiore si butta su di me e mi attacca con furore. Lo trovai così giovane e debole che mi limitai a disarmarlo e lo passai a Van Berchem perché lo custodisse. In quel momento sento una detonazione al mio orecchio, mi giro e vedo il più giovane che sparandomi alle spalle colpì alla testa il povero Van Berchem. Trasportato dal furore mi lancio su di lui che stava prendendomi di mira con un’altra pistola. Il suo sguardo incontrò il mio, che era così terribile che lui gridò in buon francese: “Gran Dio, vedo la morte nei vostri occhi”. Io dissi: “Vedi giusto, scellerato”. E lui cadde.


Il sangue chiama sangue, la vista del giovane Van steso ai miei piedi, quello che avevo appena fatto e anche il grande dolore che mi causava la mia ferita, tutto questo mi gettava in un’animazione febbrile. Corro verso il cosacco più giovane, lo afferro alla gola e già la mia sciabola era levata quando il vecchio mentore, cercando di salvare il suo allievo, si slancia davanti a me e grida in tono supplice: “In nome di vostra madre, grazia per questo, non ha fatto niente”. Sentendo invocare un nome venerato, esaltato per tutto quello che mi circondava ebbi una sorta di allucinazione: credetti di vedere una mano bianca, tanto nota a me, posarsi sul petto del giovane che stavo per uccidere e mi sembrò di sentire la voce di mia madre dire “Grazia, Grazia”. La mia sciabola si abbassò e feci condurre il giovane e il suo maestro nelle retrovie (..).
Terminato il combattimento, alla sera, io interrogai il mio prigioniero e il suo precettore. Venni a sapere che i due giovani erano figli di un capo potente che avendo perduto una gamba ad Austerlitz odiava a tal punto i francesi che non potendo combattere lui, aveva mandato i suoi figli al suo posto.
Pensai allora che il freddo e il dolore avrebbero ben presto fatto morire il solo che gli restava, ebbi pietà di lui e lo lasciai andare assieme al suo mentore. Andandosene, quest’ultimo mi disse;”Pensando a suo figlio maggiore, sua madre vi maledirà, ma rivedendo il secondo vi benedirà, come pure benedirà vostra madre pensando alla quale avete risparmiato il solo figlio che le restava”. (P. 213).
Forse un po' "sceneggiato", ma così almeno scrive il nostro ussaro nelle sue memorie, vol. 3, pagg. 210-213.
Cosa dire dinnanzi a un brano del genere? Che si può essere uomini anche in mezzo alla guerra.





Tornato dalla Russia Marbot parteciperà alla battaglia di Waterloo dove fu ferito, andò in esilio in Germania durante la Restaurazione successiva alla caduta di Napoleone, ritornò in Francia nel 819, nel 36 divenne Generale di Divisione, ottenne la Legion d'Onore nel '46, infine membro della Camera dei pari. Morirà nel 1854
La statua di Marbot a Beaulieu sur Dordogne



Leonello Oliveri

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